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Opinioni

E se Shinzo Abe avesse ragione?

I politici di mezzo mondo, in particolare queli europei, sembrano scandalizzati e preoccupati dalle politiche promoesse dal premier giapponese Shinzo Abe. Ma se la ricetta giusta fosse la sua e non quella della Merkel?
A cura di Luca Spoldi
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Il mondo grida allo scandalo per il Giappone: nel tentativo di interrompere due decenni “persi” in una deflazione che doveva servire a risolvere gradualmente e senza troppi danni i problemi legati alla crisi del sistema creditizio giapponese penalizzando la domanda interna ma potendo contare su un solido andamento delle esportazioni (nel frattempo andate in rosso per la necessità di una “riconversione” almeno temporanea dal nucleare al petrolio dopo l’incidente dello scorso anno a Fukushima), il nuovo premier Shinzo Abe rinnega la politica dell’austerità tanto cara ai suoi predecessori (e fonte, sciagurata, di ispirazione per altri politici di tutto il mondo, come Angela Merkel), si vota al deficit fiscale, incoraggia politiche monetarie ultraespansive che fanno gridare alla “bolla” e spaventano, non senza ragione, molti economisti e investitori occidentali che temono che “l’hot money” nipponico possa causare danni anche su altri mercati, prima che la bolla esploda di colpo (per qualcuno il crack è prossimo e i ripetuti “tonfi” di questi ultimi giorni della borsa giapponese non sono che dei tuoni che preannunciano l’arrivo imminente di un devastante tifone tropicale).

Ma, sottolinea Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partners, tanto chi plaude quanto chi critica Abe in Europa (e negli Stati Uniti) non vede o fa finta di non vedere che il premier giapponese sta cercando di varare riforme strutturali sul lato dell’offerta. Guarda caso proprio quelle riforme che in Europa (e in Italia), ma anche negli Stati Uniti si fa fatica a introdurre, per le resistenze dei partiti e delle proprie clientele. Eppure dalla “ricetta Abe” l’Italia, in particolare, avrebbe da guadagnare molto più che non dalla “ricetta Merkel” così pedissequamente seguita finora con ben scarsi risultati, visto che non si è accompagnata (appunto) ad alcuna riforma strutturale ma ha provato solo a “risolvere la crisi” (finendo in realtà col peggiorarla) a colpi di tagli del debito pubblico e privato.

Fa ancora notare Fugnoli: “Mentre l’Europa si affanna sulla Tobin Tax e sui capital gain da colpire sempre più aggressivamente” (una sciocchezza colossale a parere del vostro analista, che porterà nelle casse pubbliche meno denaro di quello che farà perdere al settore, impoverendo al netto il sistema), Abe “detassa per cinque anni gli investimenti finanziari delle famiglie. Mentre l’Europa addita l’Irlanda alla pubblica vergogna per le sue tasse basse per le imprese” (salvo poi cercare di trovare qualche “contentino” per le imprese, agonizzanti, che chiedono di ridurre almeno il cuneo fiscale sul lavoro per poter sopravvivere), Abe “vuole creare zone economiche speciali con poco fisco e poche regole”.

E inoltre: “Mentre l’Europa cerca di pagare l’energia al prezzo più alto possibile, Abe lavora per il ripristino del nucleare” (che resta una fonte imprescindibile in un corretto mix di approvvigionamento energetico, piaccia o non piaccia, il problema essendo semmai quello di studiare un nucleare sicuro e a basso impatto ambientale, cosa che già oggi è ritenuto possibile secondo alcuni progetti portati avanti, ad esempio, dal Nobel italiano Carlo Rubbia). “Mentre l’Europa si fa venire forti mal di pancia quando si parla dell’Iva,  l’imposta regressiva” (vedasi il gran parlare dell’aumento di “ben” un punto percentuale a luglio in Italia), Abe “intende aumentare una sola tassa, per l’appunto l’Iva”. Soprattutto “mentre l’Europa non ha il coraggio di toccare i grandi serbatoi di consenso per i partiti, come i dipendenti pubblici, Abe vuole liberalizzare i prezzi e l’import dei prodotti agricoli nonostante le campagne siano da sempre il punto di forza del Partito Liberaldemocratico”.

Insomma, una “ricetta” a cui va come minimo augurato una buona fortuna, perché rappresenta una delle poche alternative non populistiche (stile “usciamo dall’euro” e altre sciocchezze simili, sempre a parere di chi scrive) alla “cura Merkel” e al successivo empasse in cui sembra caduta l’Europa in attesa delle elezioni tedesche di settembre. Un successo della “cura Abe” darebbe forza a chi cerca di far decollare politiche reflazionistiche anche in Europa, che contengano il germe della ripresa. Rinviare la ripresa di due decenni seguendo “l’esempio giapponese” che Abe stesso rinnega, per evitare di mettere mano alle riforme, sarebbe un dramma generazionale. Rendetevene conto: stiamo parlando di rimanere più o meno fermi come ora, con le stesse incertezze attuali, con un patrimonio sempre più eroso dalle tasse, con un reddito disponibile in continuo calo, con una disoccupazione giovanile che per “scarsità di risorse” rischia di rimanere elevata a lungo e trasformarsi in una precarizzazione perenne del mercato del lavoro.

Tra vent’anni gli attuali ventenni avranno quaranta o più anni. A quali aziende potranno interessare se non avranno fatto esperienze professionali adeguate? Di quale copertura previdenziale e assistenziale potranno godere se non avranno potuto accumulare contributi pubblici né versare contributi a forme previdenziali integrative private in misura sufficiente? Non vorrei ripetermi troppe volte, ma andare avanti così troppo a lungo non è augurabile (pur essendo, purtroppo, possibilissimo, visto le resistenze opposte da cricche e lobbies di tutta Italia e di tutta Europa a ogni forma di cambiamento che intacchi rendite di posizioni più o meno consolidate nei decenni).

Per inciso vi segnalo che nell’ultimo Schroders Global Investment Trends Report, pubblicato in questi giorni, si segnala come il 38% degli investitori intervistati a livello globale prevede di aumentare l’ammontare investito nei prossimi 12 mesi, con un incremento medio del 3% rispetto allo scorso anno. La percentuale d’incremento è maggiore per gli investitori asiatici (5,5%) e minore per quelli Europei (1%), che guarda caso risultano i meno fiduciosi. La crisi europea è destinata a non passare tanto presto, come vi ho già raccontato, le aziende e gli investitori lo hanno capito, i politici non ancora e continuano a perseverare nell’errore, guardando con una malcelata insofferenza questo politico giapponese che vuol cambiare le regole. Come andrà a finire lo vedremo nei prossimi mesi.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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