Il rally con cui la borsa di Milano ha salutato l’esito delle elezioni europee di domenica scorsa si è interrotto a metà giornata, proprio mentre sul mercato giungevano i primi commenti circa quelli che potranno essere gli effetti indotti dall’esito delle votazioni. A scanso equivoco chiariamo subito: la netta riduzione di rendimenti e spread sui titoli di stato italiani (il Btp decennale guida stasera ha chiuso al 3%, contro l’1,39% del Bund tedesco, con uno spread dell’1,61%), che sembra far rientrare i timori di chi solo una settimana fa paventava che la festa fosse finita è stata l’elemento scatenante del rally molto più che i commenti di analisti e politologi più o meno improvvisati. Un calo dei rendimenti consente infatti alle quotazioni dei titoli a reddito fisso (di cui sono piene le casse delle banche italiane) di salire, trascinando al rialzo le quotazioni dei gruppi bancari, impegnati in un delicato passaggio con aumenti di capitale a ripetizione (Bpm ha appena concluso felicemente il suo aumento da 500 milioni, il Credito Valtellinese ha in corso un’operazione da 400 milioni, a breve partirà l’aumento per massimi 5 miliardi di Mps).
Da cosa è stata scatenata la “riscossa” dei titoli di stato italiani (e spagnoli, nonostante in Spagna i risultati elettorali siano apparsi molto meno favorevoli al governo in carica di quanto accaduto in Italia)? Dal fatto che la Bce è ormai pronta a “usare il bazooka” o almeno così fa credere il suo numero uno, Mario Draghi, che non perde occasione per ribadire come “in caso di ulteriori segnali di rallentamento dell’inflazione” (che rende meno sostenibile in assenza di crescita il debito pubblico di paesi come Italia e Spagna) la Bce sia intenzionata a varare nuove misure straordinarie (quali una limatura dei tassi Repo utilizzati sulle operazioni di rifinanziamento principali, già pari allo 0,25% annuo e che forse verrà se non azzerato portato allo 0,10% annuo, o eventualmente anche dei tassi sui depositi, pari a zero e destinati dunque ad avventurarsi nel territorio inesplorato dei tassi negativi).
Di più: Mario Draghi ha annunciato che già venerdì prossimo “sarà diffuso un documento congiunto da Bce e Banca d’Inghilterra sui problemi che abbiamo identificato e la linea di azione che vorremmo scegliere per rivitalizzare il segmento degli Abs” (Asset backed Securities, ossia titoli di cartolarizzazione di crediti). Un passaggio fondamentale dopo che la Bundesbank per bocca del suo capo Jens Weidmann (membro del board della Bce) ha scosso nuovamente la testa dicendo, prima delle elezioni, che una simile misura è “troppo complicata” per aver successo visto che il mercato degli Abs in Europa è di fatto congelato sin dalla crisi finanziaria mondiale del 2008-2009. Il che è vero tanto che anche pure Yves Mersch, membro lussemburghese della Bce, ribadiva fino a qualche settimana fa come un eventuale “quantitative easing” (acquisto di titoli obbligazionari come gli Abs sul mercato da parte della Bce) rimasse “per lo più un concetto teorico” e non un’opzione concreta.
Draghi, che già come Direttore Generale del Tesoro italiano prima e Governatore di Banca d’Italia poi si è distinto per le indubbie doti di pragmaticità e l’abilità di interpretare in modo “innovativo” i regolamenti delle istituzioni da lui guidate, non ha perso tempo a controbattere, ha atteso ed ora con un’avanzata dei movimenti populisti in tutta Europa che penalizza di più il blocco socialdemocratico ma comunque non risparmia i partiti popolari-conservatori, compresa la Cdu di Angela Merkel, sembra pronto a calare il suo asso. Il pallino, ripetono alcuni analisti, resta comunque nelle mani della Germania, contro i cui interessi nulla si potrà mai fare in Europa, il che non significa che non sia possibile far capire a Berlino come il crollo delle economie di paesi come Italia, Spagna e persino Francia non rischi di trasformarsi in un pericoloso boomerang per le esportazioni tedesche, visto che la Ue resta tuttora il principale mercato di sbocco di merci e servizi “Made in Germany”.
Commentando i risultati elettorali Asoka Woehrmann, co-direttore investimenti della tedesca Deutsche Asset & Wealth Management ha notato come “gli euroscettici hanno guadagnato rappresentanza, ma la loro influenza complessiva rimane poco chiara fino a quando si concluderà la formazione di coalizione”. Tanto rumore per nulla, insomma? “Come previsto, i cittadini hanno utilizzano le elezioni europee per mostrare il loro malcontento sull’operato dei rispettivi governi nel corso della crisi – prosegue il gestore – tuttavia, questo risultato non ha colto di sorpresa i mercati finanziari e i fondamentali del mercato sono rimasti positivi” ed anzi “gli spread della periferia dovrebbero diminuire e i mercati azionari dovrebbero recuperare”. Tuttavia “la costruzione di coalizioni di euroscettici e i Paesi soggetti a possibili rischi politici (oltre alla tornata elettorale, il Belgio deve tornare a votare il rinnovo del parlamento a breve e la Grecia potrebbe indire elezioni anticipate entro l’estate, ndr) dovrebbe essere monitorati da vicino”.
Il commento è interessante perché sembra dire che non cambia quasi niente ma non si potrà più fare finta che tutto vada bene come finora. Il che sarebbe un’ottima notizia visto che la “cura tedesca” non ha risolto i problemi dell’eurozona ed anzi ha costituito alla fine una parte del problema stesso. Così il fatto che ora Mario Draghi reciti la parte del “poliziotto buono” e ricordi come “le Pmi ci stanno molto a cuore perché contribuiscono per l’80% all'occupazione nell’area dell'euro” non può che essere un segnale positivo anche se rischia di non essere sufficiente. Il documento che verrà annunciato venerdì dovrebbe rivedere la normativa sugli Abs e proporre una standardizzazione dei criteri, così da garantire (almeno in teoria) la stessa facilità/difficoltà di accesso al credito ad aziende italiane, spagnoli, francesi o tedesche, come non accaduto finora.
Per l’Eurozona ha concluso Draghi (senza che da Berlino intervenissero a correggere subito il tiro) “è un problema se le Pmi non hanno credito” ed è per questo che la Bce proverà a riscrivere le norme sul mercato degli Abs per cercare di rivitalizzarlo, con effetti che Draghi si augura possano essere visibili “nel giro di un anno”. La luce in fondo al tunnel è ancora lontana, ma questo cari lettori lo sapevate già se mi avete seguito nei precedenti due anni. Nel frattempo Matteo Renzi dovrà inventarsi qualcosa, perché di investimenti diretti dall’estero (più volte correttamente indicati come un potenziale volano per la ripresa economica ventura) in Italia continuano a vedersene pochi o punto. Nella sua indagine annuale, come ricorda anche Mario Seminerio, Earnst & Young segnala come lo scorso anno gli investimenti diretti dall’estero verso l'Europa abbiano toccato il record storico di 225 miliardi di euro creando 166 mila nuovi impieghi.
L’attrattività dell’Europa pare in risalita agli occhi degli investitori esteri, col Regno Unito, la Germania, la Spagna e il Belgio che rappresentano i cinque paesi che maggiormente godono di investimenti in larga parte (il 25%) arrivano dagli Stati Uniti, con la Cina che vede crescere la sua importanza come investitore. L’Italia non è nei primi 15 paesi dell’indagine. Avete letto bene: quella che una volta era la sesta o settima “potenza industriale” al mondo non figura neppure tra i 15 paesi europei coi maggiori flussi di investimento in arrivo dall’estero. E questo nonostante lo shopping, che pure c’è stato in questi anni, di marchi e produzioni di eccellenza del “Made in Italy”, che però o sono stati acquistati a poco prezzo a seguito della crisi in cui erano caduti o hanno rappresentato comunque dei casi isolati che non hanno smosso cifre rilevanti a livello complessivo. Meditate gente, meditate.