video suggerito
video suggerito
Opinioni

Draghi, il poliziotto buono che tranquillizza i mercati

Mario Draghi dice ai mercati ciò che volevano sentirsi dire: che la Bce è pronta a “qualsiasi cosa” pur di evitare la dissoluzione dell’euro. Una dichiarazione giunta solo dopo che la Grecia ha accettato…
A cura di Luca Spoldi
8 CONDIVISIONI

Mario Draghi, Mario Monti, Jean-Claude Juncker

Riepilogo a uso di chi non ha grande dimestichezza coi mercati finanziari e le sue dinamiche: Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, ha ribadito oggi che la Bce è pronta a “qualsiasi cosa” pur di difendere l’euro e si dice certo che questo “basterà” e i mercati sembrano credergli, con una corsa alle ricoperture che a fine giornata porta il rendimento del Btp sul 6,045% (40 punti base meno di ieri) e lo spread contro Bund a ridursi al 4,73% (45 basis point di calo). Anche più incisiva la reazione sulla parte breve della curva dei rendimenti, col tasso sul Btp a 2 anni che scivola appena sotto il 4,06% (88 centesimi sotto i livelli della vigilia) e il differenziale col titolo tedesco (che anche oggi esprime rendimenti negativi) che si comprime sino al 4,11% (90 punti base meno di ieri).

Tutto merito della fiducia che i mercati hanno in “superMario”? Indubbiamente l’ex governatore della Banca d’Italia si dimostra molto meno “rigido” del suo predecessore, il francese Jean-Claude Trichet, che solo un anno fa ebbe la disgraziata idea di provare a rialzare i tassi della Bce (che poi Draghi ha tagliato due volte, arrivando ad azzerare la remunerazione sui depositi overnight e portando il costo delle operazioni di rifinanziamento con cui Eurotower presta denaro alle banche allo 0,75%). Ma nel tiro alla fune che da due anni contraddistingue la crisi dell’eurodebito e che non dubito proseguirà almeno per un altro anno e mezzo o due nessuna mossa o dichiarazione è casuale, neppure come timing.

Draghi ha infatti parlato e detto ciò che i mercati volevano sentirsi dire (ossia che la Bce è pronta a usare il “bazooka” rappresentato da acquisti potenzialmente illimitati di titoli di stato periferici, ovvero fornitura illimitata di liquidità alle banche, ovvero ancora tassi a zero per un lungo periodo, o più probabilmente un mix di tutte queste misure sempre meno “straordinarie”) solo dopo che ad Atene i rappresentanti della “troika” Ue-Bce-Fmi hanno trovato un’intesa col governo greco per il varo di un nuovo piano di risparmio da 11,7 miliardi di euro per il 2013 e il 2014 (misure finora evitate in quanto impopolari e che rischiano di prolungare una recessione che quest’anno segnerà il quinto anno consecutivo di durata, con un Pil che si prevede in calo del 5,7% o più contro attese iniziali di -4,7%).

Supermario, insomma, gioca a fare il poliziotto bravo dopo che altri hanno fatto la parte di “poliziotto cattivo”: in queste ultime settimane pare tocchi all’Fmi, che qualche giorno fa aveva minacciato di sospendere ogni aiuto alla Grecia se non si fossero rispettati gli impegni presi in materia di riduzione di deficit e debito pubblici e che oggi fa sapere di accogliere “con favore le dichiarazioni di oggi del presidente della Bce, Mario Draghi” ma di continuare “a essere convinto della necessità di un ulteriore allentamento e di misure di sostegno non convenzionale” e che i negoziati della “troika” con Atene andranno avanti sino a settembre prima di arrivare a una decisione circa la conferma o meno della prevista erogazione di altri aiuti.

Per la Spagna la suonata non è cambiata di molto: il via libera di venerdì scorso da parte dell’Eurogruppo ai 100 miliardi di aiuti (di cui 30 da stanziare entro fine anno) per le banche spagnole è stata infatti immediatamente seguita al varo di una nuova manovra correttiva da parte del governo di Madrid. Per “fortuna” che nel caso dell’Italia lo stesso Fmi ha da tempo fatto sapere che il problema non sono ulteriori tasse (e vorrei vedere) o tagli della spesa (che nell’immediato hanno effetti recessivi simili a nuove imposte) quanto di riforme strutturali. Riforme che stasera l’Fmi precisa essere “importanti per deregolare il settore dei servizi e rendere il mercato del lavoro più inclusivo e flessibile”, così da rafforzare la fiducia del mercato (e quindi far calare nuovamente rendimenti e spread sul debito pubblico).

Qualcuno chiama questo modo di gestire il percorso che dovrebbe portare l’eurozona fuori dalla crisi un “governo del terrore” e probabilmente non si sbaglia di troppo. Resta il fatto che con un debito pubblico ormai pari al 123,3% del Pil (solo la Grecia, col 132,4%, fa peggio, ma Atene sopporta circa 370 miliardi di euro, contro i 1.966 miliardi di debito pubblico italiano) e che aumenta di 270 milioni di euro al giorno (o se volete 11 milioni abbondanti l’ora, circa 190 mila euro ogni secondo) a causa di interessi mediamente attorno al 5% annuo lordo convincere i mercati (ossia gli investitori, banche, fondi o privati che siano) dell’assenza di rischio dei titoli di stato italiani (o peggio spagnoli) non è semplice e non si può dar loro torto.

Le riforme si sarebbero dovute fare prima, da almeno vent’anni. Non sono state fatte ed anzi ci si è baloccati con programmi fumosi, discussioni di principio, battaglie ideologiche e celebrazioni nostalgiche del “miracolo italiano”. Tutte cose vecchie di venti, trenta o quarant’anni almeno, del tutto inutili a immaginare il futuro dell’Italia, delle sue aziende, dei suoi cittadini presenti e futuri. Per questo ora anche la gestione “tramite terrore”, ogni tanto condita di qualche “zuccherino” sembra l’unico modo per far recuperare al paese il terreno che si è perduto per incapacità, disinteresse o, al contrario, troppi interessi “di parte”.

Iniziamo a eliminare lobbies e caste di ogni tipo, iniziamo a investire al meglio i soldi (che non son pochi) a disposizione, iniziamo ad adottare nuovi modelli organizzativi, iniziamo a pensare nuovi percorsi di carriera, nuovi modelli di formazione continua, nuove leggi che favoriscano la nascita di nuove imprese o l’aggregazione e il rafforzamento di imprese esistenti, iniziamo a investire in nuovi prodotti e servizi e i risultati si vedranno nel corso degli anni a venire. Iniziamo ad adottare una narrazione positiva che ridia speranza a una generazione che rischia altrimenti di andare perduta: potrebbe valre persino più di uno spread (che resta alla fine una misura della malattia, non la malattia stessa). O no?

8 CONDIVISIONI
Immagine
Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views