Doccia fredda per Saipem, che in borsa da qualche giorno sta nuovamente vedendo il titolo perdere quota. Parlando in giornata a margine di un convegno sul futuro dell’energia, Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, ha sottolineato come il cane a sei zampe non sia interessato in alcun modo a partecipare a Turkish Stream, il nuovo progetto che la Russia ha proposto alla Turchia e che in parte ricalca il vecchio tracciato di South Stream, l’oleodotto che avrebbe dovuto collegare i terminali del gas naturale russo situati nel porto di Beregovaya, sul Mar Nero, con l’Europa attraversando lo stesso Mar Nero per poi riaffiorare presso il porto bulgaro di Varna.
Da lì il gas di Gazprom, che attualmente arriva in Europa attraverso l’Ucraina, paese con cui la Russia ha da tempo un difficile contenzioso politico-economico-militare in atto, avrebbe dovuto prendere due strade, una attraverso la penisola balcanica e l’Austria, l’altra attraverso la Grecia, il canale di Otranto e l’Italia. Un progetto da una ventina di miliardi di euro di valore che si è però arrestato a fine 2014 e che inizio anno sembrava poter tornare in vita, per poi rimanere da qual momento in un limbo venendo usato di volta in volta come un ramoscello d’ulivo o una minaccia da parte di Putin, in base all’altalenante andamento dei rapporti tra Russia e Turchia, entrambe coinvolte direttamente nella crisi siriana, non sempre sullo stesso fronte.
Saipem con lo stop a South Stream ha visto volatilizzarsi 2,4 miliardi di euro di commesse che si pensava potessero almeno in parte essere compensate da un coinvolgimento nel nuovo progetto, ma le parole di Descalzi lasciano poco spazio a tale ipotesi: il progetto South Stream rientrava in “una strategia del 2007, con una strategia del gas differente”, ora lo scenario del mercato è completamente cambiato ed Eni non è più interessata “non siamo una compagnia che fa trasporto di gas – ha ribadito Descalzi – lo facciamo per il nostro gas, non facciamo investimenti di quel tipo. Non è un progetto di nostro interesse”.
Così il titolo Saipem in borsa ha chiuso in calo del 3% appena sopra la soglia dei 35 centesimi per azione, riportandosi al di sotto dei 36,2 centesimi che era il prezzo a cui venne eseguito l’aumento di capitale da 3,5 miliardi a inizio anno. Per la verità il calo del titolo si spiega non solo con le nuove strategie di Eni, che ormai di Saipem controlla solo più il 30,42% (mentre il 12,5% fa capo ad un’altra controllata del Tesoro, Cassa depositi e prestiti) e che sembra considerare sempre meno “strategiche” le attività della controllata, ma anche con l’annuncio dato dal colosso brasiliano Petrobras che ha rivisto il piano industriale al 2021 sforbiciando di un quarto gli investimenti da 98 a 74,5 miliardi di dollari.
Il gruppo brasiliano ridimensionerà in particolare i nuovi progetti di diversificazione dell’attività e cercherà partner per lo sviluppo dei nuovi giacimenti, focalizzandosi sulla riduzione del debito, una strategia comune a molte altre major tra cui la stessa Eni, che nel frattempo ha finalmente annunciato l’avvio della produzione del maxi giacimento di Kashagan (costato finora 16 anni di lavori e quasi 50 miliardi di dollari di investimenti), da cui a partire da ottobre inizieranno a essere pompati 75 mila barili di petrolio al giorno per poi salire gradualmente, secondo Descalzi nell’arco di 4-5 mesi, all’obiettivo di 370 mila barili di picco produttivo.
Un livello che molti analisti ritengono troppo ambizioso, prevedendo che a fine 2017 non si andrà molto oltre quota 154 mila e che per centrare il target ad Eni occorreranno quasi 10 anni dall’avvio della produzione. Sia come sia, mentre si attende l’ennesimo vertice Opec, ad Algeri, la prossima settimana, in cui la Russia potrebbe ratificare l’accordo già annunciato con l’Arabia Saudita, le quotazioni del petrolio faticano a risalire sopra i 43 dollari al barile (nel caso del Wti) ovvero i 45,5 dollari al barile (per il Brent), così Descalzi ha buon gioco a dire che “sicuramente c’è bisogno per molti Paesi Opec di avere prezzi differenti, più alti” ma che preferisce concentrarsi da parte sua “su come avere costi di struttura su cui posso lavorare anche a prezzi molto bassi”.
Per la ripresa degli investimenti non sarà probabilmente sufficiente l’accordo russo-arabo, ma una ripresa della domanda mondiale che appare ancora molto timida anche se, grazie alla chiusura degli impianti marginali, nei primi sei mesi del 2016 lo squilibrio tra domanda e offerta si è ridotto dagli iniziali 1-1,6 milioni di barili al giorno a 300 mila barili al giorno. Non abbastanza per far decollare né Eni, che dopo aver lasciato sul terreno oltre il 6% nell’ultima settimana oscilla circa un 12,5% sotto i livelli di un anno fa, né Saipem, che segna -8,5% in settimana, -64,5% circa sull’anno, ma sufficiente a far risalire Tenaris (stabile in settimana, in rialzo dell’8,75% sui 12 mesi), per non dire di colossi esteri come Total (appena sotto il +8% sull’anno), BP (che supera il +37% in sterline), Chevron (quasi +32% in dollari) ed Exxon Mobil (+18% in dollari).