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Draghi (Bce): tassi su questi livelli o più bassi a lungo

Draghi (Bce) non sembra preoccupato dalla crisi del Portogallo ma ammette: i tassi resteranno sui livelli attuali o più bassi a lungo. Almeno finchè i governi non vareranno riforme per rilanciare la crescita accanto al rigore.
A cura di Luca Spoldi
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Mario Draghi si conferma una “colomba”: la Bce, ha spiegato oggi il suo presidente, ha avuto al suo interno “un’intensa discussione su un eventuale ulteriore taglio dei tassi” (che poi sono stati mantenuti stabili sullo 0,5% per le operazioni principali di rifinanziamento, sull’1% per le operazioni di rifinanziamento marginali e a zero sui depositi, livelli a cui erano stati portati lo scorso 8 maggio), in quanto 50 punti base “non sono il livello minimo” possibile. Un’affermazione che potrebbe sembrare ovvia (tanto più che in precedenza lo stesso Draghi aveva ammesso discussioni in seno alla Bce circa l’opportunità di applicare tassi negativi, ad esempio sui depositi) ma non lo è visto che la Germania continua a frenare. Non solo: visto che i rischi per le prospettive economiche di Eurolandia continuano a essere orientati al ribasso (con buona pace dei politici che, anche in Italia, continuano a illudere gli elettori annunciando improbabili “segnali di ripresa” perennemente per il semestre successivo), i tassi secondo Draghi sono destinati a restare “sui livelli attuali, o a un livello più basso, per un periodo di tempo esteso”.

Fin qui niente di nuovo, in fondo, (in questo caso nessuna nuova buona nuova, almeno per chi ha contratto mutui e finanziamenti a lungo termine a tassi variabili) se non forse nei toni. Del resto poche ore prima anche la Bank of England, a capo della quale da inizio mese siede l’ex governatore della banca centrale canadese, Mark Carney, aveva utilizzato un tono particolarmente “dovish” (“da colomba”)spiegando che anche in Gran Bretagna tassi e programma di allentamento quantitativo non si muovono, restando rispettivamente sullo 0,5% (livello a cui vennero portati nell’ormai “lontano” marzo 2009) e a 375 miliardi di sterline (di bond comprati sul mercato dalla BoE tra il marzo 2009 e l’ottobre 2012) in quanto la ripresa in atto nel Regno Unito “resta modesta su base storica e con una certa debolezza che si prevede possa persistere per qualche tempo”. Ma Draghi, non smentendo la fama di banchiere meno “ingessato” di molti suoi colleghi (per alcuni, specie in Germania, sarebbe anzi fin troppo “disinvolto”), è andato oltre e ha sottolineato come i rischi maggiori per la ripresa nel vecchio continente siano legati (non sorprendentemente) ad una domanda interna e globale più debole del previsto e ad una (altrettanto non sorprendentemente) più lenta o insufficiente attuazione delle riforme da parte dei governi della Ue.

Ma anche no, verrebbe da dire, guardando al Portogallo che proprio ieri ha fatto tremare per qualche ora borse e bond di mezzo mondo. Una crisi che secondo gli esperti del Credit Suisse, per inciso, non è paragonabile a quelle in cui è precipitata lo scorso anno la Grecia e semmai potrebbe portare alla richiesta di una rimodulazione dell’attuale programma di aiuti Ue/Fmi che darebbe vita ad un secondo “bailout” e portare ad una modifica, ma solo “marginale” della politica economica di Lisbona, visto che proprio il Portogallo, insieme all’Irlanda, è stato finora il paese che più di ogni altro si è attenuto scrupolosamente alla “ricetta” di salvataggio della troika Ue-Bce-Fmi.  In ogni caso, secondo gli uomini della banca svizzera, “il rischio di un haircut dei creditori privati anche nel caso di un secondo salvataggio resta modesto”. Come dire che chi ha fatto i compiti è tentato dal mollare tutto, a un passo dal traguardo, arrivando a far pensare per qualche ora (come ricorda Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partner) che “la fine dell’euro, se mai ci sarà, non avvenga con un cataclisma, come si è sempre pensato, ma con l’uscita silenziosa di qualcuno che i compiti li ha fatti quasi tutti e che però, a un passo dal traguardo, per misteriose e insondabili ragioni decide comunque di andarsene”.

Se simili dubbi vengono al Portogallo, cosa potrebbe succedere a paesi, come l’Italia, che finora non hanno saputo agire sul fronte delle riforme o della riqualificazione e riduzione della spesa pubblica e hanno insistito maggiorente sul lato delle entrate? I risultati sono sempre più evidenti ogni trimestre che passa e non permettono di indulgere in facili ottimismi: stamane l’Istat ha annunciato che nel primo trimestre 2013 l’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche è salito al 7,3% del Prodotto interno lordo (Pil) rispetto al 6,6% del corrispondente trimestre dell’anno precedente, complice un incremento delle uscite correnti dell’1,0% e di quelle in conto capitale del 7,6%, mentre le entrate totali, e quelle correnti in particolare, sono rimaste invariate rispetto al corrispondente periodo del 2012 pur a fronte di una pressione fiscale salita al 39,2%, 0,6 punti percentuali in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Illudersi che la Ue ci consenta di sforare significativamente ai vincoli di bilancio sottoscritti a suo tempo dal governo Berlusconi e resi ancora più vincolanti dal governo Monti sembra davvero un esercizio di “politica balneare” molto pericoloso.

Che Draghi non possa che continuare (fino a quando?) a comprare tempo e contemporaneamente a “strigliare” governi come quello italiano che continuano a far finta di non capire sembra dunque l’unica, precaria, strategia possibile e in qualche modo funziona pure, visto che il Btp decennale guida oggi vede il rendimento ridiscendere sotto la soglia del 4,5% lordo annuo con uno spread su Bund del 2,8%, di qualche centesimo più basso rispetto ai livelli visti nelle ultime sedute, mentre anche il Tesoro spagnolo tira il fiato con un discreto esito  dell’asta dei titoli a medio termine (che ha visto assegnati tutti i 4 miliardi di euro massimi previsti  ma a fronte di un tasso sulla scadenza 2016 risalito al 2,875% dal 2,706% di giugno e di un tasso sui titoli 2018 aumentato al 3,792% dal 3,592%). Non pretendete però poi di potervi illudere che la ripresa sia “dietro l’angolo”: non c’è e non ci sarà sinché non vi saranno condizioni per far ripartire gli investimenti diretti dall’estero, il che richiede tasse meno opprimenti, minore burocrazia, maggiore apertura alla concorrenza nei vari settori e minore corruzione e delinquenza. Ah già, ma sono proprio quelle aree in cui vado ripetendo (non pretendo di essere originale) che servirebbero riforme strutturali, forse persino prima e più che sul versante della spesa che pure è in drammatico ritardo.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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