15 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito
Opinioni

Credito italiano tra sofferenze ed esigenze di riforma

La crisi che sta vivendo il sistema creditizio italiano è ormai sotto gli occhi di tutti. Dopo aver passato anni a tirar calci al barattolo e a nascondere i problemi sotto il tappeto, la necessaria trasformazione non sarà indolore…
A cura di Luca Spoldi
15 CONDIVISIONI

Immagine

Una settimana interessante quella appena conclusa, non trovate? I dati macro hanno mostrato una volta di più come quella attuale sia una piccola ripresa congiunturale che non riesce a tradursi in un particolare incremento del numero di occupati, anche perché le aziende continuano a non investire. In compenso le banche, dopo aver per anni rifilato “la qualunque” al popolo (bue, per mancanza di alternative, ossia di concorrenza) dei risparmiatori si chiamano sostanzialmente fuori dalla crisi emersa col decreto “salva banche”.

Crisi che pearltro è destinata a proseguire e infatti oltre alle “risolte” Banca Marche, Banca Etruria, Carife e CariChieti, con decreto del ministero dell’Economia e Finanze del 16 dicembre è già stata posta in liquidazione coatta amministrativa, anche la padovana Banca Popolare di Garanzia, mentre Mps dovrebbe decidersi a trovare un nuovo socio di riferimento, che non trova, visto che a fine anno il Tesoro, divenuto in giugno azionista al 4% a seguito del pagamento degli interessi sugli ultimi “Monti bond” in titoli anzichè in contanti, vede scadere il suo lock-up e potrebbe vendere i titoli alla prima occasione utile (ma con 3 miliardi di capitalizzazione, Mps ha ancora oltre 25 miliardi di sofferenze nette e quasi 45 miliardi di sofferenze lorde, il che toglie molto appeal alla banca senese). Per non parlare della situazione quanto meno delicata di Veneto Banca e di Banca popolare di Vicenza e l'elenco potrebbe proseguire.

Qual è dunque il reale stato dell’economia italiana e del settore del credito e quali rischi corrono i risparmiatori? Quanto al primo punto, è utile ricordare che secondo la Banca Mondiale il Pil italiano è passato dai 2.319 miliardi di dollari del 2008 ai 2.075 miliardi del 2012 (-10,5%) prima di risalire a 2.144 miliardi nel 2014 (+3,3% dai minimi, ma il calo resta superiore al 7,5% rispetto alla situazione pre-crisi) e vista la fragilità e debolezza della ripresa in corso potrebbero volerci ancora anni solo per tornare al punto di partenze, il che significa che le imprese e le famiglie difficilmente vedranno migliorare la propria situazione reddituale e patrimoniale.

Quanto al secondo è stato esplicito l’economista Lars Peter Feld, docente di Economia Politica all’Università di Friburgo, considerato il braccio destro di Angela Merkel in materia bancarie ed uno dei “Cinque Saggi” che da anni consigliano il governo tedesco in materia economica, che in una intervista al Corriere della Sera ha spiegato: “non credo che l'attuale situazione porterà necessariamente a una richiesta di aiuto al fondo salvataggi Esm”, come invece ha fatto la Spagna, ottenendo 39,5 miliardi di euro di aiuti comunitari per le sue banche. Tuttavia, ha aggiunto, “l’instabilità finanziaria in Italia può avere un impatto su tutta l’Europa, quindi può aver senso fare un programma europeo per gestire un contagio causato dalle banche italiane”.

Non deve sfuggire a chi già volesse scaricare sull’Europa il peso dei 198,975 miliardi di sofferenze lorde ancora presenti nei bilanci delle banche italiane a fine ottobre (a fronte di 1.818,2 miliardi di crediti complessivi e di 1.679,8 miliardi di depositi) che ogni aiuto sarebbe “condizionato”. A cosa? Sicuramente al rispetto della norma del “bail in”, ossia del salvataggio interno: in soldoni prima le banche decotte dovrebbero fallire (gli azionisti perderebbero tutto il loro capitale, gli obbligazionisti più o meno lo stesso a seconda di quanto profondo fosse il default, i depositi sopra i 100 mila euro potrebbero subire delle “tosature” più o meno consistenti), poi potrebbero trasferire le loro sofferenze sulla base dei “prezzi presumibili” in caso di immediata cessione sul mercato, come richiedono le norme europee e come è già stato fatto per le banche “risolte” di cui si parla in questi giorni.

Solo a quel punto si avrebbe un intervento comunitario: i tedeschi, ma non solo loro, non intendono in sostanza venire in soccorso di nessuno se non dei propri interessi a non finire coinvolti in una eventuale crisi che dovesse colpire istituti come quelli italiani le cui casse sono ai loro occhi pieni di crediti dubbi e di titoli di stato (italiani) che solo l’intervento massiccio della Bce, tramite il programma di quantitative easing (acquisto di bond sul mercato) e prima ancora tramite le operazioni di rifinanziamento Ltro/Tltro (liquidità a lungo termine a tasso prossimo a zero garantita da quegli stessi titoli di stato) ha consentito di mantenere sufficientemente liquidi e di riuscire a veder calare i tassi sugli stessi.

Alla fine il nodo è sempre questo: in realtà il credito costa, alle banche, meno di quello che dovrebbe per il rischio sottostante e tornare di colpo “trasparenti” e allineati al mercato, come si sarebbe dovuti rimanere negli anni precedenti la crisi del 2008, rischierebbe di causare una nuova violenta stretta del credito e di colpire duramente il risparmio privato italiano, in quanto in questo caso a dare problemi non è tanto il debito pubblico, ma appunto quello degli operatori economici privati: per essere chiari, secondo l’Abi a fine ottobre il peso delle sofferenze su crediti arrivava al 17,3% del credito erogato nel complesso alle piccole attività economiche e al 17,9% delle imprese (mentre pesavano il 7,2% nel caso dei crediti erogati alle famiglie).

Chi doveva controllare che questi valori non arrivassero a livelli di guardia? La Banca d’Italia. Chi doveva imporre alle banche di alzare il patrimonio ricapitalizzando o cedendo asset o riducendo il credito? La Banca d’Italia ed in verità è quanto ha fatto sia pure “troppo timidamente”, per ammissione del suo stesso direttore generale, Salvatore Rossi. Ma con una recessione in corso farlo in maniera più aggressiva avrebbe probabilmente contribuito a peggiorare ancora le cose, visto che la raccolta di capitali si è rivelata difficile se non per i maggiori istituti e che la cessione di asset è andata avanti a rilento, complice il crollo dei valori degli asset stessi.

Per questo alla fine ricorrere alle obbligazioni è sembrata una delle poche strade percorribili se non altro per prendere tempo, sperando che la situazione migliorasse da sola col passare degli anni. Tutto questo dal 2016 non sarà più possibile farlo e, come dice l'economista Carlo Alberto Carnevale Maffè, “fare banca all'italiana” come si è fatto finora non sarà di fatto più possibile. E dove non arriveranno provvedimenti legislativi o dei vari regolatori nazionali e sovranazionali arriverà una (dura) selezione naturale.

Gli anni sono passati la situazione è migliorata troppo poco, per l’assenza di riforme o la lentezza con la quale le stesse sono state eseguite ed ecco che la “bolla” delle obbligazioni bancarie (per ora quelle subordinate degli istituti di minore dimensione) è esplosa, facendo già i primi danni. Tra coloro che hanno frenato le riforme vi sono stati da una parte il sistema politico, che temeva di perdere voti, dall’altro lo stesso sistema bancario, legato alla politica e a singoli grandi gruppi economici, i cui interessi sono stati sovratutelati più di quelli della clientela “ordinaria”.

Ma a veder bene il sistema del credito in Italia doveva da tempo cambiare (lo scrivo da anni) e non l’ha fatto, perché tutto sommato così com’è il sistema faceva comodo a molti. Non certo ai clienti né agli investitori, ma alle banche, piuttosto che alle reti di distribuzione di prodotti e servizi finanziari. Basterebbe notare come la riforma della consulenza finanziaria, che la Mifid2 (la nuova direttiva europea sulla distribuzione di prodotti e servizi finanziari) dovrebbe promuovere, è ferma da mesi in Parlamento perché si batte se i consulenti finanziari indipendenti possano fregiarsi o meno di tale termine o debbano essere chiamati “autonomi” o “in regime di esenzione” come vorrebbero banche e reti di promozione finanziaria per depotenziarne la concorrenza potenziale.

Ciliegina sulla torta finale: chi dovrà pagare tutte le maggiori garanzie che sono necessarie, come i casi di queste settimane mostrano chiaramente, per rispettare non solo la lettera ma anche il senso dell’Art. 47 della Costituzione italiana, secondo cui “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”? Dovrebbe farlo chi può: le grandi banche, nel caso del Fondo interbancario di tutela dei depositi e del Fondo di risoluzione, ovvero i promotori finanziari nel caso della consulenza (visto che i consulenti confluiranno nell’Albo dei promotori finanziari, che diverrà Albo unico della consulenza finanziaria).

Questo significherebbe che chi finora ha goduto di una rendita di posizione (e ha scaricato costi e rischi del proprio operato su clienti e risparmiatori tutti) dovrebbe pagare per favorire una maggiore concorrenza. Fantascienza? In Italia sembrerebbe di sì, in Inghilterra è esattamente quello che è successo quando il governo ha deciso di riformare le norme sulla distribuzione finanziaria. In definitiva la crisi attuale è figlia di cattive pratiche pregresse e dell’esigenza, non oltre rinviabile, di rinnovare norme e settore: è persino comprensibile che i tedeschi e non solo loro stiano guardando se l’Italia saprà compiere il passo, che probabilmente non sarà indolore, o meno. Cambiare è possibile, basta voler fare chiarezza anche sui costi del cambiamento.

15 CONDIVISIONI
Immagine
Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views