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Crisi finita? Ma mi faccia il piacere…

Per il premier Monti l’Italia è un paese solido, la crisi in buona parte superata e le tasse sono meglio che la fine della Grecia. Sarà così ma si ricordi professor Monti che di tasse un’economia può morire in poco tempo.
A cura di Luca Spoldi
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Mario Monti arriva all'aeroporto internazionale di Pechino

La crisi è finita? Niente affatto. Se il potere non logora, di certo sembra annebbiare anche la migliore capacità previsiva e comunicativa. Dopo le numerose gaffes dei suoi ministri il premier italiano Mario Monti fa sapere dall’Asia (dove sta cercando di battere cassa: per ora con annunci che sono rimbalzati pressochè solo sulla stampa tricolore senza alcun eco su quella asiatica, il che non pare essere il migliore dei segnali, ma comunque "in bocca al lupo", perchè l'economia italiana ha disperato bisogno di nuovi investimenti) che l’Italia è un paese “solido”, che la crisi è sostanzialmente “finita”, che le tasse son sempre meglio che finire come la Grecia e via discorrendo. In tutta risposta i dati macro europei confermano che il vecchio continente è spaccato in due, con la Germania e qualche altro paese “core” che effettivamente regge o sta tornando a crescere ma per i “lazzaroni” del Sud Europa che debbono subire la “medicina” di Angela Merkel (tasse, tasse, tasse per riequilibrare i conti pubblici e in teoria garantire il puntuale pagamento dei prestiti concessi, anche se di tasse le economie del Sud Europa stanno rapidamente morendo, cosa che rende probabile nuovi aiuti o default “selettivi” negli anni a venire) non c’è alcuna ripresa, anzi la crisi continua e peggiora. E l’Italia, purtroppo, è tra coloro che sono destinati nei prossimi trimestri a stare peggio, non meglio.  Twitta un noto strategista italiano: “Stiamo uccidendo l’economia di una regione di mezzo miliardo di persone, mi pare” e non si può dargli torto. Secondo i dati odierni diffusi da Eurostat infatti il tasso di disoccupazione dell’intera eurozona a febbraio è risultato pari al 10,8%, in crescita dal 10,7% di gennaio e contro il 10% del febbraio 2011. Per la Ue-27 il tasso di disoccupazione era pari a fine febbraio al 10,2%, contro il 10,1% in gennaio e il 9,5% nel febbraio 2011. Eurostat stima che 24,55 milioni di uomini e donne nelle Ue-27 di cui 17,134 milioni nell’area dell’euro non riescano ancora  trovare lavoro, un numero in crescita di 167 mila unità rispetto a gennaio nella Ue-27, ossia di 162 mila nella sola eurozona. Rispetto al febbraio 2011 il numero di disoccupati è salito di 1,874 milioni nella Ue-27 di cui 1,476 milioni nell’area dell’euro.

L’economia italiana sta morendo per asfissia. Nel caso dell’Italia la disoccupazione a febbraio balza al 9,3% (il massimo dell’ultimo decennio) dal 9,1% in gennaio, con 22.918.000 italiani occupati a fine mese, ovvero 29.000 in meno rispetto a gennaio,  un calo che tocca la sola componente femminile a riprova di come donne e giovani (per i quali la disoccupazione tocca il  22,4% in Europa, il 31,9% in Italia) siano ulteriormente vittime della situazione attuale. Prova del nove: il tasso di occupazione cala al  56,9% dal 57% di gennaio, l’economia italiana sta morendo per asfissia, non è in grado di mettere in modo meccanismi virtuosi che consentano l’impiego delle sue risorse migliori, le parti in campo non hanno né la capacità di progettare il futuro né la forza di sottrarsi a ricette sbagliate imposte per calcolo elettorale prima ancora che per convinzione da un solo paese, in cambio di qualche limitata concessione (come l’incremento dei fondi a disposizione dei meccanismi “anticrisi” deciso la scorsa settimana dai ministri finanziari dell’Eurogruppo riuniti a Copenhagen) ma ancora senza arrivare a un vero sforzo collettivo per far ripartire l’economia dei vari paesi membri dell’unione europea, né per armonizzare le differenze che restano profonde in termini culturali, di struttura economica e di risorse. In un paese dove i Ceo di aziende come Fiat, UniCredit o Generali guadagnano “paccate” di milioni di euro ogni anni tra stipendi, bonus e stock option, salvo poi polemizzare sul costo del lavoro e sulle rigidità del sistema italiano, un italiano su tre guadagna meno di 10 mila euro l’anno secondo i dati del ministero dell’Economia e finanze. Dei due l’uno: o l’evasione e il nero sono ancora a livelli inimmaginabili nonostante i “blitz” a Cortina o Firenze della Guardia di Finanza, o l’Italia da questa crisi non uscirà con le pezze sul sedere, ma venduta a pezzi al miglior offerente (e sotto un certo punto di vista non è detto sia un male, visto i guai che certi (im)prenditori italiani sono stati in grado di fare alleandosi con la peggiore malapolitica e malagestione della cosa pubblica in Italia in questi decenni).

La soluzione quale può essere? Io personalmente temo che sia un mix di entrambe le cose, il nero è diffuso perché per anni è stato “tollerato” a fronte di un fisco asfissiante ma dalle maglie larghe che puniva sostanzialmente solo i lavoratori dipendenti, pubblici o privati che fossero, ma se non si ridurrà l’oppressione fiscale (e il premier Monti non sembra intenzionato a farlo stando alle ultime improvvide dichiarazioni) l’unico effetto che si otterrà sarà quello di vendere quel che resta delle attività produttive italiane a concorrenti esteri, un pezzo alla volta (come già avviene da tempo letteralmente, con intere fabbriche acquistate a prezzi di saldo quando non da un fallimento, smontate e trasportate dall’altra parte del mondo per essere rimontate e riavviate a produzione). E dunque quale può essere la soluzione se non quella di tenere duro ora, ma impegnarsi già adesso a ridurre la pressione fiscale, cercando per una volta di creare le condizioni perché le aziende italiane possano sfruttare l’eventuale riprese economica mondiale  senza dover vedere esportazioni in crescita che compensano a malapena il calo della domanda interna in un gioco a somma zero che da quasi 20 anni tiene l’economia del “Belpaese” ferma? Non esiste alcun altra soluzione, appunto, se non tagliare le tasse, il che significa tagliare in parallelo le spese, il che richiede liberalizzare rapidamente e profondamente mercati e settori per evitare di far cadere dalla padella di servizi scadenti  alla brace di servizi scadenti e costosi milioni di italiani. Pensateci, senza avere la sfera di cristallo ma stando alle ultime “gaffes” dei ministri dell’attuale governo, sembra che chi ci governa sia convinto che la crisi non esiste più (aggiornamento del vecchio successo “la crisi non esiste, è un’invenzione dei giornali” del governo precedente), o che comunque sia solo colpa di noi “italiani sfigati” che in fondo in fondo ce la meritiamo e quindi dobbiamo fare penitenza (tanto chi la penitenza propone raramente la subisce, non solo ma anche in Italia). E già che dobbiamo pentirci, faremmo meglio a lasciare ai nostri figli un buon ricordo e tanto affetto, ma non la casa o altri beni materiali, anzi lo stato ci darà (ci sta già dando) una mano per fare in modo che tale pericolo non si corra, che si debba vendere casa per integrare il reddito degli ultimi anni di vita (sperabilmente non vivremo poi così a lungo), reddito magari da spendere in qualche struttura di accoglienza per anziani (così non daremo fastidio ai nostri discendenti) o da integrare con fondi pensione e polizze vita. Così saranno contenti tutti: i privati che ci offriranno servizi, lo stato che preleverà tasse, banche e assicurazioni che entreranno in possesso di immobili o ci venderanno prodotti finanziari “ad hoc” per le nostre esigenze. Un tempo si diceva: del maiale non si scarta nulla. Che il proverbio sia da aggiornare?

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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