Giornata negativa per i titoli del settore elettrico in borsa a Milano: Enel ha perso l’1,6%, Terna, il gestore della rete elettrica nazionale, l’1,8%. Sui titoli ha sicuramente pesato l’annuncio dato alla Camera dal ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, che il governo ha chiesto alle società elettriche di rivedere i propri piani di investimento, al fine di aumentare la capacità della rete di resistere a eventi di natura eccezionale come le nevicate e il sisma abbattutosi la scorsa settimana in Centro Italia e che sembra avere agito come concausa nell’originare la slavina costata la vita a 25 persone (più 4 dispersi) a Rigopiano, sul Gran Sasso.
Nel frattempo verrà insediata “una commissione indipendente” per accertare l’origine dei black out registrati negli ultimi giorni. Mentre il ministro parlava, e le aziende chiamate in causa tacevano, sui mercati si notava anche un rialzo dei rendimenti sui titoli di stato di Eurolandia, col rendimento dei Btp decennali salito al 2,12% (dal 2,03% di ieri) e quello dei Bund di pari durata allo 0,47% (dallo 0,41%), con conseguente crescita dello spread all’1,65% dal precedente 1,62%.
Un segnale decisamente negativo società dei servizi di pubblica utilità come Enel e Terna (ma anche Telecom Italia), sensibili all’andamento dei tassi a causa degli elevati livelli di indebitamento necessari alla propria attività. Enel, infatti, dovrebbe aver chiuso il 2016 con 38 miliardi di debito, mentre Terna a fine settembre presentava un debito di 7,8 miliardi e prevedeva un graduale calo dello stesso sino a circa 7,2 miliardi entro fine 2018.
Terna in base all’attuale piano strategico aveva promesso di investire 3,6 miliardi sulla rete tra il 2014 e il 2018 e di mantenere il rapporto debito netto/Rab (Regulated asset base) al di sotto del 60%. Ora l’impegno che il governo e il contemporaneo rialzo dei tassi d’interesse possono mettere a rischio tale impegno.
Enel dal canto suo nell’ultimo aggiornamento del piano industriale 2016-2019 già prevedeva di far salire a 28,5 miliardi il totale degli investimenti nell’arco del piano (contro i 26,6 miliardi inizialmente previsti), di cui 17 miliardi dedicati alla crescita e 11,5 miliardi per la manutenzione di impianti e infrastrutture.
Chiedere maggiori investimenti alle imprese in un momento in cui stanno tornando a salire gli oneri finanziari cui le stesse sono esposte sembra un’azione diametralmente opposta a quella che sta provando a mettere in piedi, dall’altra parte dell’Atlantico, Donald Trump e se è vero che esistono non pochi dubbi sulla concreta possibilità per il neopresidente Usa di ottenere i risultati sperati in termini di crescita a lungo termine e di recupero di produttività e posti di lavoro, è altrettanto vero che chiedere senza poter offrire nulla sembra altrettanto poco sostenibile a medio-lungo termine.
Ma forse il governo, che dopo l’odierna sentenza della Corte Costituzionale sull’Italicum potrebbe avere a sua volta qualche problema di tenuta a medio termine, potrebbe accettare una contropartita indiretta, ossia che i maggiori investimenti vengano scaricati da Terna ed Enel (e, perché no, da Telecom Italia o qualsiasi altro operatore di reti infrastrutturali) sulle tasche dei consumatori tramite aumenti tariffari in bolletta.
Speriamo che questa ipotesi non si concretizzi, perché sarebbe l’ennesimo costo che andrebbe a pesare sia sulle aziende sia sulle famiglie italiane, con un effetto sicuramente poco incentivante in termini di crescita futura.