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Crescita? Un contributo può venire dall’India

Attenti a guardare solo ai guai di Grecia o Portogallo: alle aziende italiane possono far male anche le decisioni sui cambi prese dalla Reserve Bank of India. L’interscambio commerciale può però raddoppiare in tre anni.
A cura di Luca Spoldi
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ReserveBankofIndia

Disperazione da deflussi valutari. La banca centrale indiana (Reserve Bank of India) ha attuato stamane a sorpresa una decisa “stretta” valutaria nel tentativo di sostenere la rupia: tutte le società (indiane o estere che siano, esportatori compresi) che registrano nei propri bilanci introiti in valuta estera dovranno riconvertire in rupie almeno il 50% dei loro conti in valuta, mentre per l’attività di trading sui cambi da parte di banche e intermediari finanziari sono stati introdotti nuovi e più stringenti vincoli. La mossa nell’immediato sembra essere servita, dal momento che il dollaro si è subito indebolito contro la divisa indiana, ma molti analisti dubitano che a medio termine le misure annunciate oggi possano invertire un trend di fondo sfavorevole alla valuta di Nuova Dehli, che trae origine da problemi fondamentali quali i crescenti deficit fiscale e di partite correnti. Impegnati a seguire quotidianamente l’agonia dell’economia greca (che anche oggi propone numeri da brivido, con un ulteriore crollo dell’8,5% annuo in marzo della produzione industriale, mentre i dati di febbraio sulla disoccupazione parlano di un 21,7% generale, in crescita dal 21,3% di gennaio, che nasconde al suo interno un 53,8% di disoccupazione giovanile) e le tribolazioni di Portogallo (la cui bilancia commerciale ha chiuso marzo in passivo di 842 milioni di euro contro il rosso di 792 milioni di febbraio, dato già rivisto al ribasso rispetto a una stima iniziale che parlava di un deficit di 720 milioni di euro) e Spagna (dove Bankia, istituto nato dalla fusione “spintanea” di sei casse di risparmio pericolanti ed esposto per 30 miliardi al settore immobiliare, è stata nazionalizzata al 45% convertendo 4,5 miliardi di euro di prestiti in capitale e preparandosi a fornire ulteriori aiuti di stato che alzeranno il costo totale del salvataggio a 10 milairdi di euro), i media italiani probabilmente non si accorgeranno di questa nuova “mina” che rischia tuttavia di far non pochi danni ad alcune tra le maggiori società italiane.

Una presenza consolidata. Con l’India infatti lavorano da anni gruppi come Piaggio, che di recente ha deciso di inaugurare un terzo stabilimento produttivo nel paese, allo scopo di produrre nel subcontinente asiatico fino a 150 mila esemplari della mitica Vespa, modello “LX”, destinati a essere venduti a 66 mila rupie l’uno, pari a circa mille euro, Fiat, che proprio di recente ha “riallineato” la joint-venture con Tata Motors, che negli ultimi 5 anni ha prodotto circa 190 mila vetture e 337 mila motori, decidendo di dar vita a una Newco di proprietà italiana cui verrà trasferita la gestione delle attività commerciali e di distribuzione relative al marchio Fiat in India, allo scopo di dar vita a una propria rete distributiva che partirà dagli attuali 178 concessionari Tata affiliati Fiat per poi crescere ulteriormente, o Interpump (presente fin dal 2006 con Interpump Hydraulics India). Ma tra i “grandi nomi” italiani presenti in India vi sono anche Merloni Termosanitari, Lavazza, Ferrero, Luxottica, Eni, Italcementi, Zegna, Cavalli, Armani , Tod’s e La Perla. Nel complesso sono oltre 400 le società tricolori che nel 2011 hanno prodotto un interscambio commerciale tra i due paesi che, secondo dati Ice,  ha toccato i 3,74 miliardi di euro sul versante delle nostre esportazioni, in crescita del 10% rispetto al 2010, di cui 1,66 miliardi (+16,2%) per il solo comparto dei macchinari e apparecchiature, e i 4,78 miliardi di euro per quanto riguarda le importazioni dall’India (+25,1%),  di cui oltre 735 milioni (+72,4%) riferite a prodotti energetici. In un’economia sempre più globalizzata occorrerebbe prestare maggiore attenzione a notizie provenienti dall’India, dalla Cina, dal Brasile o dalla Russia, quanto se non di più di quelle che riguardano partner commerciali a noi più vicini. Non farlo significa non rendersi conto che, sia pure a volte con ritardo, le aziende italiane hanno saputo in questi anni consolidare la propria presenza non solo sui mercati tradizionali ma anche sui nuovi attori emergenti dell’economia mondiale, un’importante valvola di sfogo in periodi, come l’attuale, di calo della domanda interna a causa della recessione (amplificata dal rigore fiscale messo in atto sotto la pressione della Germania) attraversata dalle economie del Sud Europa, Italia compresa.

Relazioni da migliorare. Nel caso dell’India, purtroppo, l’Italia da qualche anno dà l’impressione di non sapersi imporre né in ambito di relazioni politiche (come dimostra la vicenda dei due marò imbardati sulla Enrica Lexie, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, da settimane in carcere con l’accusa di aver causato la morte di due pescatori indiani) né sul terreno economico, se è vero, come indicano i dati Ice, che la percentuale delle importazioni indiane dall’Italia è calata dal 2,2% del 1997-1998 all’1,3% del totale nel 2009-2010, mentre pure le esportazioni verso l’Italia rappresentano ormai meno del 2% del totale indiano, contro il 3,2% che rappresentavano  nel 1997-1998. Ancora una volta c’è dunque molto spazio per migliorare, il che significa anche molte commesse che potrebbero essere sviluppate in parte in loco e in parte in Italia. Se lo scenario macroeconomico non peggiorerà Nuova Dehli si è detta intenzionata a raddoppiare il valore dell’interscambio bilaterale col Belpaese: l’interesse verso alcuni marchi della moda e del lusso (come le “rosse” della Ducati, che prima di essere rilevata dall’Audi, gruppo Volkswagen, sembrava poter finire sotto le insegne dell’indiana Hero MotorCorp, primo produttore mondiale con oltre 5 milioni di moto prodotte all’anno) è evidente da tempo, ma anche in settori come quelli delle infrastrutture i gruppi italiani potrebbero recitare un ruolo da protagonisti. In palio vi sarebbe un “piatto” che dagli 8,5 miliardi di euro annui attuali potrebbe salire ai 16-17 miliardi nell’arco di un triennio, decisamente un’occasione che andrebbe sfruttata al meglio.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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