video suggerito
video suggerito
Opinioni

Dal governo un “aiutino” alle banche in vista degli stress test Ue

Qualcuno grida allo scandalo per “l’ennesimo regalo” fatto dal governo alle banche. Ma stiamo parlando di cifre che non cambiano nulla o quasi e che non basteranno ad allentare la stretta sul credito, semmai daranno ossigeno alle Fondazioni consentendo di tornare a distribuire qualche dividendo…
A cura di Luca Spoldi
11 CONDIVISIONI

Immagine

Qualcuno già sta gridando all’ennesimo “regalino” del governo a banche e assicurazioni: la riforma, prevista nella bozza di Legge di Stabilità licenziata dal Consiglio dei ministri in settimana (e destinata al prevedibile “assalto della diligenza” in sede parlamentare) della deducibilità ai fini Irap delle perdite e delle svalutazioni iscritte nei bilanci bancari e assicurativi (in sostanza queste voci dovrebbero diventare deducibili nell’esercizio in cui sono state imputate a bilancio e nei quattro anni successivi e non più in 18 anni come finora, il che equivale di fatto in uno sgravio fiscale) anche se rappresenta “la scelta più negativa, visto che ci sono paesi in cui la deducibilità si fa in cinque anni, ma altri in cui si può fare in un solo anno”, secondo l’opinione di Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo (che col 4,68% è tra i maggiori azionisti di Intesa Sanpaolo ed è dunque uno dei diretti interessati, perché meno tasse da pagare da parte delle banche significa anche maggiore possibilità di tornare a vedere dividendi per le Fondazioni azioniste) “è una misura fatta per togliere uno svantaggio alle banche italiane” come ammette lo stesso Guzzetti e dunque farà bene al sistema creditizio (e assicurativo) nazionale.

Il quale sistema creditizio qualche dubbio lo genera ancora sia in termini di solidità (visti i casi di Banca Marche e Banca popolare di Legnano, o le difficoltà che ancora stanno affrontando Banca Carige o Mps, solo per ricordare qualche nome non proprio trascurabile) sia soprattutto di accesso al mercato dei capitali, tanto che in un recente sondaggio svolto da Goldman Sachs è emerso come l’88% degli intervistati ritiene che dagli stress test europei in programma l’anno venturo emergerà come le banche tricolori abbiano ancora bisogno di nuovi capitali (mentre solo il 57% ritiene che ciò verrà evidenziato per le banche tedesche e il 56% se lo aspetta per le banche spagnole), nonostante il ministro dell’Economia e finanze (ed ex direttore generale della Banca d’Italia), Fabrizio Saccomanni, continui a dire che “le banche italiane non hanno nulla da temere da prossimi test europei”.

Ma perché è così importante che le banche possano accedere direttamente al mercato dei capitali (facendosi prestare denaro da altre banche private) e non debbano ricorrere alla Bce di Mario Draghi, nei cui confronti le banche italiane, secondo i dati di Banca d’Italia, erano indebitate per 235,39 miliardi di euro a fine settembre, in calo rispetto ai 241,51 miliardi di agosto (e ancor più dai 283,27 di fine luglio 2012) e pressoché tutti rappresentati da operazioni di rifinanziamento a più lungo termine ( 234,009 miliardi di euro dai 240,556 miliardi di fine agosto), ossia del tipo delle Ltro (Long term refinancing operation) due delle quali (nel dicembre 2011 e nel febbraio 2012) hanno erogato complessivamente oltre 1.040 miliardi di euro a circa 800 istituti europei a 3 anni (al tasso fisso dell’1% annuo), in parte già rimborsati dalle banche francesi, tedesche e spagnole (e in misura decisamente minore, appena 3,5 miliardi finora, dagli istituti italiani)?

Perché anche grazie all’azione costante delle banche centrali i tassi a breve sul mercato sono poi scivolati ulteriormente (l’Euribor a 12 mesi oggi è stato fissato sullo 0,54%, quello a un mese è risultato pari allo 0,13%) e dunque le migliori banche possono pagare molto meno della maggior parte delle banche italiane il denaro loro necessario per sostenere la propria attività. Rispetto alle cifre in gioco il “regalino” del governo per quanto gradito è però ampiamente insufficiente a modificare lo scenario corrente (un po’ come succederà col cuneo fiscale, dove lo “sgravio” pesa per meno dell’1% dell’importo complessivo e si tradurrà in 10-15 euro in più al mese in busta paga, per chi la busta paga ancora ce l’ha). Gli analisti di Banca Imi hanno fatto due conti e scoperto che UniCredit dovrebbe ottenere il beneficio fiscale maggiore (271 milioni di euro nel 2013, 236 milioni nel 2014 e 219 milioni nel 2015), seguita da Mps (101 milioni nel 2013, 70 nel 2014 e 57 nel 2015), Ubi Banca (45 milioni nel 2013, 38 nel 2014 e 37 nel 2015) e dal Banco Popolare (48 milioni nel 2013, 44 nel 2014 e 43 nel 2015). In tutto stiamo comunque parlando di circa 1,2 miliardi di euro nell’arco di un trienno.

“Sciaveghen” (ad averceli), come dicono a Milano: ma rispetto ai 235 miliardi di prestiti da restituire prima o poi alla Bce ciò significa lo 0,51%, non proprio nulla ma quasi. Nel frattempo, se non ve ne foste accorti, le sofferenze (ossia i prestiti che non verranno restituiti) continuano a crescere anche se a un ritmo appena inferiore a quello di questa estate (quando a fine agosto le sofferenze nette erano salite a 141,8 miliardi di euro, 2 in più di fine luglio e 26 in più di un anno prima): a fine settembre il rapporto tra le sofferenze lorde e impieghi è infatti salito al 7,32% contro il 5,9% di un anno prima, sempre più lontano dal minimo (2,3%) segnato nel 2008 prima del crack di Lehman Brothers, anche se ancora a distanza di sicurezza dal record storico (9,9%) di fine dicembre 1996.

Non facciamoci dunque illusioni: nonostante la raccolta dei depositi prosegua (al ritmo del 4,2% annuo a settembre, rispetto al +6,2% segnato a fine agosto) e si sia ormai arrivati a 1728 miliardi di depositi complessivi, questi ultimi sono ancora inferiori alla massa dei prestiti concessi (1863,5 miliardi di euro in tutto), anche se quest’ultima continua a calare da mesi (al ritmo del 3,8% annuo a settembre, velocità stabile rispetto a quella segnata in agosto). Metteteci che curare una recessione con continui rialzi delle tasse non è il massimo in termini di reddito disponibile (ma a questo punto anche eventuali tagli “virtuosi” della spesa avrebbero nell’immediato effetto altrettanto negativo) e che dunque è possibile che la crescita dei depositi rallenti ulteriormente senza neppure bisogno di inventarsi impatti negativi derivanti da nuove “tensioni politiche” (che sono sempre dietro l’angolo, peraltro) e il “contributo alla crescita” che si vorrebbe da parte delle banche, “che usano il denaro prestato loro dalla Bce per speculare sui titoli di stato” come va dicendo e scrivendo qualche sciagurato finanziariamente analfabeta (o in malafede), è destinato a mantenersi prossimo a zero ancora per parecchio tempo.

Anzi, posso già mettervelo nero su bianco: le banche continueranno a stringere il credito, magari adducendo come motivazione (o scusa, a seconda dei punti di vista) il fatto che anche la domanda di credito sta calando, cosa prevedibile in una recessione come l’attuale visto che sono sempre meno le aziende che restano in piedi (e dunque hanno necessità di ricorrere ai prestiti bancari per finanziare il proprio capitale circolante) e ancor meno quelle che provano a partire (e possono aver bisogno di finanziamenti bancari a complemento del capitale di rischio). E visto che si trovano tra l’incudine della crisi, che rende molti crediti (specie quelli colpevolmente erogati in modo fin troppo “disinvolto” a vari gruppi imprenditoriali, specie nel settore immobiliare, i cui prezzi sono tuttora pesantemente gonfiati e a rischio sboom, non certo per l’Imu come detto e dimostrato più volte) di difficile esigibilità e il martello delle autorità nazionali ed europee che vogliono rigorosi criteri di classificazione degli asset a rischio e adeguati capitali per far fronte a possibili future difficoltà, ecco che è difficile sostenere che le banche stiano facendo male il loro mestiere ora.

Male il proprio mestiere le banche lo hanno sicuramente fatto in passato, anche grazie all’eccessiva “tutela” del sistema nazionale e ad una mentalità corporativa che ha sempre tentato di limitare al minimo la concorrenza, creando un intreccio di rapporti incestuosi tra banche e banche, banche e assicurazioni, banche e imprese che ora occorrerà anni prima che vengano rescissi (se mai lo saranno del tutto). E certamente sarebbe il caso che si provvedesse a valutare se e quali colpe specifiche vi siano state, da parte di chi (banchieri, imprenditori e politici di tutti i colori e le latitudini) e come punire i colpevoli; ma questa è cosa ben diversa dal trovare una soluzione per l’immediato futuro o dal dimostrare che le nostre banche sono così in salute che potranno dare il loro “fattivo contributo” a una ripresa che resta sempre (molto) in fondo al (lungo) tunnel, che piaccia o meno.

Una via d’uscita? Aprire il nostro settore creditizio e far sì che nuovi operatori inizino a offrire quei servizi che le banche non possono o vogliono più offrire. L’interesse esiste, come dimostra l’acquisizione, annunciata oggi, di Avoca Capital, principale gestore europeo di investimenti di credito con circa 8 miliardi di patrimonio in gestione, da parte dell’americana KKR & Co. che così rafforza la sua posizione nel mercato degli investimenti in crediti a lungo/breve termine, obbligazioni convertibili, crediti strutturati e illiquidi. Altre alternativa possono essere rappresentati dagli operatori di venture capital (specie per il finanziamento di giovani imprese innovative o di gruppi alle prese con passaggi generazionali) o dallo sviluppo del microcredito e del crowdfunding (per le micro imprese). Ma occorrerà tempo, che dunque sarebbe il caso di non continuare a perdere rimandando le decisioni.

11 CONDIVISIONI
Immagine
Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views