“Ci sono due condizioni per cui si può innescare una recessione. E devono verificarsi entrambe”. Non crede in una crisi globale imminente, Carlo Alberto Carnevale Maffè. Docente di Strategia presso la Scuola di Direzione Aziendale dell'Università Bocconi, Carnevale Maffè si iscrive piuttosto nel partito di chi pensa che – pur in un contesto geopolitico ed economico molto complesso, segnato dalla guerra in Ucraina, dalla crisi del gas in Europa e da una forte crescita dell’inflazione in Europa e negli Stati Uniti – siamo di fronte a una fase di recupero dell’economia, dopo due anni di pandemia. E che più che ai rischi di una nuova guerra fredda, che a suo dire non è alle porte – dovremmo pensare a ripensare la globalizzazione a misura delle grandi sfide che ci attendo, dalle nuove ondate pandemiche al riscaldamento del pianeta.
Parlava di due condizioni che potrebbero scatenare una crisi economica globale, professore. Partiamo dalla prima:
In America, la Fed che per troncare questa fiammata d’inflazione, inneschi una recessione. In Europa, che la crisi del gas inceppi il Motore tedesco, e a rimorchio quello italiano. Dovrebbero accadere entrambe e sommarsi, e in quel caso lo scenario non sarebbe semplice. Però…
Però?
Però mi pare che il presidente della Federal Reserve Jerome Powell abbia lucidamente in mano le carte, e abbia spazio monetario per gestire bene il rientro da questa fiammata inflativa. Mentre per inceppare il motore tedesco deve proprio bloccarsi il flusso del gas dalla Russia. Ci sono scenari previsionali che parlano di 2 punti di Pil in meno in caso di interruzione repentina dei flussi. Ma deve proprio verificarsi il peggior scenario possibile per mettere in crisi un’economia globale che sta comunque crescendo.
Spieghi meglio
C’è poco da spiegare, basta far parlare i numeri. Ad esempio, quest’anno il commercio estero globale crescerà del 4 o 5%. Numeri molto meno peggiori di quanto si pensava, che dipendono dal fatto che buona parte delle economie globali non è stata colpita dalla crisi russo-ucraina. Aggiungo: a parte qualche Paese europeo, nessuno al mondo ha paura di una chiusura dei rubinetti del gas russo. E mentre noi parliamo di inflazione, il Giappone, la Svizzera e molti altri Paesi al mondo non lo sono. Chi parla di crollo dell’economia globale, insomma, ha l’onere della prova. Perché i numeri non parlano di recessione, per ora.
Se non recessione, come descriverebbe allora la fase attuale?
È una situazione complicata, data dalla somma di due sciagure: la sciagura della pandemia, e la sciagura dell’autocrazia.
Partiamo dalla prima…
La pandemia ha distrutto le catene del valore globale. Ricordiamoci sempre che i prezzi hanno cominciato a crescere ben prima dell’inizio della guerra. I russi ci hanno messo del loro, ma non hanno manipolato il prezzo del petrolio. Quando tu esaurisci le scorte di petrolio com’è accaduto in pandemia poi devi ricostituirle e il prezzo sale fisiologicamente. Allo stesso modo, gli Stati ci hanno messo del loro: negli Usa hanno drogato la domanda per tenere in vita l’economia, e adesso c’è una marea di liquidità in circolazione che genera questa ondata d’inflazione. L’America se l’è andata a cercare.
E noi?
Noi abbiamo un‘inflazione diversa da quella americana: la loro è un’inflazione da domanda, fatta di prezzi e salari che aumentano. E si combatte con una politica monetaria restrittiva, facendo crescere i tassi d’interesse e riducendo la quantità di moneta in circolazione. La nostra in Europa è un’inflazione da offerta causata da una politica energetica da imbecilli o venduti. Perché altrimenti non mi spiego come sia possibile, da paese trasformatore quale siamo, aver deciso di non diversificare le fonti energetiche ed esserci legati mani e piedi a un regime che è sotto sanzioni da otto anni proprio per via delle sue mire imperialistiche. Chi fa geopolitica queste cose le deve sapere. E pur sapendole siamo andati avanti allegramente a dipendere completamente da un autocrate della peggior specie.
Parliamo di Putin, ovviamente
Che, andrebbe ricordato, sta combattendo questa guerra da otto anni, nel disinteresse o quasi del mondo. Ma, già che ci siamo, parliamo anche della Cina che ha stretto la cinghia al capitalismo arrivando a controllare tutto, facendo scappare un sacco di capitali e rallentando la crescita. Ciò detto: la Cina cresce del 4%, l’India all’8%, gli Usa più dell’Europa, che comunque fa dall’1 al 2,5% di crescita. L’Italia, pure non ha mai visto una crescita simile negli ultimi vent’anni. Poi ripeto: uno può vedere tutto. Ma io vedo anche la possibilità che qualcuno alimenti la paura della crisi economica globale per specularci in borsa.
Qualcuno dice anche che sta finendo l’era della globalizzazione…
Quel qualcuno dovrebbe spiegarmi come mai gli scambi commerciali stanno crescendo, però. Poi, è vero dobbiamo cambiare le catene del valore globale perché ci sono tante cose che non vanno bene. A partire dal fatto che in questa prima fase di globalizzazione ci siamo fidati troppo di un processo di progressiva democratizzazione di alcuni regimi che al contrario hanno poi accentuato i loro tratti autoritari, dalla Cina alla Russia, fino all’India e al Brasile.
Perché ci siamo fidati?
Ci siamo fidati perché è efficiente fidarci, e creare interdipendenza. Qualcosa dovrà cambiare, lo ripeto. Ma se c’è una cosa che questi due anni ci hanno insegnato è che la globalizzazione è la soluzione, non il problema. La pandemia ci ha spiegato che i virus non conoscono confini. E il riscaldamento globale, che servono soluzioni condivise per evitare di pagare gli effetti catastrofici del cambiamento climatico. Altrimenti, mi pare evidente, si va verso la carbon tax: chi paga inquina.
Che provocherà ulteriori tensioni geopolitiche…
A me che alla Cina vengano concessi vent’anni in più di inquinamento solo perché hanno iniziato in ritardo non sta bene. Chi lo spiega ai nostri che sia giusto far pagare meno ai cinesi perché hanno iniziato in ritardo a sviluppare la loro industria. L’hanno scelto loro Mao Tse Tung, non io.
Da queste tensioni può nascere una nuova divisione del mondo in blocchi, con l’Occidente di qua e Cina-India-Russia e Brasile dall’altra parte? Il meeting di Pechino tra queste potenze emergenti porta in questa direzione, o no?
Assolutamente no. L’unica cosa che unisce Russia, Cina, India, Brasile è una generica antipatia verso l’Occidente. Non basta una riunione per costruire un blocco geopolitico. L’Occidente è una cosa seria, che ha centinaia d’anni di Storia. Siamo sicuramente dentro un assetto multipolare e ci sta: vent’anni fa l’Occidente era al 75% del Pil, oggi è al 40%. Niente di male, anzi. Abbiamo tolto miliardi di persone dalla povertà con la globalizzazione.