I grandi della terra, riuniti a Davos per l’annuale World Economic Forum, hanno finalmente trovato un accordo: il crescente populismo mondiale è un problema. La parte difficile resta tuttavia trovare una soluzione condivisa. Ha provato oggi a indicare una strada, parlando ad un incontro organizzato dall'agenzia Bloomberg, il numero uno del Fondo monetario internazionale (Fmi), Christine Lagarde, suggerendo una più ampia distribuzione delle ricchezza per arrivare alla quale, spiega, occorreranno riforme fiscali e strutturali, su base regionale, pensate per far uscire le persone dalla crisi che implicheranno probabilmente “una maggiore redistribuzione (della ricchezza mondiale, ndr) rispetto a quanto abbiamo al momento”.
Nel concreto la Lagarde pensa a programmi per riqualificare i lavoratori piuttosto che una maggiore spesa sociale. Una proposta che rischia di scontrarsi sia contro le istanze iper liberiste di Donal Trump, che punta ad accelerare la crescita economica statunitense con un mix ancora da definire di dazi all’importazione, incentivi per le imprese che riallocheranno gli investimenti negli Usa e una deregolamentazione spinta, sia contro la politica del rigore fiscale che, sebbene attenuata in questi ultimi due anni, continua ad essere la stella polare della politica europea, sotto la spinta della Germania.
Anche per questo, e per l’imminente serie di nuovi test elettorali alle porte, dall’Olanda alla Francia alla Germania (per non parlare dell’Italia dove l’ipotesi di elezioni anticipate entro l’estate continua a tener banco), alcuni degli altri ospiti di Davos, come il gestore di hedge fund Ray Dalio, sembrano convinti che non basterà mettere qualche pezza e che ci troviamo ormai “al punto in cui la globalizzazione sta finendo e la provincializzazione e la nazionalizzazione torna a prendere piede”.
I tecnocrati riuniti a Davos devono dunque cercare di trovare un compromesso tra soluzioni potenzialmente molto costose (e dunque difficilmente attuabili) e le istanze populiste che stanno sempre più prendendo piede in tutto il mondo per preservare l’attuale sistema globale bancario, finanziario e degli scambi commerciali.
Per riuscirci, ha spiegato Richard Baldwin, docente di economia internazionale all’Institute of International and Development Studies di Ginevra, intervistato da Bloomberg, dovranno fare in modo che si arrivi “ad un sistema che protegge i lavoratori, non il lavoro”, in cui “la società aiuti le persone a riqualificarsi e riorientarsi”.
Occorrerà dunque “pagare per la coesione sociale di cui abbiamo bisogno per consentire alla nostra società di avanzare” ed accettare “che questo possa significare un carico fiscale più elevato sulle persone”. Le opinioni però al riguardo continuano a divergere e di molto: due premi Nobel come Joseph Stiglitz e Angus Deaton, invitati a Davos, hanno suggerito che l’Europa in particolare debba cambiare, ma ognuno ha una sua differente ricetta.
Per Stiglitz, da tempo un “no euro” convinto, se l’euro non potrà essere “aggiustato” dovrà essere abbandonato, mentre per Deaton, autore di tesi sull’ineguaglianza della globalizzazione economica, la spaccatura tra politici ed elettori non è mai stata così ampia e se la disgregazione dell’Unione europea “può certamente aiutare”, essa “comporterebbe un mucchio di altri problemi”. In ogni caso occorre riuscire a superare la crescente sensazione “che le persone abbiano un controllo molto limitato su ciò che decide la Ue”.
Da parte sua l’ex Segretario al Tesoro statunitense, Lawrence Summers (tornato all’insegnamento universitario ad Harvard), ha attaccato Donald Trump che “ha fatto quattro o cinque telefonate a quattro o cinque società, sospendendo grandemente le norme di legge ed estorcendo dozzine o anche centinaia di nuovi posti di lavori negli Stati Uniti”. Per rendere più grande l’America (e assicurare il proseguo della globalizzazione), ha ammonito Summers, occorrerà tuttavia promuovere almeno tre sforzi.
Anzitutto serviranno investimenti pubblici su scala adeguata, a partire dalle infrastrutture, ma anche comprendendo tecnologia ed educazione; poi occorrerà fare in modo che l’integrazione globale lavori a favore della gente comune, terzo, si dovrà fare in modo che si realizzino “i sogni di tutti i giovani americani”.
Pier Carlo Padoan, presente a Davos, ha preso appunti per poi ribadire che la Brexit e i proclami di Trump rappresentano una sfida per le autorità politiche: “essi hanno una visione, noi non abbiamo una visione in Europa, almeno non una che sia comparabile in termini di potenza del messaggio”. Già, ma come ci si stia attrezzando per vincere la sfida del populismo, se non ricorrendo alle sue stesse tattiche, non è ancora chiaro, in Italia e non solo.