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Opinioni

Elezioni in Europa e tassi, quali scenari possibili

Da domenica a fine mese una serie di appuntamenti elettorali metterà sotto pressione l’euro e potrà decidere il futuro dell’eurozona. Ecco come i diversi possibili esiti possono influire sui tassi di finanziamenti e mutui.
A cura di Luca Spoldi
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Eurotower

Di politica, economia e tassi. Lo scenario europeo è a un test importante, che farà piacere a chi ha parlato di un “deficit di democrazia” che avrebbe contraddistinto finora la gestione della crisi del debito sovrano sulla base della ricetta tedesca fatta di rigore fiscale che si è tradotta in ulteriori aumenti delle imposte per i contribuenti italiani (e molti annunci di una lotta all’evasione i cui effetti pratici è peraltro difficile al momento quantificare) e in un generale peggioramento della crisi economica in cui versano le economie dei “periferici” del Sud Europa a partire dalla Grecia (dove prosegue il crollo verticale del Prodotto interno lordo e in parallelo la crescita della disoccupazione, che per quanto riguarda la componente giovanile è ormai endemica in gran parte di un continente sempre più vecchio). Da domani fino a fine mese, infatti, si terranno il secondo turno delle presidenziali francesi che designeranno il vincitore tra il presidente uscente Nicolas Sarkozy e lo sfidante Francois Hollande (con quest’ultimo, in vantaggio, che promette di ridiscutere il sostegno francese alla gestione tedesca della crisi europea), le elezioni politiche in Grecia (dove Pasok e Nuova Democrazia, ai minimi storici di gradimento, cercano voti per formare un nuovo governo di “unità nazionale” e confermare gli impegni presi con Ue, Bce e Fmi in cambio degli aiuti ricevuti ma potrebbero dover allargare la coalizione a partiti minori meno favorevoli all’Europa o andare a un ulteriore turno elettorale in caso di ingovernabilità del paese), elezioni amministrative che in Italia coinvolgeranno circa un migliaio di Comuni e nove milioni di elettori, consentendo di capire quanto gli italiani approvino il governo in carica e le forze politiche che oggi lo appoggiano ma che in passato a vario titolo sono state responsabili del malgoverno che ci ha condotto nella situazione attuale, un paio di elezioni regionali in importanti Lander tedeschi e, a fine mese, un referendum in Irlanda sul “fiscal compact”. Il risultato del test è importante non solo a livello di democrazia ma anche per le conseguenze che potrebbe provocare a livello economico: se prevarranno forze favorevoli all’euro la Germania potrebbe comunque dover venire a patti con governi meno disposti a sostenerne il “rigore ad ogni costo” e questo porterebbe nei prossimi mesi sia alla nascita degli eurobond (magari legati a specifici progetti infrastrutturali comunitari capaci di sostenere la crescita europea in cambio di una mutualizzazione dei debiti) sia ad una più concreta unione politica basata su una politica fiscale realmente comunitaria (in grado di ridurre e non esasperare le divergenze macroeconomiche tuttora esistenti tra i Diciassette). Se prevarrà una spinta centripeta per l’eurozona come la conosciamo oggi potrebbe essere la fine (almeno temporaneamente) col rischio concreto di una spaccatura tra un “nocciolo duro” di paesi virtuosi che rimarrebbero nell’euro e una deriva per la Grecia e forse altri paesi “periferici” che rischia di essere all’insegna di una forte inflazione, di un’elevata disoccupazione e di investimenti esteri in fuga ancora per molti anni prima che lo scenario si stabilizzi. Scenari che ovviamente avrebbero conseguenze molto diverse sui mercati e sul settore del credito.

Chi vince e chi perde. Nella prima ipotesi è difficile che cambi qualcosa nell’immediato ma gradualmente l’Europa dovrebbe assistere ad una ripresa della competitività e ad un ritorno alla crescita. Tradotto in termini concreti per chi volesse cercare nuovi finanziamenti o mutui inizialmente non ci saranno novità, le banche continueranno a stringere i cordoni della borsa dovendo far fronte a crescenti sofferenze sui prestiti già accordati in passato e ad un rallentamento dell’attività economica che ridurrebbe la domanda di nuovo credito. Chi dovesse riuscire a ottenere nuovi mezzi per la sua attività o per acquistare un immobile, potrebbe trovare più conveniente sfruttare formule a tasso variabile, visto che il divario attualmente esistente con finanziamenti a lungo termine a tasso fisso è piuttosto cospicuo a fronte di uno scenario del costo del lavoro visto stabile o forse in ulteriore lieve calo da qui al 2013-2014. In soldoni: un mutuo ventennale a tasso variabile costa al momento nella migliore delle ipotesi attorno al 3,3%-3,5% all’anno, contro il 5,7%-6,0% di un mutuo analogo a tasso fisso.  Può sembrare poco ma significa che nel primo caso paghereste rate mensili di circa 570-580 euro per ogni 100 mila euro di mutuo erogato, nel secondo attorno ai 710-720 euro.  Moltiplicate per 12 e questo significa circa 1600-1700 euro all’anno, ossia sui 3.500-4.000 euro da qui a metà-fine 2014 quando poi potrebbe essere conveniente valutare il passaggio a un tasso fisso se l’economia dovesse riprendersi e i tassi tornare ad aumentare. Nella seconda ipotesi non è da escludere un iniziale periodo di forti incertezze sui mercati che determinerebbe probabilmente un ulteriore irrigidimento della stretta creditizia in corso. Le banche chiederebbero maggiori garanzie, si tutelerebbero da futuri incrementi dei tassi aumentando gli spread sui tassi di riferimento (solitamente l’Euribor per mutui a tasso variabile, l’Irs per i prodotti a tasso fisso). La percezione dell’Italia come di un paese “a rischio” potrebbe portare a un aumento strutturale della curva dei tassi anche a medio termine, pur in presenza di bassi tassi su mercati “sicuri” come la Germania o gli Stati Uniti. In questo caso varrebbe forse la pena di puntare su mutui a tasso fisso prima che correre il rischio di veder aumentare più del previsto l’importo delle rate mese dopo mese. Anche l’ipotesi di un mutuo variabile “con cap” (che fino ad oggi è stata forse la soluzione più equilibrata per sfruttare bassi tassi da un lato ma proteggersi da eventuali incrementi futuri) perderebbe di appeal dato che presumibilmente i cap (il tetto massimo che il mutuo variabile può toccare) verrebbero rialzati a livelli ben superiori a quelli che attualmente contradistinguono i mutui a tasso fisso.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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