La condanna a nove anni di reclusione inflitta dal Tribunale di Firenze al senatore del Gruppo Ala, Denis Verdini, per aver concorso con altri imputati al fallimento del Credito Cooperativo Fiorentino, di cui era presidente, ha riacceso i riflettori su una vicenda di cui molti parlano ma che forse pochi conoscono. Il Credito Cooperativo Fiorentino era un istituto di credito italiano nato nel 1909 come Cassa Rurale e Artigiana di Campi Bisenzio, che al momento del fallimento, nel 2012, operava oltre che con la sede centrale di Campi Bisenzio con altre sette filiali.
In verità l’istituto aveva continuato a operare con la sola sede principale sino agli inizi degli anni Novanta e solo nel 1993, con Verdini già presidente, aprì una prima filiale fuori comune, a Calenzano, seguita tre anni dopo da una nuova filiale a Firenze e poi via via dalle altre succursali. Nel 2010 scoppia la tempesta: il 20 luglio la Banca d’Italia (di cui è governatore Mario Draghi) propone ex articolo 70 del testo unico bancario al ministro dell’Economia e finanze, Giulio Tremonti, “la sottoposizione dell’azienda alla procedura di amministrazione straordinaria per gravi irregolarità nell’amministrazione e gravi violazioni normative”.
Tremonti firma il decreto di commissariamento il 27 luglio, il giorno dopo che lo stesso Verdini e l’intero Cda avevano dato le proprie dimissioni “irrevocabili” dai rispettivi incarichi. Il 28 luglio sono poi nominati i due commissari straordinari, l’ex rettore dell’Università Bocconi, Angelo Pravasoli e Virginio Fenaroli. A far commissariare il Credito Cooperativo Fiorentino furono i risultati delle ispezioni condotte dalla vigilanza di Via Nazionale, trasmessi anche alla Procura di Firenze, da cui emergevano rapporti col gruppo di costruzione Btp di Riccardo Fusi (coinvolto in un’inchiesta per gli appalti sulla scuola marescialli di Firenze) e Roberto Bartolomei.
A prestare soldi, incautamente, al gruppo Btp non era solo il Credito Cooperativo Fiorentino, naturalmente, tanto che nell’ambito del processo di Firenze il gruppo Mps attraverso le divisioni Capital Service ed ex Banca Antonveneta, si è costituito parte civile chiedendo un risarcimento di circa oltre 48 milioni di euro ai due costruttori e ad altri co-imputati, mentre altre richieste di risarcimento sono arrivate dal liquidatore dello stesso Credito Cooperativo Fiorentino, da Bnl, Unipol, BpVi e da Mediobanca.
Nel 2011 pochi mesi dopo aver lasciato la presidenza dell’istituto, Denis Verdini insieme alla moglie, Simonetta Fossombroni, hanno saldato un debito di complessivi 15 milioni che avevano nei confronti del Credito Cooperativo Fiorentino, anche se di fatto i due non hanno dovuto versare direttamente un euro. Poco più di 5 milioni vennero infatti versati da Antonio Angelucci (uno dei “re” della sanità privata italiana con interessi nell’editoria che spaziano da Libero a Il Tempo), all’epoca compagno di partito (Popolo della Libertà) di Verdini.
Lo stesso Angelucci, facente parte degli “imprenditori coraggiosi” chiamati da Silvio Berlusconi a salvare Alitalia (di cui è tuttora socio col 7,1%), concedette ai coniugi Verdini, sempre nel 2011, un finanziamento per i restanti 10 milioni di euro, di cui non furono mai resi noti né la durata né il tasso d’interesse. Ma che fine hanno fatto le attività del Credito Cooperativo Fiorentino, che all’epoca del crack aveva oltre mille soci e una settantina di dipendenti? Nel marzo 2012 il premier Mario Monti, su proposta di Banca d’Italia (alla cui guida era nel frattempo salito Ignazio Visco) firmò il decreto di liquidazione coatta amministrativa, che mise fine all’operatività della banca che annoverava in quel momento un migliaio di soci.
I sette sportelli (forti di 170 milioni di impieghi e circa 350 milioni di raccolta diretta) vennero acquisiti, per 23 milioni di euro (utilizzati per il risanamento e la ristrutturazione delle attività acquisite) da Chiantibanca, mentre le 85 milioni di crediti in sofferenza, 15 milioni di disavanzo patrimoniale (emerso dalla relazione dei commissari straordinari, a fronte di teorici 55,87 milioni di capitale segnati a bilancio a fine 2009 dall’istituto), più una garanzia su 32 milioni di crediti ad “esigibilità critica” furono rilevati dal Fondo nazionale di garanzia delle Bcc.