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Credito: Ubs potrebbe applicare tassi negativi sui depositi

Ermotti (Ubs) parlando all’assemblea spiega: potremmo applicare tassi negativi sui depositi della clientela più abbiente o far pagare servizi finora gratuiti. Sono gli effetti sul settore del credito dei tassi negativi voluti dalle banche centrali, che però potrebbero avere effetti positivi, per quanto inattesi, sull’economia reale…
A cura di Luca Spoldi
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Il mondo alla rovescia? Forse. Parlando all’assemblea degli azionisti il numero uno di Ubs, il banchiere Sergio Ermotti, ha annunciato che se lo scenario dei tassi ufficiali non cambierà (la Banca Nazionale Svizzera da oltre un anno applica un tasso negativo dello 0,75% sui depositi che le banche elvetiche detengono presso la stessa Bsi), o dovesse addirittura peggiorare, visto che il mercato non esclude che i tassi possano scendere fino al -1,25%, il principale istituto rossocrociato potrebbe traslare una parte dei costi sulla clientela.

Come? Applicando a sua volta tassi negativi ai depositi della clientela di maggiore dimensione, oppure facendosi pagare per servizi sinora prestati gratuitamente, “con la possibilità di introdurre ulteriori commissioni nel futuro, se sarà necessario”. Ubs del resto ha visto crollare del 64% su base annua a 707 milioni di franchi gli utili nel primo trimestre dell’anno, complice il regime dei tassi negativi, inaugurato ormai da tempo sia dalla Bsi sia dalla Bce.

Questo infatti se da un lato riduce il costo della raccolta (“funding”), dall’altra deprime la redditività delle banche riducendo il margine d’interessi, perché tutta la curva dei tassi si riduce (effetto voluto da Mario Draghi e colleghi per alleviare la crisi banco-sovrana esplosa a partire dal 2010 nell’Europa del Sud e non solo) e dunque le banche, che tipicamente guadagnano prestando denaro a chi lo deve impiegare, in realtà finiscono col guadagnare sempre meno sia che si tratti di un mutuo sia di un prestito al consumo.

Per questo anche in Ubs da tempo si sta provando a orientare la clientela verso impieghi più redditizi (anche per l’istituto che fornisce il servizio) che non la semplice detenzione di grandi somme di liquidità, dal risparmio amministrato a quello gestito. Peccato che da questo punto di vista gli ultimi mesi “ballerini” dei mercati finanziari abbiano prodotto una decisa frenata: la divisione di walth management di Ubs ha così visto nei primi tre mesi dell’anno l’utile calare a 557 milioni di franchi svizzeri, contro i 951 milioni di un anno prima, facendo anche peggio delle attese di consenso (682 milioni di franchi).

Altri istituti hanno già deciso di far ricorso a nuovi tagli dei costi per tentare di difendere la propria redditività: Credit Suisse, ad esempio, ha portato da 4 mila a 6 mila il numero di posti di lavoro da eliminare entro la fine dell’anno (di questi 3.500 sono già stati ridotti l’anno scorso) e dei 2 mila in più la metà si concentra nella divisione di investment banking. Ubs sembrerebbe preferire la strada di mantenere agganciata alla remunerazione che può ottenere dai propri capitali anche la remunerazione offerta alla clientela e forse una logica esiste.

Il rischio però, non solo per Ubs, è che questa soluzione acceleri la tendenza alla disintermediazione bancaria che si nota già da qualche tempo con la crescita progressiva di intermediari creditizi non bancari. Visto anche il successo della FinTech (le nuove tecnologie applicate al settore finanziario), sta diventando sempre più semplice per chi vuole realizzare un progetto ottenere fondi in crowdfunding, oppure fare ricorso a sistemi di pagamento tramite circuiti come Paypal o che utilizzano direttamente il vostro cellulare per trasferire i vostri dati contabili e validare una transazione senza dover passare per due banche (una per l’acquirente e una per il venditore).

Così in modo alquanto imprevedibile rispetto a quando nel 2010 tutto questo è iniziato forse la politica monetaria inizierà ad avere un impatto anche sull’economia reale persino nel vecchio continente, finendo con lo sgretolare la mancanza di fiducia che da anni mantiene di fatto congelata l’economia se non di tutta Europa almeno di quasi tutto il Sud del continente.

Il processo dovrebbe essere più che ben accolto da imprese e famiglie ma anche dalle stesse banche, almeno da parte di quelle maggiormente in grado di fare leva sulle nuove tecnologie, perché un settore del credito rinnovato e maggiormente variegato, in cui non esistano più 660 banche europee una fotocopia dell’altra ma ciascun gruppo sappia caratterizzarsi per l’eccellenza in alcune aree e servizi, non può che spronare il rinnovamento dell’intero apparto economico, iniziando a sostenere nuove iniziative anziché restare impegnato, come finora le banche tradizionali, nella ristrutturazione e nel salvataggio delle posizioni consolidate di pochi grandi gruppi.

Come tutte le rivoluzioni anche questa in atto nel credito comporterà la sua dose di lacrime e sangue (ossia di licenziamenti e fallimenti), cosa che potrebbe indurre la politica a cercare l’ennesimo rinvio. Ma in questo caso allungare i tempi potrebbe dilatare ulteriormente il ritardo esistente tra il nostro sistema creditizio e il nostro apparato economico e il resto d’Europa. Speriamo che così non sia, perché non possiamo permettercelo in un paese che da troppi anni non riesce più a crescere e si accontenta di difendere come può le ultime rendite di posizione rimaste.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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