In attesa di vedere domani cosa si inventerà Mario Draghi per cercare di far ripartire un’inflazione che in Eurolandia continua a rimanere vicino allo zero assoluto in termini complessivi (a novembre, come ha confermato Eurostat, è rimasto pari allo 0,1% annuo come in ottobre) ed anche al netto della componente energia resta ancorato all’1% annuo, ben distante dal 2% attorno a cui la Bce vorrebbe oscillasse anche per trasmettere un minimo di energia alla ripresa (ovvero per alleggerire il peso degli interessi, in termini reali, sul debito pubblico di paesi come l’Italia, ma non solo), qualcosa inizia a muoversi sul fronte dei crediti problematici del settore privato, autentico tallone d’Achille delle banche italiane che nei propri bilanci ne hanno accumulati per 200,4 miliardi a fine settembre (23,5 miliardi in più di un anno prima), pari al 10,5% degli impieghi totali.
Che la radice della crisi del credito in Europa (e in particolare in Italia) continui a risiedere nella scarsa qualità degli attivi bancari è evidente e noto a chiunque abbia prestato un minimo di attenzione all’andamento dei numeri del settore in questi anni, come è evidente che pur con tutta la sua capacità Mario Draghi non può fare molto al riguardo, non potendo acquistare il debito privato (tanto meno quello problematico) ma solo il debito pubblico, se non altro perché il mercato del debito privato (attraverso cartolarizzazioni o con emissione di obbligazioni) è di dimensioni nettamente inferiore a quelle del mercato del debito pubblico ed è molto meno trasparente.
Ma là dove c’è un problema, c’è sempre l’opportunità di offrire servizi per risolverlo e fare affari e non è un caso se da mesi si intensificano le notizie di transazioni di portafogli di crediti problematici più o meno consistenti. L’ultima segnalazione giunge ad esempio da Banca Ifis, istituto controllato al 20,127% da Sebastien Egon Fürstenberg (che la fondò nel 1983), che dopo aver rilevato un portafoglio del valor nominale di 1,4 miliardi di euro messo in vendita da una società di cartolarizzazione che avente alle spalle un primario fondo statunitense ha concesso il bis, acquistando un altro portafoglio di crediti di difficile esigibilità “unsecured” (ossia non garantiti) questa volta ceduto da Consel Spa, società del gruppo Banca Sella operante nel settore del credito al consumo.
Questo ulteriore portafoglio ha un valore nominale di circa 230 milioni di euro ed è riferito a circa 32 mila posizioni, essendo composto principalmente da prestiti personali (66%) e per la parte rimanente da prestiti finalizzati (34%), mentre il portafoglio da 1,4 miliardi era composto da circa 180.000 posizioni, principalmente riferite a prestiti personali (47%), prestiti finalizzati (29%) e carte di credito (24%). Nell’uno come nell’altro caso Banca Ifis ha dovuto battere la concorrenza di numerosi altri gruppi interessati, riuscendo così a portare ad oltre 9,2 miliardi il controvalore nominale dei crediti di proprietà, a fronte di oltre 1 milione di posizioni centrando l’obiettivo di raggiungere il milione di posizioni relative ai crediti di difficile esigibilità entro fine anno.
Il segreto di Banca Ifis, come più volte segnalato dal management dell’istituto veneto, è la capacità di valorizzazione dei portafogli in fase di acquisizione (ossia di offrire più di quanto non offrano per questi asset altri operatori), a sua volta legata alla capacità di gestire l’intera filiera dei crediti “non performanti” grazie ad una fitta rete di professionisti (ulteriormente cresciuta negli ultimi mesi) e alla forte attenzione al recupero sostenibile. Altri in giro per il mondo stanno svilupando algoritmi, utilizzando i "big data" e quant'altro, per riuscire a discriminare nel modo migliore possibile i buoni dai cattivi debitori e valutare come e in che misura è possibile recuperare i crediti “non performanti”.
Banca Ifis, tra l’altro, è stata chiamata a partecipare al processo di risoluzione di Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, CariChieti e Carife per una somma di circa 10 milioni di euro, senza che questo fatto abbia comportato alcuna variazione della politica di distribuzione dei dividendi già annunciata. Se sotto l’aspetto del funzionamento dei mercati della compravendita del debito privato le cose sembrano finalmente iniziare a migliorare, qualche lungaggine si nota ancora per quanto attiene al quadro normativo del settore creditizio europeo.
La Commissione Ue ha infatti segnalato di aver aperto una procedura di infrazione contro 14 stati membri che non hanno ancora adeguato le loro leggi nazionali per conformarsi alle nuove regole europee in materia di sistemi di garanzia dei depositi. Nell’elenco compare l’Italia assieme a Belgio, Repubblica Ceca, Estonia, Grecia, Cipro, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Romania, Slovenia e Svezia, paesi che allo scorso 30 novembre non avevano approvato, in tutto o in parte, la legislazione necessaria. Altre 4 nazioni che avevano ricevuto comunicazione formale dell’apertura di una procedura di infrazione si sono nel frattempo messe in regola. I paesi che non vareranno al più presto le necessarie normative nazionali, ha ammonito la Commissione Ue, rischiano ora di subire delle multe (e speriamo che per una volta l’Italia non sia tra questi).
La Commissione Ue sta anche facendo pressione perché gli stati membri completino l’adozione delle nuove regole comunitarie in materia di risoluzione delle crisi bancarie, cosa che l’Italia ha già fatto sia pure con l’escamotage di far salvare “dal sistema” privato, prima dell’entrata in vigore di tali norme, Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti e Carife. In compenso nove delle 28 nazioni della Ue (Belgio, Repubblica Ceca, Cipro, Lituania, Lussemburgo, Polonia, Romania, Slovenia e Svezia) non hanno ancora varato tutte le norme richieste dalla direttiva sul risanamento e risoluzione delle banche e due di queste, Grecia e Lussemburgo, non hanno ancora ratificato la direttiva comunitaria sul Meccanismo Unico di Risoluzione e sul relativo fondo. Ancora una volta la politica non riesce a stare al passo al mercato, non solo in Italia.