Ancora poche ore e poi si saprà se il 45esimo presidente degli Stati Uniti, chiamato a succedere a Barack Obama, sarà come sembrano credere i mercati finanziari la Democratica Hillary Clinton, già ex first lady, ex senatrice di New York ed ex Segretario di Stato proprio con Obama, o il miliardario Donald Trump, inviso ai mercati non meno che all’establishment del partito Repubblicano che pure rappresenta nella sfida per la Casa Bianca.
Molti in questi ultimi giorni constatando il margine esiguo che Hillary Clinton ha mantenuto su Donald Trump (circa il 3%) hanno invitato alla prudenza, suggerendo di non fidarsi dei sondaggi visto il precedente “sfortunato” del referendum inglese sulla Brexit, ma un’analisi di Source fa notare come in questo caso la sorpresa (ossia la vittoria di Trump) sarebbe davvero maggiore, visto che nei due mesi che precedettero la consultazione britannica del 23 giugno scorso un sondaggio su due suggeriva la possibile vittoria, come poi è avvenuto, del partito del “leave”, mentre nel caso statunitense solo un sondaggio su otto ha attribuito, sempre nei due mesi che hanno preceduto il voto, la vittoria allo sfidante Repubblicano.
Comunque vada, la politica in questo 2016 che si avvicina al termine è tornata ad essere un fattore in grado di condizionare l’andamento dei mercati, come non accadeva ormai da anni, complice l’assoluta prevalenza dell’impulso dato dalle azioni di politica monetaria portate avanti dalle principali banche centrali mondiali rispetto a qualsiasi dato macroeconomico o politico (salvo momentanei incrementi del premio per il rischio legato ad attentati e tensioni geopolitiche).
Con l’appuntamento elettorale statunitense quasi alle spalle e in attesa dell’ampiamente anticipato (in caso di vittoria della Clinton) rialzo di un quarto di punto dei tassi ufficiali sul dollaro da parte della Federal Reserve, l’attenzione secondo gli esperti di Source si sposterà proprio sull’Italia e sul referendum confermativo della riforma costituzionale, atteso per il 4 dicembre prossimo. “Il vero timore qui (o speranza per coloro che hanno un atteggiamento anti-euro)”, scrivono gli esperti, “è che la vittoria del “No” possa aprire una crisi politica e portare ad elezioni anticipate in Italia, cui magari farebbe seguito un referendum sull’appartenenza dell’Italia alle Ue”.
Il rischio “Italexit”, insomma, inizia a concretizzarsi, anche perché “sfortunatamente per il governo, i sondaggi suggeriscono che la proposta” di riforma costituzionale “verrà bocciata, nonostante circa il 35% degli intervistati debba ancora formarsi un’opinione” in merito. Peggio ancora, continuano gli uomini di Source, “la tendenza è contro il governo: a inizio anno i sondaggi suggerivano che il governo avrebbe vinto facilmente, ma la posizione si è ribaltata verso metà anno e da allora il gap a favore del “No” è cresciuto costantemente” fino ad oscillare tra i due e i tre punti di vantaggio sul “Sì” in 19 degli ultimi 20 sondaggi.
A parte una certa complicazione intrinseca della riforma e della collegata riforma elettorale, che pure mirano a risolvere molti dei problemi che gli osservatori esterni hanno sempre sottolineato rispetto al sistema italiano (instabilità e incapacità di realizzare le riforme strutturali necessarie a far ripartire l’economia italiana), a complicare il tutto secondo gli esperti è stato il premier Matteo Renzi con le proprie mani, quando ha dichiarato che in caso di sconfitta avrebbe presentato le dimissioni, cosa che ha portato e forze d’opposizione a fare campagna per un plebiscito anti-Renzi anziché entrare nel merito della riforma.
L’ipotesi di elezioni anticipate, poi, comporta il rischio di una affermazione di movimenti populisti come Lega Nord e M5S, che potrebbero essere tentati dall’invocare un referendum sulla permanenza o uscita dell’Italia dall’Unione europea, un progetto già messo in difficoltà dall’uscita della Gran Bretagna e che l’uscita dell’Italia rischierebbe di far colare a picco definitivamente. Perché allora, si chiedono gli esperti, i mercati non sono stati colti da panico?
Primo perché l’attenzione finora è rimasta concentrata sulla corsa per la Casa Bianca, secondo perché nel frattempo Renzi ha fatto marcia indietro sulle dimissioni (anche se è improbabile che possa sopravvivere a lungo ad una bocciatura della sua riforma), terzo perché anche l’eventuale uscita di scena di Renzi potrebbe non coincidere col ritorno anticipato alle urna degli italiani.
In ogni caso, concludono gli esperti, se vincesse il “No” al referendum (ancor più che se vincesse a sorpresa Trump negli Stati Uniti, ndr), l’Italia si ritroverebbe a sopportare una maggiore volatilità in parte già riflessasi in un allargamento degli spread tra rendimenti dei titoli di stato italiani e rendimenti dei titoli di stato tedeschi, ma anche francesi e spagnoli.
Se a seguito di una sconfitta al referendum il governo Renzi cadesse, i mercati finanziari potrebbero reagire violentemente e negativamente, quanto meno per testare la volontà e capacità della Bce di difendere l’euro. In questo caso una difesa a breve-medio termine per gli investitori potrebbe essere rappresentata da beni rifugio come oro, franchi svizzeri, yen e bond statunitensi, giapponesi e svizzeri.