Se di cinismo un paese può morire, come già spiegato, quali sono le prospettive dell’Italia ora che la crisi politica “strisciante” sin dall’insediamento del governo “di larghe intese” presieduto da Enrico Letta è esplosa apertamente? Al di là dell’immediato aumento della pressione fiscale che alcune fonti stimano possa arrivare a pesare sino a 9,4 miliardi di euro di maggiori tasse in capo ai contribuenti italiani, con l’ormai inevitabile incremento dell’Iva dal 21% al 22% a partire dal primo ottobre e il probabile “ritorno” dell’Imu anche sulla prima casa e sui terreni agricoli, il problema vero resta, per un paese come l’Italia stritolato da un debito pubblico di oltre 1.727 miliardi di euro di cui circa 330 miliardi da rinnovare entro i prossimi 12 mesi, la possibile reazione negativa dei mercati e il costo che questo avrebbe in termini di maggiori oneri finanziari sul debito pubblico.
Considerando che l’incremento dell’Iva difficilmente produrrà inflazione (che anzi a livello di Eurozona continua a calare e a fine settembre è stimata attorno all’1,1% annuo dall’1,3% di fine agosto), per cui non contribuirà a “gonfiare” il Pil nominale (e dunque almeno in parte a raffreddare i rapporti deficit/Pil e debito/Pil cui guarda l’Unione europea) e che l’incertezza elettorale potrebbe impattare negativamente sulla propensione degli investitori ad investire sul “Belpaese” (vanificando il “giro promozionale” che Enrico Letta aveva appena compiuto negli Stati Uniti), sarà importante monitorare l’andamento giorno per giorno dei mercati, mercati su cui purtroppo pesa anche il rischio di una frenata della crescita americana in conseguenza del “government shutdown” statunitense (imposto dall’esercizio provvisorio che si aprirà dal primo ottobre sino all’approvazione della legge di bilancio da parte del Congresso) e le voci di un possibile downgrade del rating sovrano italiano a “junk” (spazzatura) da parte di Standard & Poor’s a breve termine.
Hanno cercato di fare il punto della situazione stamane in una nota gli analisti di Credit Suisse, in attesa del voto di fiducia che Enrico Letta dovrebbe chiedere mercoledì in Senato. Gli esperti svizzeri sottolineano come sia “interessante notare che, in cima all’indignazione generale da parte dei giornali italiani, tra cui quelli più vicini agli industriali, la decisione di ritirare il sostegno al governo ha ricevuto commenti contrastanti da membri chiave del Pdl, anche tra i ministri che hanno accettato di rassegnare le dimissioni a seguito di richiesta di Berlusconi”, con il vice premier e attuale segretario del Pdl , Alfano, “che ha detto che se il partito verrà preso in consegna da parte di estremisti, sarà pro – Berlusconi “in una forma differente”, alludendo forse a il fatto che potesse formare un nuovo partito più moderato di centro-destra”.
La situazione, premettono gli esperti, “è chiaramente estremamente fluida e molto può succedere, anche un passo indietro a sorpresa di Berlusconi (anche se sembra improbabile in questa fase)”. Lo scenario più probabile per gli esperti “è che Letta trova sostegno sufficiente a mantenere la maggioranza in Parlamento. I nostri calcoli suggeriscono che avrà bisogno del sostegno solo di alcuni parlamentari del Pdl per essere in grado di continuare almeno fino alla prossima primavera”. Se però Letta venisse bocciato in parlamento o si dimettesse prima di questo, “il Presidente della Repubblica vorrà ancora provare a vedere se c’è il supporto in Parlamento per un governo”. Inoltre Napolitano “potrebbe anche decidere di dimettersi se non venisse trovata alcuna maggioranza, lasciando il compito della ricerca di un nuovo governo – o la decisione su elezioni anticipate – al nuovo Presidente”. Al momento per gli esperti “le elezioni anticipate sono una possibilità, ma la meno probabile e come “ultima ratio” se tutto il resto fallisse”.
Quanto alla prevedibile reazione del mercato, “chiaramente oggi si aspettano volatilità, incertezza e qualche ulteriore allargamento degli spread, in aggiunta alla reazione negativa già accumulata nel corso delle ultime settimane, ma le cose potrebbero andare in entrambe le direzioni in seguito. Il fatto che le indagini sulle imprese stanno mostrando una netto miglioramento dovrebbe mettere un limite alla volatilità per ora. Un downgrade, se si materializzasse in conseguenza delle crisi politiche avrebbe invece, molto probabilmente, un effetto opposto sugli spread”. In compenso l’impatto della crisi “dovrebbe essere limitato sulle finanze pubbliche”, dato che “l’incapacità di decidere una politica sarebbe controbilanciata dalla presenza di misure già in atto che copriranno la maggior parte del gap fiscale necessarie a raggiungere l’obiettivo di disavanzo (3% del Pil)”. Per questo gli analisti credono “che lo slittamento dovuto all’incertezza e alla mancanza di governo sarebbe limitata a, diciamo, circa mezzo punto percentuale”.
In merito alla decadenza di Silvio Berlusconi dai pubblici uffici gli analisti non ritengono “la situazione attuale di instabilità come uno tale da impedire al Parlamento di decidere sulla decadenza di Berlusconi dai pubblici uffici. Di conseguenza, questa dovrebbe accadere in ogni caso entro la fine del mese di ottobre (con un primo evento chiave, la decisione della Commissione del Senato, attesa questo venerdì). Anche se inibito dai pubblici uffici e quindi dal Parlamento – concludono gli esperti – Berlusconi sarebbe tuttavia ancora in grado di condurre una azione “normale” politica”. A quel punto, aggiungo io, occorrerà attendere l’esito elettorale per capire se l’Italia si vuole lasciare alle spalle una classe dirigente interessata solo a tutelare i propri privilegi a discapito del bene comune o se i venditori di fumo di ogni colore riusciranno a incantare nuovamente il proprio bacino elettorale di riferimento e, grazie ad una legge elettorale che ha già prodotto un risultato ingestibile solo sette mesi or sono e che rischia di non essere modificata di una virgola da qui alla prossima tornata elettorale, mantenere il paese sotto scacco impedendo che si varino finalmente quelle riforme necessarie per far uscire il paese da una crisi che in caso contrario rischierebbe di richiedere tempi eccessivamente lunghi per venire a maturazione.