Nel paese che ha qualche problema di educazione economico-finanziaria, esiste ancora qualche analista che sappia leggere i bilanci e interpretare i comunicati di banche e fondi di “salvataggio” che cercano di rassicurare i risparmiatori italiani sulla solidità di un sistema in cui “al massimo” potete rischiare di veder azzerato il vostro capitale se siete azionisti (è successo alle quattro banche risolte, succederà, salvo qualche spicciolo, agli azionisti di Banca popolare di Vicenza e probabilmente, magari in termini leggermente meno drammatici, ai soci di Veneto Banca), ma anche di perdere tutto il capitale se malauguratamente aveste sottoscritto obbligazioni “junior”, o forse persino senior, e nel colmo della sfortuna se aveste depositi per oltre 100 mila euro a persona (è la vita, o meglio sono le regole del “bail in” che valgono per tutta Europa dal primo gennaio scorso).
In un post sul suo blog Mario Seminerio nota come, dato che le nuove azioni di Banca popolare di Vicenza (BpVi) in pratica non le voleva nessuno, sia dovuto intervenire con un accordo di sub-underwrighting il costituendo fondo Atlante (che per la verità sta ancora cercando di raccogliere i 4 miliardi minimi di patrimonio, ben lontani dai 5,7-6 miliardi di cui si diceva qualche giorno fa) per impegnarsi a sottoscrivere, al posto di Unicredit, tutto “l’eventuale” inoptato a un prezzo non superiore al minimo (0,1 euro per azione), cui corrisponderebbe una perdita del 99,84% per i vecchi azionisti. Col che Atlante, che avrebbe dovuto “con la sua sola presenza” sostenere il prezzo di collocamento dei nuovi titoli ha già fallito questo primo obiettivo: visto il risultato non si poteva, si chiede Seminerio, lasciar fare al mercato?
Ma anche no, perché il mercato probabilmente avrebbe prezzato i nuovi titoli BpVi a un valore ancora inferiore, visto che il prezzo dei titoli rispetto al loro valore di libro è pari a 0,38 volte post aumento, contro il 22,3% (ossia 0,223 volte il valor nominale) di valore residuo delle sofferenze delle quattro banche risolte, come precisato ieri dal Governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco (valore leggermente superiore al 17,6% stimato in un primo momento dietro indicazioni della Bce). Peggio ancora, lasciando fare al mercato si sarebbe dovuti passare per un “bail in” vero e proprio procedendo all’azzeramento degli investimenti di obbligazionisti junior e forse senior e visto il precedente delle quattro banche risolte a banchieri e politici italiani non sarà sembrato opportuno date le prevedibili reazioni che avrebbe suscitato.
Altro analista che non difetta di cultura economica è Fabio Bolognini che in un post, sospendendo il giudizio se il fondo Atlante sia giusto o sbagliato, sottolinea come la polemica accesa dalle accuse lanciate da Carlo Messina (Ceo di Intesa Sanpaolo, impegnata nel prossimo aumento di Veneto Banca) e Giuseppe Guzzetti (Fondazione Cariplo, tra gli azionisti di Quaestio Management Sr, che ha lanciato il fondo Atlante) sull’avidità dei fondi esteri a caccia di Npl (Non performing loan, crediti problematici) italiani a prezzi da saldo, anche inferiori al 20% del valore nominale del credito, non sia del tutto campata per aria. E tuttavia questi operatori fanno il proprio mestiere approfittando di un momento di debolezza del sistema italiano che politici e banchieri hanno cercato in tutti i modi di mascherare, finendo con lo sfruttare quella mancanza di educazione finanziaria di cui si diceva ieri.
Nota ancora Bolognini che i migliori gestori-recuperatori di Npl tra cui l’esperta Banca Ifis (che continua a comprare pacchetti importanti di questi crediti) “sostengono che lavorando bene i portafogli di sofferenze si può ottenere molto di più che dalle vendite in blocco a saldo”, anche se difficilmente sono pronti a pagare un 35%-40% del valore nominale che implicitamente i gestori di Atlante dovranno tentare di pagare se vorranno mettere in salvo i bilanci delle banche partecipanti all’operazione. La questione fondamentale è però un’altra: “se le garanzie insistono soprattutto su capannoni abbandonati in zone industriali”, Atlante correrà il rischio di dover “gestire e smaltire per molti anni un grande mercato di immobili industriali” e “il vero affare lo faranno le società di gestione e recupero dei crediti a cui Atlante dovrà affidare il lavoro di disincaglio delle garanzie”.
Alla fine si corre il rischio che l’ignoranza economico-finanziaria degli italiani consenta di far passare operazioni poco trasparenti come interventi salvifici (che tali si riveleranno solo per alcuni). Banca d’Italia lo ha capito? Ed è la stessa Banca d’Italia che, vigile e solerte, sta lavorando per risolvere il problema della scarsa educazione economica italiana? Ma forse sono io che sono troppo sospettoso, in fondo secondo un politico, il deputato Pd Paolo Petrini, vicepresidente della commissione Finanze della Camera, CariParma, controllata italiana di Credit Agricole, avrebbe manifestato il suo interesse per le quattro “bridge bank” nate dalla risoluzione di Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Carife e CariChieti. Un interesse che potrebbe tradursi in un assegno da 2 miliardi di euro per tutte e quattro, “pari alle necessità di ricapitalizzazione” dei quattro istituti. Tutti tranquilli e sereni, allora. O no?