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Opinioni

Dalla Bce a Mps, come sta il credito?

Le grandi banche europee (non le italiane) rimborseranno anticipatamente più prestiti del previsto alla Bce. Mentre gli istituti tricolori non sono in grado di sostenere la ripresa, c’è il rischio di una frenata dell’export…
A cura di Luca Spoldi
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DraghiDavos

Banche, banche, banche (e credito): in questi giorni sui mercati e sulle prime pagine dei giornali non si parla (quasi) d’altro. Vale la pena di riflettere almeno su due vicende, apparentemente distanti eppure legate tra loro e in grado di condizionare le attività di ciascuno di noi in modo molto diretto e concreto. Primo fatto: la Bce ha preannunciato che dal prossimo 30 gennaio (prima data utile per iniziare a rimborsare anticipatamente i prestiti ricevuti nella prima delle due LTRO con cui sono stati erogati nel complesso oltre mille miliardi di euro a circa 800 banche europee), dovrebbero essere rimborsati 132,7 miliardi di euro contro attese di consensus che oscillavano attorno ai 90 miliardi di euro. Seconda vicenda: l’assemblea di Mps ha approvato l’aumento di capitale da 4,5 miliardi di euro entro i prossimi 5 anni necessario affinchè il Tesoro possa sottoscrivere 3,9 miliardi di “Monti bond” (che qualcuno vuole vedere come la segreta motivazione dell’Imu sulla prima casa, teoria bislacca ma di sicura presa presso il pubblico).

Che legame c’è tra le due vicende e tra queste e l’economia reale? E’ presto detto: le banche europee stanno accelerando (chi può, ossia principalmente istituti tedeschi e francesi) il rimborso di finanziamenti accordati, per tre anni, al tasso fisso dell’1% lordo annuo (in realtà dello 0,75% visto che i soldi erogati sono in gran parte serviti ad aggiustare i ratios patrimoniali e di liquidità rimanendo parcheggiati sui conti della Bce, remunerati allo 0,25% annuo), per evitare uno “stigma” che i banchieri temono possa colpire chi non si dimostrerà altrettanto sveglio, generando nuovi dubbi sul reale stato di salute dei vari istituti. Il tutto appare macchinoso: per chi fosse stato su Marte negli ultimi due anni è utile ricordare come a fine 2011 (la prima LTRO è del dicembre di quell’anno, la seconda del febbraio 2012) 2011, tanto i titoli di stato quanto le obbligazioni bancarie degli stati del Sud Europa (i “PIIGS”, Portogallo, Italia, Irlanda, Spagna e Grecia) stavano precipitavano colpiti dai timori di un “contagio” della crisi del debito greco uno dopo l’altro, i tassi salivano, gli spread e i cds pure, i mercati del credito diventavano disfunzionali (eufemismo per dire che nessuno prestava più nulla a chicchessia, compreso nel Nord Europa).

A quel punto Mario Draghi, da poco salito ai vertici della Bce, rompeva gli indugi e forzando la mano ai tedeschi tira fuori il coniglio dal cilindro erogando con le due LTRO circa 1019 miliardi a oltre 800 banche (a quelle italiane andarono in tutto 255 miliardi, un quarto del totale). Liquidità al tasso dell’1% era un bene prezioso per tutti in quel momento e lo è per molti istituti ancora oggi, comprese tutte le banche italiane che sui 2-3 anni al più riescono a rifinanziarsi sul mercato al 3%-3,2% annuo (se son la prima della classe, le altre ciccia). Grazie anche a quei fondi i mercati si calmarono, i tassi ridiscesero, gli spread si ridussero. Oggi la Germania si rifinanzia sui 2-3 anni a tassi tra lo 0,25% e lo 0,35%, le sue banche (e quelle francesi) a tassi di poco superiori ma comunque sotto l’1%. Sarebbero deficienti (mancanti di capacità) i banchieri che non rimborsassero i prestiti Bce con prestiti meno onerosi che in più fanno apparire di “sana e robusta costituzione”. Poveri cristi tutti gli altri che non potranno e rischieranno la stimmate pur essendo oggi più robuste e potendosi finanziare nuovamente a costi inferiori a quando la prima LTRO venne lanciata e però se rimborsassero liquidità all’1% quando non possono accedere a tassi pari o inferiori sul mercato sarebbero da rinchiudere in manicomio.

Che c’entra il Montepaschi con tutto questo? Centra perché è tra le grandi banche italiane una di quelle chiaramente meno in salute (ma sta in buona compagnia con istituti come Banco Popolare, Bpm o Ubi Banca a vedere l’andamento dei titoli, i tassi a cui riescono a finanziarsi e i dati di bilancio) e perché il nuovo management che ha sostituito (“commissariato”? Qualcuno lo sospetta) la precedente gestione ha appena avuto tempo di fare una ricognizione nei “cassetti” e di scoprire carte che dipingono alcune operazioni in derivati molto diversamente da come le stesse erano state descritte ad azionisti e autorità di vigilanza. Resta da capire come possa essere accaduto, ma l’attuale amministratore delegato di Mps, Fabrizio Viola, rispondendo oggi a chi chiedeva se vi fosse il rischio di ulteriori sorprese spiacevoli ha spiegato che al momento non sembrano esservene, ma “per mettere la parola fine occorre però che i lavori” di analisi siano terminati (entro il prossimo 10 di febbraio) dato che si tratta di “una materia delicata e occorre prudenza. Non siamo di fronte ai soliti derivati che si vedono a colpo d’occhio. Si tratta di operazioni complesse che si riverberano sulle contabilizzazioni”.

Solo uno scaricabarile? Non credo proprio avendo un minimo di esperienza pregressa in questo campo, liberi voi di credermi o meno naturalmente. Di certo qualche errore ed omissione è stato commesso prima e qualche ingerenza c’è stata, tanto nella banca quanto “al piano di sopra”, ossia della Fondazione Mps. Che in sei anni ha visto il bilancio passare da un avanzo (utile) d’esercizio di 265,3 milioni di euro e un attivo patrimoniale di 6,1 miliardi nel 2006, ai 340,5 milioni di euro di utile e 6,7 miliardi di attivo nel 2008 per poi precipitare in una perdita di 331,74 milioni di euro e un attivo di 2,562 miliardi a fine 2011. Colpa del crollo in parallelo dei dividendi e del valore della partecipazione detenuta in Mps (che nel momento di massimo fulgore era arrivata a rappresentare i due terzi dei dividendi percepiti a il 71% circa del patrimonio della Fondazione). Una partecipazione difesa in tutti i modi (vendendo, ad esempio, altre partecipazioni in Intesa Sanpaolo e Mediobanca, piuttosto che collocando i titoli di risparmio con un blitz fuori mercato) per venire incontro alla più volte ribadita (dagli enti locali di Siena) esigenza di “mantenere la senesità” della banca.

Concludendo: le banche italiane non possono ancora finanziare alcuna ripresa, perché tuttora impegnate a irrobustire i propri bilanci; le stesse dovranno dunque sopportare eventuali “stimmate” legate al mancato rimborso anticipato dei prestiti Bce, il cui fine è sempre stato quello di migliorare la liquidità e i coefficienti patrimoniali degli istituti, comprando tempo, e non di ridare fiato all’economia reale (in recessione nel Sud Europa ma ancora in crescita, sia pure a velocità calante, nel Nord Europa); le Fondazioni bancarie avrebbero dovuto per tempo (e ancora dovrebbero) accettare di cedere il controllo delle rispettive controllate per diversificare il proprio patrimonio e cercare di svolgere al meglio la propria funzione senza arrivare (come accaduto a molte, non solo a Siena) a dover chiudere i rubinetti per esurimento di risorse; il Monte dei Paschi di Siena ha offerto, suo malgrado, un palcoscenico a politici e populisti che sperano di entrare nel prossimo Parlamento e hanno accusato i vertici attuali di ogni nefandezza, a prescindere da ciò che è stato fatto in passato e da cosa si stia facendo ora. E la maggior parte degli italiani, da ciucci saputi, continuano a parlare di economia e di credito tra una partita a carte e un talk-show televisivo, sentendosi dei grandi esperti di finanza. Voi statevi accorti, come si dice a Napoli, anche perchè l’euro per i rimborsi anticipati di cui sopra sembra destinato a rafforzarsi e questo potrebbe fare più male che bene nel breve all’economia reale, rallentando le esportazioni.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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