Tira aria di rialzo dei tassi d’interessa in America, dove il mercato del lavoro a febbraio ha registrato 235 mila nuovi addetti nel settore privato, 35 mila in più rispetto alle attese di consenso e di poco inferiori ai 238 mila del mese precedente (dato rivisto al rialzo dai 227 mila stimati inizialmente). In frazionale calo il tasso di disoccupazione, dal 4,8% di gennaio al 4,7% a fine febbraio, in linea con le previsioni, mentre la crescita dei salari medi si conferma sotto controllo e pari allo 0,2% (come il dato definitivo del mese precedente), rispetto ad una lieve accelerazione (+0,3%) che si attendevano gli analisti.
Con questi numeri la prossima settimana, salvo sorprese, Janet Yellen, numero uno della Federal Reserve, potrà tranquillamente annunciare un nuovo rialzo dei tassi sui Fed Funds, attualmente fissati nell’intervallo 0,5%-0,75% (ma sul mercato il tasso effettivo è ormai salito allo 0,75%, ossia su quella che dovrebbe diventare la prossima soglia minima), e il tasso di sconto (ora all’1,25%), senza che nessuno possa accusarla di voler fare “deragliare” di proposito la ripresa economica statunitense per infastidire il presidente repubblicano Donald Trump che di certo non le rinnoverà il mandato, la Yellen essendo uno dei pochi esponenti Democratici (per di più di stretta osservanza “Obamiana”) rimasti al proprio posto dopo il 20 gennaio scorso.
Sorpresa, ma non troppo: dopo i dati a Piazza Affari i titoli delle principali banche quotate sono letteralmente volati, con Banco Bpm che ha chiuso a +6,6%, Unicredit a +3,4%, Bper Banca a +3,26% e pure Ubi Banca, che entro giugno dovrebbe varare un aumento da 400 milioni di euro, dopo aver chiuso in perdita di 830 milioni il bilancio 2016 (complice la decisione di spesare in anticipo 850 milioni di oneri previsti per il piano industriale), a +2,48%.
Perché i titoli delle banche italiane quotate in borsa corrono se i tassi si preparano a salire in America? Perché dopo il “no comment” di ieri di Mario Draghi, oggi sono riprese a circolare voci in merito ad una discussione che sarebbe stata avviata in seno al board della Bce circa l’opportunità di alzare i tassi d’interesse sull’euro anche prima dell’esaurirsi del programma di quantitative easing con cui la Banca centrale europea ha continuato finora a comprare 80 miliardi di bond sul mercato ogni mese (ridurrà gli acquisti a 60 miliardi al mese dal mese prossimo).
Programma, ha sottolineato ieri Draghi, che ha fatto bene al mercato e ha contribuito a sostenere una ripresa capace di creare oltre 4 milioni di nuovi posti di lavoro in tutta Europa, ma che, come non perde occasione di ricordare il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, danneggia il sistema finanziario, specie dei paesi come la Germania dove i tassi restano schiacciati vicino a zero (o sotto) sino a durate decennali, pesando quindi su fondi pensione, assicurazioni e banche che col denaro da investire e da prestare ci lavorano.
“Le misure di politica fiscale e monetaria hanno raggiunto il limite” ha tuonato ancora ieri il ministro tedesco, senza che Mario Draghi abbia dato la sensazione di volerne più di tanto tener conto. Ma ulteriori rialzi dei tassi americani e segnali di rafforzamento della ripresa europea che lo stesso Draghi ha citato ieri in conferenza stampa (segnalando anche come non ci sia alcuna intenzione di rinnovare nuovamente i prestiti a tasso zero concessi alle banche con le operazioni di Tltro) potrebbero suggerire all’ex governatore di Banca d’Italia di non indugiare eccessivamente.
Per la banche a quel punto anche in Europa, e in Italia, si potrebbe tornare ad allargare la forbice tra i tassi attivi (applicati alla clientela) e quelli passivi (pagati dalle banche stesse per rifinanziarsi), a beneficio dei margini reddituali dei propri bilanci. All’argomento sono sensibili non solo le banche tedesche, ma anche quelle francesi, spagnole e italiane e con esse i loro amministratori delegati e top manager, che anche quest’anno rischiano di veder limati i propri compensi a causa di un andamento del settore che resta a dir poco precario, influenzato da una domanda di credito ancora debole e dall’esigenza ormai pressante di procedere ad una decisa pulizia di bilancio per poter poi rilanciare l’attività senza più eccessive “zavorre”. Per questo parlare di tassi in crescita fa felici i banchieri e gli investitori, che così tornano a scommettere su questi titoli azionari anche alla borsa di Milano.