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Donne, giovani, precari e part-time: chi non è tornato al lavoro il 4 maggio con la fase due

Uno studio realizzato da Inps e Inapp permette di capire quali lavoratori non abbiano potuto riprendere la loro attività il 4 maggio, con l’avvio della fase due. Si tratta soprattutto di donne, persone con contratti part-time o temporanei, lavoratori precari, con salari più bassi e impiegati in piccole imprese.
A cura di Stefano Rizzuti
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Sono precari, giovani, donne e part time i lavoratori che non hanno ripreso la loro attività il 4 maggio, con l’inizio della fase due. Una ricerca condotta da Inps e Inapp evidenzia come chi rimane bloccato è chi già ha meno garanzie e svolge attività temporanee e saltuarie. In particolare, a non poter ripartire sono soprattutto le piccole imprese, insieme a chi ha meno garanzie di sicurezza sul lavoro e una fragilità più elevata sul mercato per il suo settore di riferimento.

I lavoratori bloccati: donne, part-time e giovani

Secondo questo studio il 56% dei lavoratori bloccati sono donne, così come il 48% di chi non ha ripreso è rappresentato da lavoratori temporanei. Ancora, il 56% ha un impiego part-time, mentre ben il 44% sono giovani. Il 20%, ancora, sono stranieri, mentre il 46% lavora presso piccole imprese. Si tratta, inoltre, di lavoratori che hanno livelli medi dei salari molto più bassi rispetto a chi, lavorando in settori essenziali, è già ripartito.

In particolare i lavoratori essenziali guadagnano il 127% in più rispetto a quelli dei settori bloccati su base annua. Una differenza del 47% sul salario settimanale: forbice meno ampia perché molti di questi lavoratori sono precari e non svolgono attività per tutti i 12 mesi dell’anno. In sostanza i settori bloccati sono caratterizzati da instabilità forte, con un numero medio di settimane lavorate di 19 contro le 31 dei settori essenziali.

Quali sono i settori bloccati e quali zone d’Italia

Le attività che non possono ripartire sono soprattutto quelle turistiche e sportive, completamente bloccate. Stop anche all’82% delle attività di alloggio e ristorazione e al 41% delle altre attività di servizi. Sono ripartiti i settori in cui c’è meno rischio di contagio e meno prossimità tra i lavoratori, nonché quelli in cui c’è una maggiore propensione allo smart working. Si è tornati a lavorare soprattutto al Nord in Italia, con una percentuale maggiore nel Nord-Ovest, proprio nelle Regioni in cui si registrano più casi di contagio. I settori riattivati finora, comunque, impattano poco sulle grandi città, dove il problema principale – in questa prima parte della fase due – resta quello dei trasporti.

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