“Non si sa mai cosa fanno i mercati finanziari”. Carlo Cottarelli, già direttore del dipartimento affari fiscali del Fondo Monetario Internazionale, già commissario alla spending review italiana nominato da Enrico Letta e defenestrato da Matteo Renzi, già presidente del consiglio incaricato nelle convulse settimane post voto del 2018, è oggi alla guida dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano. E dal suo punto d’osservazione spiega a Fanpage.it che non vede minacce imminenti per la tenuta del bilancio finanziario dello Stato italiano, e del suo gigantesco debito pubblico. Nonostante lo spread coi titoli di stato tedeschi che ha sfondato quota 200. Nonostante i tassi d’interesse che crescono al crescere dell’inflazione. Nonostante lo spettro di un incombente rallentamento della crescita economica italiana, o addirittura di una nuova recessione.
Professor Cottarelli, in una recente intervista al Financial Times, Francesco Giavazzi, uno dei più ascoltati consiglieri economici di Mario Draghi, ha detto che il debito pubblico “cadrà come una roccia” cade al suolo, grazie all’inflazione, e che i mercati non hanno nulla da temere, in relazione alla tenuta dei conti pubblici italiani. Perché allora lo spread sta crescendo?
Non si sa mai cosa fanno i mercati finanziari, lo ribadisco, ma quel che dice Francesco GIavazzi è corretto. Noi stiamo pubblicando una nota in cui facciamo vedere che è vero che si paga di più di interessi, ma almeno nell’immediato l’aumento dell’inflazione provocherà una diminuzione molto importante del rapporto tra debito e Pil. È la cosiddetta tassa dell’inflazione: tu hai prestato cento euro allo Stato? Dopo due anni lo stato ti restituisce 100 euro che valgono molto meno di prima. Una cosa brutta per chi deve riscuotere, meno brutta per chi deve pagare. E lo Stato italiano deve pagare.
Di quanto stiamo parlando?
Non le do la cifra esatta, perché stiamo ancora rifacendo i conti, però si parla di diversi punti percentuali e diverse decine di miliardi di risparmio. Peraltro, è un effetto che potrebbe essere ancora più forte se si usasse l’indice dei prezzi al consumo. Per quanto riguarda i conti pubblici viene usata un’altro indice dell’inflazione, che si chiama “deflattore del Pil” , che cresce meno.
Però se aumentano i tassi d’interesse e se aumenta lo spread tutto il debito che emetteremo d’ora in poi ci costerò comunque di più…
È vero: se guardiamo ai titoli di debito che emetteremo d’ora in poi, su cui pagheremo un tasso d’interesse più alto, le cose cambiano. Ma anche qui, parliamo di un tasso d’interesse reale, scontato dall’inflazione. Sia chiaro: questo non vuol dire che non dobbiamo essere preoccupati dello spread che sale. Io non voglio minimizzare il problema dei mercati finanziari, che certamente non è una buona notizia. Però al momento non mi sembra che la situazione del nostro debito pubblico sia preoccupante.
E allora perché i mercati sono preoccupati?
I mercati sono preoccupati perché guardano avanti nel tempo.
E cosa vedono?
Ad esempio, vedono che la Banca Centrale Europea sta provando a salvare la situazione con l’annuncio di questo scudo anti spread. Il mercati guardano a quando saranno annunciati i dettagli di questo scudo, che evidentemente loro non si aspettano del tutto adeguati allo scopo. Tenga conto che nell’estate 2012 Draghi ha spento l’incendio con un intervento pressoché illimitato, dicendo che avrebbe fatto “tutto quel che sarebbe servito”.
Non mi sembra granché ottimista…
Non mi faccia dire cose che non ho detto. Io ho detto che c’è da sperare che sia efficace.
La speranza non è un sentimento molto razionale, però…
Anche la paura dei mercati ha anche molto di irrazionale, allo stesso modo. Il problema è quando si entra in un contesto di aspettative che si autorealizzano: i mercati che si aspettano che le cose vadano male, quindi l’inflazione cresce più del dovuto, i tassi d’interesse si alzano più del necessario, e allora le cose cominciano ad andare davvero male per i conti pubblici. Lo ripeto: non possiamo escludere l’irrazionalità del mercato dal novero delle possibilità. Dobbiamo essere bravi a non scatenarla.
Dipende solo da noi non scatenarla?
Non solo. Perché nel mondo c’è qualcosa che va al di là del problema dell’inflazione.
A cosa si riferisce?
Beh, un blocco del gas russo vorrebbe dire razionamento, che vorrebbe dire recessione. E cioè un impatto sul Pil che va oltre l’impatto della crescita dei prezzi. Eni dice che noi riusciamo a rimpiazzare due terzi del gas russo nei primi 12 mesi, non di più, e a mio avviso è una stima ottimistica. Staremo a vedere.