video suggerito
video suggerito
Opinioni

Credito: ce n’è poco o troppo?

Sui media e sui blog finanziari italiani si parla sempre di più di credito (o meglio della sua carenza). Inevitabile, data la crisi perdurante, ma forse sarebbe meglio interrogarci sul modello di credito che serve all’Italia…
A cura di Luca Spoldi
9 CONDIVISIONI

Immagine

Credito, credito, credito: l’Italia “reale” non parla (quasi) di altro in questi giorni, mentre l’Italia della politica continua a parlare di tutt’altro, dalle interpretazioni dei risultati delle ultime elezioni amministrative al destino più o meno probabile del governo, fino alle futuribili riforme “istituzionali” o alla ancora più futuribile prossima legge elettorale (della serie: non c’è miglior sordo di chi non vuol sentire). Perché si parli così tanto di credito, in tutte le salse, è evidente anche alle mosche sulla carta moschicida, perché l’abbondanza di credito ha finora mosso l’economia italiana (e occidentale in genere) e perché l’assenza di credito ha strangolato le economie della sponda Sud dell’Europa, con la Grecia ormai a pezzi al punto che da ieri notte la televisione pubblica Ert ha spento il segnale e mandato a casa oltre 2.600 dipendenti perché non ci sono più soldi (Ert perde circa 300 milioni di euro l’anno) e perché il governo greco aveva concordato, tra le altre cose, la privatizzazione della sua rete televisiva con la “troika” Bce-Ue-Fmi. Il che non credo arricchisca il paese, certamente non nel senso del pluralismo dell’informazione, ma tant’è.

Una decisione, sarà un caso, che non ha evitato alla borsa greca di finire “degradata” da mercato sviluppato a mercato “emergente” da Msci, società nata all’interno del gruppo Morgan Stanley (la banca uscì poi dal capitale dopo un collocamento a Wall Street, pochi anni fa) che produce e aggiorna quotidianamente indici riferiti ai principali mercati azionari e obbligazionari mondiali, usati dai gestori di fondi comuni, sicav, etf e gestioni di tutto il mondo e che giunge mentre in Turchia il governo cerca di mettere il bavaglio alle televisioni private che riferiscono delle proteste di piazza di queste settimane (e di nuovo non mi pare un segnale di particolare "arricchimento" per il paese). Ma non divaghiamo: sui media e sui blogger finanziari italiani, vi dicevo, non si parla che di credito o meglio della mancanza di credito, ma forse sarebbe meglio interrogarci, come ho cercato già di fare, se non sia il caso di arrivare a un nuovo modello di credito visto che il credito bancario è stato erogato fin troppo negli anni passati, ma in modo non efficiente forse (“forse”), mentre viene ora rapidamente richiamato indietro dalle banche che continuano a ridurre la propria leva finanziaria e alzare il costo dei propri servizi per rafforzare il proprio patrimonio e riequilibrare il rapporto depositi/impieghi, come detto più volte.

C’è chi fa notare, come l’amico Mario Seminerio, che in Italia continuano a fallire, come prevedibile date le premesse iniziali, progetti più o meno credibili per la creazione di istituti regionali in grado di far radicarsi nel territorio, conoscerlo a fondo e promuoverne la crescita. Progetti che falliscono perché non sanno o non vogliono tenere conto che il problema non è la raccolta bancaria ma le “esternalità negative di un sistema in cui nulla funziona”. E c’è chi, come Fabio Bolognini, si toglie qualche sassolino dalle scarpe notando come le Pmi debbano ormai rassegnarsi a imparare a vivere con meno credito bancario di una volta (il che non sarebbe male, non fosse in corso una crisi come quella attuale), non per le mille ragioni addotte dalle banche (prima tra tutte la supposta “carenza di domanda di credito” da parte di imprese e famiglie, quelle stesse per cui il debito sta esplodendo complice lo sboom immobiliare, come ci ricorda un altro blogger, Maurizio Sgroi) quanto perché sembra ancora “troppo difficile dire che le imprese non sono tutte uguali, alcune hanno sicuramente troppo debito (e non riescono a rimborsarlo) altre sono in perfetta forma e queste ultime potranno avere credito”.

Il problema è finalmente centrato: il credito di per sé è uno strumento, come un olio che consente agli ingranaggi del motore di girare senza surriscaldarsi; di per sé non è né buono né cattivo, dipende dall’uso che se ne fa. Se siete un imprenditore e chiedete dei capitali ad una banca (che in fondo esiste per prestare i capitali versati dai suoi depositanti e guadagnarci sopra un interesse ragionevole, in teoria) per un progetto che non sta in piedi è un bene che la banca non ve lo conceda o si creeranno solo bolle speculative (immobiliari, di “new economy” o quel che siano) destinate prima o poi a esplodere con conseguenti elevati danni. Se invece avete un buon progetto è giusto che il credito lo otteniate e se non saranno le banche a darvelo dovrà esservi la possibilità che ve lo offrano business angel, venture capitalist o che lo raccogliate tramite crowdfunding. Questo è capitalismo signori mie e funziona egregiamente in tutto il mondo dove viene correttamente applicato.

Se invece, come finora in Italia, continuerà a prevalere una gestione delle “relazioni” che porta a creare salotti buoni, patti di sindacato, di blocco, cartelli oligopolistici, rendite di posizione, allora mettiamoci una pietra sopra: di ripresa non ne vedremo nell’arco della nostra vita, speriamo la vedano i nostri figli e nipoti (non necessariamente restando in Italia). Il punto, in fondo, è tutto qui: più che parlare di credito parliamo di come vogliamo che venga erogato: per fare cosa, par farlo fare a chi, in base a quali criteri dovrà essere erogato o ritirato. All’estero hanno iniziato a porsi queste domande già con lo scoppio della crisi finanziaria seguita al crack di Lehman Brothers nell’ottobre del 2008, sarebbe il caso di iniziare a pensarci (e prendere provvedimenti) anche in Italia e in Europa. Parlando senza timori anche a Germania e Francia, che come tutti (Gran Bretagna inclusa) stanno portando avanti battaglie a difesa del “proprio” modo di fare le cose, dei “propri” interessi specifici. Alla faccia dell’Europa unita e della valuta unica.

9 CONDIVISIONI
Immagine
Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views