Mentre le borse tirano il fiato, grazie al dato dell’inflazione Usa (calata dello 0,2% su base mensile in agosto all’1,7% annuo) che riduce i timori circa la possibilità che la Federal Reserve modifichi la “guidance” sui tassi segnalando l’approssimarsi della fine dell’epoca del denaro facile, a Milano tornano a salire le quotazioni dei titoli bancari. Merito, come detto, dei minori timori sui futuri movimenti dei tassi (che quando salgono deprimono le quotazioni dei titoli di stato a reddito fisso come i Btp, di cui son pieni i portafogli d’investimento delle stesse banche italiane), ma anche del conto alla rovescia per conoscere l’esito della prima delle due Tltro (Targeted long term refinancing operation, la seconda è attesa per l’11 dicembre) che secondo gli ultimi sondaggi dovrebbe vedere accolte richieste per poco più di 130 miliardi di euro.
Un ammontare decisamente inferiore ai 150-180 miliardi ipotizzati in un primo tempo, anche contando che una richiesta più corposa è attesa per la seconda operazione, quando saranno stati quasi del tutto rimborsati i prestiti ottenuti con le Ltro (Long term refinancing operation) del dicembre 2011 e del febbraio 2012, operazioni queste con le quali Mario Draghi aveva erogato liquidità su scadenza triennale al tasso, all’epoca conveniente, dell’1% annuo. Le Tltro sono operazioni leggermente diverse: da un lato costano assai meno (lo 0,25%) e sono più estese (quattro anni e non tre), dall’altro sono “targeted”, ossia legate all’effettiva erogazione di credito da parte delle banche all’economia reale. Lo scopo di Draghi è infatti di portare l’acqua al cavallo “giusto” (le aziende) visto che il primo (le banche) non ha voluto bere limitandosi a sostituire più onerose fonti di rifinanziamento col denaro fornito dalla Bce.
Proprio per questo dopo che alle banche tricolori (i cui attivi, ossia i prestiti erogati, pesano per meno del 12% del totale europeo) sono andati circa un quarto dei mille miliardi complessivamente erogati a cavallo tra il 2011 e il 2012, sarà importante capire quanto potrà andare stavolta sia in termini assoluti sia in proporzione alle altre banche europee. Quanto al primo punto si potrà infatti capire di quanta “benzina” addizionale può disporre l’economia italiana per tentare una ripresa che resta peraltro largamente condizionata dall’assenza, ad oggi, di qualsivoglia manovra sul lato della domanda, visto che si insiste a varare tagli alla spesa pubblica, che vanno a ridurre la domanda aggregata, a inasprire il fisco, che certo non stimola investimenti privati, e a proporre, peraltro senza ancora aver varato, riforme “strutturali” che modificano solo parzialmente le condizioni dell’offerta, in particolare per quanto riguarda il fattore lavoro e forse gli aspetti regolamentari dei vari settori e della pubblica amministrazione.
Quanto al secondo, si capirà indirettamente quanto più “deboli” restino le banche italiane (e la loro clientela) rispetto alle loro concorrenti estere. Che i nostri istituti siano deboli è evidente sia dall’andamento degli utili sia delle sofferenze sui crediti, salite al 4,3% degli impieghi totali, che il settore debba ancora procedere a una radicale ristrutturazione (che rischia di non essere indolore in termini di posti di lavoro, almeno a breve termine) è altrettanto cosa nota. Quel che non è noto è se e chi sarà in grado di provare a giocarsi la casa dell’uscita dalla recessione. Facciamo qualche conto in base ai numeri che circolano: se non ci saranno sorprese alle maggiori banche tricolori potrebbero andare già nella prima tornata una quarantina di miliardi.
In particolare Unicredit, Intesa Sanpaolo e Mps da sole dovrebbero nel complesso ottenere sui 34 miliardi (di cui 14-15 richiesti da Unicredit, 13 da Intesa Sanpaolo e 6 miliardi da Mps); Banco Popolare punta a ottenere 3,8 miliardi; Ubi Banca (che sembrava intenzionata a saltare questo primo appuntamento per presentarsi solo a dicembre) potrebbe chiedere in tutto 1-2 miliardi anche se non è chiaro quanta parte di questa cifra sarà già erogata domani e quanta a fine anno. Mediobanca, che oggi ha festeggiato il ritorno al dividendo (l’istituto chiude l’esercizio a fine giugno), ha fatto sapere di voler chiedere sui 570-600 milioni nella prima Tltro e “sopra il miliardo” nella seconda per un totale di oltre 1,5 miliardi. Già così gli importi erogati agli istituti tricolori sarebbero attorno ai 40 miliardi di euro, ovvero si aggirerebbero sul 30% del totale, con un peso superiore a quello degli importi erogati tre anni or sono.
Delle due l’una: o le banche italiane stanno per scommettere su una ripresa che resta (da tre anni in modo eclatante, ma in termini reali e sostanziali almeno da un quindicennio come ricorda Banca d’Italia) perennemente in divenire senza mai concretizzarsi, o restano mediamente più deboli delle loro concorrenti europee. Fossimo in un paese ideale sarebbero solo problemi del settore bancario (e se fossimo in un paese dalla forte etica professionale sarebbe un problema dell’attuale management, rivelatosi inadeguato a guidare la trasformazione del settore stesso); siccome non siamo un paese ideale né tanto meno dalla forte etica professionale, con le dovute e meritevoli eccezioni il timore è che il problema sia destinato a perdurare a livello più generale e si preferisca scaricarne i costi sui lavoratori tutti e non solo (o soprattutto) sui dirigenti meno capaci o più compromessi.
Insomma: speriamo che Draghi rifornisca i nostri istituti (e in generale le banche europee) di ampia e non troppo costosa “benzina”, ma per far ripartire il motore dell’economia italiana (ed europea) sarà necessario che la benzina stessa arrivi al distributore finale in tempi rapidi e senza troppi rincari. Anche perchè in un paese fin troppo legato al credito bancario come l'Italia l'eventuale carenza dello stesso rischia di portare a risultati peggiori delle già tetre stime dell'Ocse che non solo prevede che il nostro paese resti in recessione anche nel 2014 (Pil: -0,4%) dopo un 2013 decisamente pesante (Pil: -1,8%), ma che parla di una sostanziale assenza di ripresa anche per il 2015 (Pil +0,1%), col risultato di vedere a fine anno prossimo un'economia neppure in grado di recuperare i già non eccelsi livelli di fine 2012 (l'effetto cumulato delle variazioni sarebbe anzi un calo di circa il 2,1% del Pil ). Rendendo ancora più difficile uscire da una situazione nella gestione della quale sono già stati commessi, sulla pelle degli italiani, già troppi errori.