Si parla sempre di Grecia. L’ipotesi di un’uscita della Grecia dall’euro continua a far discutere gli analisti, con Citigroup che la reputa probabile entro il 2014 mentre gli uomini del Credit Suisse spiegano di continuare a ritenere che il rischio che un tale evento si verifichi nei prossimi dodici mesi “molto più basso di quanto il consensus di mercati si aspetta”, vale a dire circa il 5% per gli esperti svizzeri contro il 50% che apparentemente sembra stimare al momento il mercato. Il perché sono gli stessi analisti rossocrociati a spiegarlo: contrariamente alla vulgata corrente un simile evento non comporterebbe nell’immediato particolari benefici e presenterebbe anzi costi molto elevati sia per l’economia greca per i paesi “core” dell’area dell’euro, dato che si rischierebbe di innescare un ulteriore processo di “disintegrazione dell’euro”, anche a causa di costi elevati legati alle misure da adottare per mantenere intatti e coesi i resti dell’area dell’euro. Costi che supererebbero quelli legati al mantenimento di Atene nell’euro stesso. Per questo, oltre che per il fatto che “una chiara maggioranza dei greci è favorevole a rimanere nell’euro” e per il fatto che “l’euro rimane un progetto politico fondamentale” per il vecchio continente, in attesa dell’esito delle prossime elezioni del 17 giugno in Grecia che peraltro “resta estremamente incerto” la Bce è probabile continui “a fornire sufficiente supporto alle banche greche”, così da consentire alle stesse “di rimanere nell’area dell’euro fino a che i negoziati (tra la Grecia e la “troika” Ue-Bce-Fmi riguardo eventuali nuove concessioni ad Atene, come una allungamento dei tempi per centrare gli obiettivi di ristrutturazione dei conti e di riforma dell’economia, ndr) non saranno conclusi”. Tutte informazioni assolutamente importanti per capire i perché i mercati continuino a rimanere in altana, con indici di borsa che aprono in forte recupero, tornano in negativo e poi chiudono poco sopra o poco sotto i livelli della vigilia, mentre i rendimenti dei titoli di stato “periferici” come Btp e Bonos un giorno salgono e quello dopo scendono, allargando e restringendo gli spread coi Bund tedeschi (sempre meno convenienti, visto che ormai rendono virtualmente zero fino a tre anni e non più della metà dell’inflazione corrente su tutte le scadenze rimanenti, anche le più lunghe).
Qualcosa inizia a muoversi. Ma come ho già detto ieri superare la crisi implica saper raccontare storie diverse che non siano quelle, importanti ma alla fine sempre uguali e monotone, che ha raccontato ieri sera il premier italiano Mario Monti nel corso della trasmissione televisiva su La7 condotta da Corrado Formigli “Piazza Pulita”. Monti racconta di una necessità di riforma “virtuosa” che impiega solitamente alcune generazioni per essere assimilata e spiega che per questo è giusto (siamo tutti lieti che se ne sia accorto, seppure in ritardo rispetto a quanto scriviamo da settimane su queste pagine) che la “ricetta tedesca” venga corretta, che la Germania si dia una calmata, perché l’eventuale se l’Italia dovesse mai uscire dall’euro e “riacquistasse il potere di svalutare la propria moneta, sarebbero problemi per le esportazioni tedesche”. Una stoccata che sembra imitare alcune “velate” minacce da parte di altri esponenti politici dei paesi del Sud Europa, dal premier spagnolo Mariano Rajoy al leader della sinistra radicale greca (indicato come possibile vincitore delle elezioni del 17 giugno) Alexis Tsipras, che hanno fatto capire che se la Ue (ossia la Germania) non farà qualche concessione a rischiare di più potrebbe essere Berlino più che Atene o Madrid (o Roma). Sarà, ma intanto come ho avuto modo di dirvi tempo addietro, finché la Germania tiene duro ottiene due risultati: non deve impegnare ulteriori fondi nella difesa dei “maialini” del Sud Europa e vede i capitali continuare ad affluire da tutta Europa, cosa che rafforza non solo i Bund ma in generale l’economia tedesca, le cui aziende un domani potrebbero facilmente comprare a prezzi “di saldo” quanto di meglio sarà messo sul mercato dai concorrenti italiani, spagnoli e portoghesi, piuttosto che greci o belgi (ma forse a breve anche francesi). Sempre che non arrivino prima altri gruppi emergenti, come la russa Sberbank (la principale banca russa in termini di asset) che infatti ha già avviato trattative in esclusiva con Dexia (gruppo franco-belga che la crisi ha travolto già un anno fa) per l’acquisizione della controllata turca DenizBank, decima maggiore banca retail in termini di asset della Turchia (le indiscrezioni parlano di un’intesa che potrebbe essere raggiunta nelle prossime settimane per un controvalore attorno ai 4 miliardi di dollari). Nel frattempo l’elenco di asset in vendita si allunga con la spagnola Bankia che ha chiesto altri 15 miliardi di aiuti di stato (l’azionista di controllo, Banco Financiero y de Ahorros, nato nel 2010 dalla fusione di sette casse di risparmio, potrebbe dunque essere costretta a cedere alcune delle sue partecipazioni, come quelle in Mapfre, Iberdrola, NH Hoteles, Ribera Salud o Metrovacesa) e l’inglese Barclays che dopo aver liquidato per un miliardo di dollari la sua quota nell’asset manager americano BlackRock potrebbe decidere di cedere (o ristrutturare radicalmente) la sua rete di 191 sportelli in Italia. Come dire che le offerte non mancano, i soldi a ben guardare neppure, e dunque salvo pazzia degli acquirenti qualcuno deve pensare che a questi prezzi sia interessante fare qualche scommessa e aspettare che la crisi sia superata e l’economia torni a tirare anche nel vecchio continente: una storia molto diversa da quella di “lacrime e sangue” che ci propinano i maggiori media da due anni a questa parte.
Dalla crisi possono nascere opportunità. Ma cosa si può fare in Italia nel concreto per provare a raccontare storie diverse, per dimostarre che da ogni crisi, anche l'attuale, possono nascere nuove opportunità? In realtà basta guardarsi attorno per scoprire che accanto a grandi e piccole aziende in difficoltà (nel primo trimestre risultano fallite oltre tremila imprese, il 4,2% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso) e a professioni, dai giornalisti ai promotori finanziari, dagli agenti di vendita ai bancari, in evidente affanno per le trasformazioni in atto nel tessuto economico nazionale (e forse meno visibilmente anche nel substrato culturale del Belpaese) vi sono iniziative che testimoniano la grande vitalità di cui ancora gode il paese. Vi racconto dunue una storia molto concreta e positiva: a Napoli, come in tutto il resto della Penisola, molti istituti professionali hanno dovuto fronteggiare in questi anni i tagli dei finanziamenti del ministero dell’Istruzione (come noto, purtroppo, in Italia vige l’idea che “con la cultura non si mangia” come disse l’ex ministro delle Finanze Giulio Tremonti, per cui l’istruzione è considerata spesa e non investimento) e si sono ritrovati con un monte ore in cui le attività di laboratorio sono state ridotte rispetto a quelle delle materie curriculari. E sebbene sia io per primo favorevole a una cultura il più possibile ampia e con robusti elementi umanistici e scientifici in tutti gli ordini e gradi (e indirizzi) delle scuole italiane, è evidente che istituti professionali dovrebbero dedicare quanti più sforzi possibile per attività “professionalizzanti” come appunto i laboratori. Ebbene, che cosa si sono inventati i dirigenti degli istituti professionali campani? Una due giorni di “scuole in rete” in cui presso l’Ipsct Isabella d’Este (istituto che al momento offre corsi indirizzati a quattro dei settori portanti dell’economia campana: sistema moda, servizi commerciali, servizi socio sanitari e industria orafa) hanno sfilato i modelli creati dalle ragazze che seguono i corsi di moda delle principali scuole della provincia di Napoli. Una settantina in tutto, alcuni dei quali molto ben fatti e originali (si sono visti dai kimono in seta ai mini abiti “nude look” sino a modelli da cocktail in stile anni Cinquanta solo per citarne alcuni), che hanno raccolto commenti positivi da parte non solo dei docenti e degli studenti coinvolti, che hanno così avuto modo di confrontarsi e fare un’esperienza “pratica” di cosa possa voler dire lavorare nel settore moda e di quali traguardi ci si possa porre, ma anche di giornalisti e autorità presenti. Un esempio dei tanti di come da una situazione di difficoltà possano venire gli stimoli per aggregarsi e mettere in comune risorse che altrimenti andrebbero disperse, ottenendo risultati importanti in termini di crescita personale e stimolo dei nostri migliori talenti. Quei giovani talenti che ancora ieri il presidente della Bce ed ex governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ha invitato i governi europei a coltivare con più cura per uscire dalla crisi.