Due milioni di disoccupati in più a fine 2020, e tra loro ancora 1,1 milione di persone senza lavoro a fine 2021. Sono questi i veri dati da brivido dell’ultimo documento previsionale dell’Istat, diffuso lunedì 8 giugno. Un documento in cui tutta l’attenzione si è concentrata sul calo del Pil di 8,3 punti percentuali, facendo finire sotto al tappeto il dato più preoccupante di tutti: “In effetti nel documento dell’Istat si parla, tra le righe, di un calo del 9,3% delle unità lavorative annue – spiega a Fanpage.it Francesco Seghezzi, presidente di Fondazione Adapt -, un dato che in pochi sanno leggere. Quel dato, confrontato col 2019, vuol dire circa 2 milioni di posti di lavoro in meno”. Si tratta di un calo senza precedenti, per il mercato del lavoro italiano: nei fatti, ricorda ancora Seghezzi, torneremmo “al numero di occupati inferiore a quello che avevamo dopo la crisi del 2008”.
Dodici anni di recupero bruciati in tre mesi di lockdown, insomma, con l’aggravante di un rimbalzo a metà. Anzi, meno di metà: “Istat parla di un recupero del 4,6% nel 2021 – spiega Seghezzi – ma con quel 4,6% non arrivi nemmeno a metà dei posti di lavoro che hai perso. Infatti il recupero sarebbe di circa 900mila posti di lavoro. A fine 2021, a due anni dall’epidemia di Coronavirus, ci ritroveremo ancora con 1,1 milioni di posti di occupati in meno”.
Il crollo è senza precedenti, insomma. E la risposta del governo? “Da un punto di vista normativo, la scelta di un blocco dei licenziamenti fino al 17 agosto è anch’essa senza precedenti – spiega Seghezzi -. Il problema è che i dati Istat raccontano quel che arriva dopo quel 17 agosto”. Ed è qui che si entra in terra ignota: “La portata della scommessa è enorme: secondo il governo, il 17 agosto l’economia si riprenderà, le imprese non licenzieranno, e non perderemo nessun posto di lavoro”, spiega Seghezzi.
Andrà davvero così? Difficile crederlo, anche per il più inguaribile degli ottimisti: “Ci sono 8,5 milioni di italiani in cassa integrazione, che hanno avuto un calo del reddito maggiore o uguale al 20% – continua Seghezzi – Il calo della domanda è fisiologico. Chi lavora nella ristorazione, negli hotel, nel commercio al dettaglio se ne sta accorgendo già in questi giorni. Lo stesso vale per chi lavora nella manifattura e nei servizi, che oltre al calo della domanda interna si ritrova a dover fronteggiare anche il calo di quella estera: “E anche qui i dati sono pessimi – continua Seghezzi -, soprattutto quelli che arrivano dalla Germania, che è il nostro primo partner commerciale, che in questi mesi ha visto crollare la sua produzione industriale ”.
Non ha dubbi, Francesco Seghezzi: “Alla fine del blocco dei licenziamenti, arriverà la botta”. Problema dei problemi: chi paga 2 milioni o più di sussidi di disoccupazione? “Per ora, sul fronte della cassa integrazione c’è il fondo Sure europeo, che ha stanziato per l’Italia circa 20 miliardi e che possiamo utilizzare per pagare la futura cassa o per pagare i fondi stanziati a debito sulla cassa pregressa”. E la disoccupazione? Lì è più complicato – continua Seghezzi -. Se ti ritrovi 2 milioni di persone che chiedono la Naspi è dura, perché i soldi non ce li hai”. Sottotesto: fino a che la Bce continuerà a comprare il nostro debito, riusciremo a cavarcela. Dopo, chissà: “Vediamo come saranno i numeri europei. Forse questa crisi porrà il tema del famoso sussidio di disoccupazione europeo. Se fossi nel governo italiano, lo chiederei a gran voce”, conclude Seghezzi”.
E il dopo, purtroppo, rischia di essere molto lungo. Negli ultimi dati, quelli dello scorso aprile emerge infatti una tendenza molto preoccupante: “Sono diminuiti i disoccupati, quelli che il lavoro non ce l’hanno, ma lo cercano e sono aumentati a dismisura gli inattivi, quelli che il lavoro non ce l’hanno ma non lo cercano più. Sono un milione in più dall’inizio dell’anno, 700mila solo nell’ultimo mese.”, spiega Seghezzi. Effetto lockdown? “Può essere, nessuno si mette a cercare lavoro quando è tutto chiuso. Però nessuno in Europa li ha visti aumentare così tanto”, continua Seghezzi. E allora? “Forse è effetto del blocco dei licenziamenti, forse del reddito di cittadinanza, forse sono le mamme lavoratrici che con le scuole chiuse e i bambini a casa nemmeno provano a cercare un lavoro”. E così fosse, davvero arrivassimo alla fine della pandemia con 2 milioni di occupati in meno e 1 milione di inattivi in più, ci sarebbe davvero da preoccuparsi.