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Crisi Mps ai titoli di coda, fallita la ricapitalizzazione di mercato

Mps, la ricapitalizzazione di mercato da 5 miliardi è su un binario morto dopo che gli “anchor investor” come Qatar Investment Authority non hanno avanzato alcune offerta per sottoscrivere titoli azionari. Atteso l’intervento del Tesoro forse già in serata o domattina, si passerà prima per una operazione di “burden sharing”. Ecco chi rischia e cosa…
A cura di Luca Spoldi
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Vicenda Mps ai titoli di coda: dopo che l’operazione di “liabilities management” (Lme), ossia allo scambio su base volontaria, con un premio rispetto alle quotazioni correnti, di bond subordinati in azioni di nuova emissione di Mps, si è conclusa con adesioni pari a circa 2,5 miliardi (il dato esatto dovrebbe essere comunicato al termine di un Cda dell’istituto tuttora in corso), la ricapitalizzazione di mercato da 5 miliardi, necessaria per far fronte alle perdite relative alla cessione di sofferenze per 27,7 miliardi e a innalzare la copertura sui rimanenti crediti a vario titolo deteriorati in portafoglio alla banca è su un binario morto.

Dissoltisi come nebbia al sole i fantomatici anchor investor”, anche gli investitori istituzionali (salvo quelli come Generali che hanno partecipato allo swap bond/azioni) si sarebbero ritirati e sul mercato retail non è pensabile si possano raccogliere i 2,5 miliardi di euro rimanenti. Così in serata il Consiglio dei ministri dovrebbe varare il decreto che porterà alla nascita di due fondi per garantire la liquidità di Mps e altre banche da tempo in crisi e consentire al Tesoro di salire nel capitale azionario degli istituti, di fatto varando una nazionalizzazione a tempo.

Quello che non succederà, è bene chiarirlo subito, è un fallimento di Mps: l’istituto ha infatti 16 miliardi di bond (i 4,5 miliardi di subordinati più le emissioni di debito senior non garantite) che possono essere forzatamente trasformate in azioni nell'ambito dell'operazione di “burden sharing” che la normativa europea sui bail-in prevede, a tutela dei contribuenti, venga effettuata prima di un qualsivoglia intervento pubblico, per raccogliere il capitale necessario.

E se è vero che il rapporto di conversione sarà peggiore di quello finora proposto agli aderenti alla Lme (salvo possibilità di rimborso pubblico per eventuali obbligazionisti “truffati”), è pressoché certo che non si andrà a toccare né gli obbligazionisti senior garantiti né, tanto meno, i correntisti anche sopra i 100 mila euro a testa di deposito. Tuttavia la ri-nazionalizzazione di Mps è destinata a produrre una serie di cambiamenti in seno all’istituto.

Anzitutto sarà necessario riscrivere il piano industriale, il che potrebbe indurre un azionista (3,17%)  come Axa, che aveva appena rinnovato per 10 anni gli accordi di distribuzione di prodotti assicurativi a lasciarsi diluire e forse a risolvere la partnership, tanto più che si verrebbe a ritrovare consocia del Tesoro italiano (destinato a salire dall'attuale 4% fino forse al 40%) e di Generali (che potrebbe ritrovarsi socia all'8%).

Potrebbero poi cambiare anche le valutazioni alla base della cartolarizzazione di Npl (che potrebbe essere spezzata in due o più tranche, come fatto ad esempio da Unicredit), riducendole dal 33% del valore lordo di libro accettato “spintaneamente” dal fondo Atlante ad un valore più in linea con quello di mercato, che si aggira attualmente tra il 10% e il 25% a seconda della tipologia di crediti ceduti.

Ipotesi che porterebbe a far crescere la ricapitalizzazione, e quindi la quota in mano al Tesoro a fine operazione, ma farebbe rientrare in gioco anche altri operatori, italiani e stranieri, ed eviterebbe di accollare alle banche sane del sistema creditizio italiano eccessivi pesi per salvare banche in affanno (come Mps, ma anche Banca Carige), in forte crisi (come le due popolari venete, BpVi e Veneto Banca, per le quali si prospetta un intervento dello stesso Atlante nell’ambito di una cartolarizzazione da 2,7 miliardi di Npl) e istituti decotti (le quattro “good bank”, tre delle quali in attesa di essere rilevate, nei prossimi giorni, da Ubi Banca, anche in questo caso previo nuovo intervento del Fondo di Ristrutturazione e dello stesso Atlante).

Una volta definito il tutto occorrerà anche ottenere il via libera da parte della Bce e dell’Antitrus Ue, ma vista la rilevanza sistemica di Mps non c’è da dubitare che si troverà un’intesa. L’auspicio è che l’intera procedura viaggi sufficientemente spedita per evitare ai contribuenti italiani di rimanere eccessivamente esposti al rischio d’impresa di un istituto che era in crisi almeno dal 2009 (quando si dovette ricorrere ai “Tremonti bond”, poi trasformatisi in “Monti bond” e infine rimborsati per ridurre gli oneri finanziari a cui era soggetto Mps), a causa di una gestione incauta e dell’acquisto, a dir poco intempestivo e a caro prezzo, di Antonveneta avvenuta l’anno precedente.

Chi ha sbagliato, a livello di management, è auspicabile sia chiamato a rispondere dei propri errori, così come quei politici (la crisi di Mps ha accompagnato i governi Berlusconi, Monti, Letta e Renzi) che hanno consentito, quando non incoraggiato, di continuare a “tirare calci al barattolo” per sette anni almeno sperando che accadesse un miracolo. Oggi la realtà presenta il conto, chi dovrà pagarlo e in che misure lo scopriremo a breve.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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