Inizio settimana positiva a Milano, dopo che il governo greco ha proceduto al rimborso di complessivi 6,8 miliardi di euro a Fmi, Bce e alla propria banca nazionale, riaprendo le banche, sia pure col permanere dei limiti ai prelievi di capitale, mentre i mercati finanziari sono rimasti chiusi. Ma mentre la tempesta greca si prende una pausa, con Angela Merkel che offre le prime aperture all’ipotesi di una ristrutturazione del debito greco che non potrà significare, “perché contrario ai trattati”, un taglio puro e semplice “del 30% o del 40% del debito”, quanto piuttosto un ulteriore estensione della durata dello stesso (già ora oltre i 30 anni per la parte erogata dai fondi dell’Eurozona piuttosto che dai singoli governi europei) e un ulteriore limatura del tasso pagato su tali prestiti (attualmente l’1,5%) e, sia ben inteso, “non ora ma dopo” che si sarà trovato l’accordo sul terzo piano di salvataggio che Alexis Tsipras dovrà contrattare a partire dalle prossime settimane, i mercati sembrano tornare a ragionare di temi più operativi che non solo di scenari macroeconomici e di politica.
Tra i titoli che maggiormente hanno brillato ieri in borsa a Milano vi è stata infatti Finmeccanica, conglomerata italiana controllata con una quota del 30,204% dal Tesoro italiano (più un 2,01% parcheggiato presso la Lybian Investment Authority fin dai tempi in cui il regime del colonnello Gheddafi garantiva una parvenza di stabilità al paese e faceva investimenti in Italia rilevando piccole partecipazioni in aziende strategiche come Unicredit, Finmeccanica, Fiat e Mediobanca, ma anche Juventus, Eni, Olcese e Retelit) che ha chiuso lunedì a 13,21 euro per azione, sui massimi degli ultimi sette anni (negli ultimi 12 mesi il rialzo di borsa è stato attorno all’84%), per poi stornare moderatamente stamane in linea con l’andamento riflessivo di Piazza Affari.
A questi livelli il gruppo italiano, attivo nel settore aeronautico, nell’elicotteristica e nell’aerospazio, capitalizza poco meno di 7,5 miliardi di euro e per quanto possa sembrare un colosso rispetto alle dimensioni medie delle aziende italiane, è relativamente un “pesce piccolo” se confrontato coi colossi mondiali del settore, cui può quindi fare gola. Basti pensare che giusto ieri l’americana Lockheed Martin, principale fornitore del Pentagono e produttore del supercaccia F35, ha annunciato che rileverà Sikorsky Aircraft, la divisione elicotteri di United Technologies, per 9 miliardi di dollari, aggiungendo che contemporaneamente valuterà possibili cessioni o scorpori di altre attività nel campo dei servizi aziendali e dell’information technology per un valore complessivo di 6 miliardi di dollari e che l’operazione costerà 7,1 miliardi di dollari netti grazie ad alcuni benefici fiscali legati all’acquisizione.
Piccola non vuol comunque dire che Finmeccanica sia destinata a stare a guardare o a recitare un ruolo da comprimario, come testimonia la commessa, annunciata sempre ieri (ma che deriva da un contratto siglato già nel dicembre dello scorso anno), del valore iniziale di 160 milioni di dollari proprio per 10 elicotteri commerciali AW189 (con opzioni fino ad un totale di 160 veivoli da acquistare, col coinvolgimento di Russian Helicopters, entro il 2025) della controllata AgustaWestland da parte del gruppo russo Rosneft. Tuttavia se si applicassero i multipli impliciti nell’acquisizione di Sikorsky (che è uno dei principali concorrenti del gruppo italiano specie per quanto riguarda gli elicotteri militari) ad AgustaWestland, il valore di Finmeccanica aumenterebbe, notano gli analisti di un ulteriore miliardo di euro.
Che il problema di dimensioni resti per molti gruppi italiani è comunque una verità difficilmente contestabile e lo testimonia un’altra indiscrezione, questa volta ancor in attesa di una conferma ufficiale, secondo cui Fiat Chrysler Automobiles (anche stamane in rialzo a Piazza Affari, dove oscilla sopra i 14,35 euro per azione, in crescita di quasi il 50% nell’ultimo anno) starebbe valutando eventuali offerte per Magneti Marelli, la controllata attiva nel settore della componentistica auto, che potrebbe piacere a qualche fondo di private equità o a concorrenti del calibro di Veleo o Hella.
Una prima offerta, secondo le voci di mercato, ci sarebbe già stata in verità, ma il prezzo proposto, tra i 2,3 e i 2,5 miliardi di euro, non avrebbe soddisfatto Sergio Marchionne, che si dice vorrebbe ricavare non meno di 3 miliardi per cedere Magneti Marelli. Dal gruppo (ex) torinese sono giunti solo dei laconici “no comment” e la precisazione che, al momento, Magneti Marelli non è in vendita. Ma anche Pirelli non era in vendita fino al giorno prima dell’annuncio della cessione del controllo al gruppo cinese China National Tire & Rubber. Così ancora una volta, accantonato il tema “macro” della tenuta dell’euro, il vero tema capace di scaldare gli animi degli investitori di Piazza Affari è la possibilità di cessioni di controllo di alcuni dei “gioielli” dell’industria italiana, una volta di più alle prese con l’eterno dilemma: “lascia o raddoppia?”