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Opinioni

E’ sempre meno facile avviare un’impresa in Italia

Per la Banca Mondiale è sempre l’Asia il continente dove si possono avviare più facilmente nuove aziende. L’Italia perde appeal e scivola dal 54esimo al 56esimo posto: e se iniziassimo con l’applicare alcuni principi basilari finora poco tutelati?
A cura di Luca Spoldi
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Ma non mi dire: anche dall’ultima ricerca della Banca Mondiale relativa ai paesi dove si possono fare i migliori affari mette ai primi posti paesi dell’Asia. Se volete fare affari, dovreste provare a trasferirvi a Singapore, Nuova Zelanda o Hong Kong, ai primi tre posti secondo il ranking economico della Banca Mondiale. Se proprio voleste rimanere in Europa il suggerimento è di andare in Danimarca (che conquista la quarta posizione) o in Norvegia (sesta, preceduta dalla Corea del Nord), prima che in Gran Bretagna (ottava posizione, subito dietro agli Stati Uniti). Nella “top 20” dei paesi (la classifica ne comprende in tutto 189) che presentano le migliori condizioni economiche per avviare un’attività (il ranking in questione tiene in considerazione non solo quanto sia rapido avviare un’attività, ma anche la necessità di permessi di costruzione per nuovi impianti, la facilità o meno di ottenere l’allacciamento alla rete elettrica, le procedure per registrare le proprietà, per ottenere credito, per tutelare gli interessi degli azionisti di minoranza, piuttosto che il peso delle tasse, la possibilità di interscambi con l’estero, le tutele contrattuali e contro l’insolvenza dei debitori) anche la Finlandia (nona), la Svezia (undicesima), l’Islanda (12esima), l’Irlanda (13esima), la Germania (solo 14esima), l’Estonia (17esima) e la Svizzera (al ventesimo posto).

E gli altri paesi europei, in particolare l’Italia? Bisogna scendere al 31esimo posto per trovare la Francia (penalizzata dalle procedure di registrazione delle proprietà), al 33esimo per la Spagna (che sconta problematiche coi permessi di costruzione) e al 56esimo per trovare l’Italia (preceduta persino da paesi come Turchia o Arabia Saudita), che nonostante gli auspici del governo Renzi non sembra ancora avere i “numeri” per attrarre gli investitori, anzi vede un peggioramento della sua posizione competitiva rispetto alla precedente edizione dello studio della Banca Mondiale (l’anno passato il Bel Paese si classificava al 52esimo posto). Unico segnale positivo: siamo ora il 46esimo paese al mondo dove è più rapido avviare un’impresa (lo scorso anno eravamo al 61esimo posto). Ma a parte questo siamo anche oltre il 100esimo posto in classifica per quanto riguarda procedure, tempi e costi per ottenere un permesso di costruzione (116esima posizione, dalla 114esima di un anno fa), per ottenere un allacciamento elettrico (102esima posizione, eravamo 97esimi l’anno passato), per pagare le tasse (141esimi da 137esimi che eravamo) e per quanto riguarda le tutele contrattuali (stabilmente al 147esimo posto).

In compenso siamo discretamente competitivi per quanto riguarda la tutela degli azionisti di minoranza (21esimi al mondo, ma l’anno precedente eravamo 19esimi) e per la protezione contro l’insolvenza dei debitori (29esimi, ma anche qui in calo di due posizioni dall’anno precedente). Ma è troppo poco, decisamente. Anche perché mentre noi perdiamo terreno anche sotto questi aspetti, altri paesi pur non essendo ancora in posizioni elevate stanno iniziando a “emergere” e non si tratta dei “soliti” asiatici, est europei o latino-americani. Stati africani come Benin, Togo, Costa d’Avorio, Senegal, Trinidad e Tobago, Repubblica Democratica del Congo, sono (assieme a Tajikistan, Azerbaijan, Irlanda ed Emirati Arabi Uniti) quelli che hanno registrato i miglioramenti più significativi da un anno con l’altro. L’Africa sub-sahariana vede nel complesso 5 dei 10 maggiori miglioramenti registrati da un’edizione all’altra della classifica della Banca Mondiale potendo contare su 75 delle 230 riforme “strutturali” varate lo scorso anno in tutto il mondo per rendere più agevole fare affari nel paese.

Magari non sarà un indicatore del tutto esaustivo della “attrattività di un paese agli occhi di imprenditori e aziende, sicuramente ci sono altre variabili di cui tener conto. Ma fossimo in Matteo Renzi un’occhiata al report la daremmo e ci faremmo qualche domanda. Una su tutte me la suggeriscono alcuni colleghi parlando anche dei danni che in queste ore vengono segnalati in scia all’ondata di maltempo che sta investendo mezza Italia: non sarebbe ora che si introducesse il principio per cui chi sbaglia paga? Perché troppe volte, al di là delle lentezze burocratiche, dell’incertezza di diritto, della macchinosità del fisco, a causare danni (al paese e ad altre aziende) sono poche aziende e imprenditori “amici” dei potenti di turno, raramente chiamati (gli uni e gli altri) a rispondere del proprio operato (e dunque della qualità della spesa pubblica). Archiviata troppo frettolosamente l’idea di avviare una seria “spending review”, si provi almeno a introdurre questo principio basilare: chi sbaglia paga. Hai visto mai che l’anno prossimo l’Italia possa recuperare posizioni in classifica e attrattività agli occhi delle imprese di tutto il mondo.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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