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Opinioni

Cosa succede a investitori e correntisti italiani con la caduta in borsa di Credit Suisse

La crisi di Credit Suisse era prevedibile ma tutto lascia pensare che “non sarà un altro 2008”. Ne è convinto Roberto Rossignoli, portfolio manager di Moneyfarm, che spiega: “L’esposizione diretta nei fondi d’investimento italiani è marginale. E la banca elvetica è troppo interconnessa per poter fallire”.
Intervista a Roberto Rossignoli
portfolio manager
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“Cosa dovrebbe fare un piccolo risparmiatore oggi? Ha senso  che operi pensando che la situazione sarà risolta. A livello sistemico, tutti gli indicatori ci dicono che non è un 2008, né un 2011”. Ne è convinto Roberto Rossignoli, analista finanziario, portfolio manager di Moneyfarm, che di mestiere si occupa di gestire il risparmio dei sui clienti. E che spiega a Fanpage.it cosa sta succedendo e che rischi possano esserci per i piccoli risparmiatori che oggi tremano di fronte al fallimento di Silicon Valley Bank e alla crisi di Credit Suisse. Una turbolenza sui mercati iniziata lo scorso 10 marzo con il crac dell'istituto di Santa Clara, un colosso da 209 miliardi di attivi in cui depositavano i soldi raccolti dagli investitori le grandi aziende tech e le start up californiane, e proseguito con il mancato rifinanziamento di Credit Suisse da parte del suo principale azionista, la Saudi National Bank. Una crisi che ha avuto un impatto fragoroso sulle borse, mitigato – vedremo per quanto – dalla decisione della Banca Nazionale Svizzera che si è detta pronta a prestare fino a 50 miliardi di euro all'istituto di Zurigo.

Rossignoli, ci spieghi cosa sta succedendo, in poche parole…

Quella che sta succedendo è una crisi non casuale.

In che senso?

Che dopo il fallimento di Silicon Valley Bank era fisiologico che gli investitori istituzionali europei vendessero i titoli delle banche.

Perché?

Perché avevano fatto profitti da record, da ottobre a oggi. E quando si annusa che il vento sta per cambiare, è il momento di vendere. A farne le spese è soprattutto Credit Suisse, perché quando si vende si parte sempre dai più deboli.

E perché Credit Suisse è debole?

Credit Suisse è vittima di una gigantesca crisi di fiducia, anche perché ha negli ultimi anni ha accumulato una certa attitudine agli scandali. Diciamo che se negli anni '10 il grande malato della finanza europea era Deutsche Bank, Credit Suisse finora è il grande malato degli anni '20.

Di che scandali stiamo parlando?

Parliamo di esposizioni molto estreme sui derivati, di scandali come quello di Green Hill, un fondo fallito che lavorava su piattaforma Credit Suisse. E poi una serie di casi di cattivo management, dal supporto dell’investment banking a traffici legati alla corruzione, sino al caso dell’amministratore delegato che vola con aereo aziendale per sfuggire alle regole anti Covid in pieno lockdown.

Che impatto ha tutto questo coi conti della banca?

Diciamo che dopo tutta questa serie di problemi, già prima dei fatti di questi giorni, il costo della copertura di Credit Suisse era più alto rispetto a quello delle banche europee. È dal 2021 che le sue probabilità di default sono più più alte della media. Però…

Però?

Però un istituto che negli ultimi anni ha fatto bene i compiti, e ha indici di solvibilità e una solidità patrimoniale molto più alta rispetto a un anno fa.

Allora perché la crisi è capitato proprio oggi e non un anno fa?

Perché la cosa che preoccupa di più gli investitori sono i derivati che si scambiano istituti finanziari. E Credit Suisse, oltre a essere un malato in convalescenza, è anche un gigante del mercato interbancario.

Spieghi meglio…

Ci sono questi derivati che servono per coprire i tassi d’interesse, ed è un mercato che si è impennato da quando la Bce e la Fed hanno cominciato ad alzare i tassi. Credit Suisse è uno degli snodi principale di questo mercato: si vede dai suoi “impegni fuori bilancio” che sono tra i più alti d’Europa.

Ok, Credit Suisse vende questi derivati che oggi sono molto rischiosi. Chi se li compra?

Le banche che più di tutte sono esposte sono Deutsche Bank, le francesi SocGen e BNP, tra le italiane UniCredit. Quelle dal profilo internazionale, che sono anche le più interconnesse.

Quindi il fallimento di Credit Suisse potrebbe mettere in crisi queste banche, a cascata?

Sì, ma è vero anche che Credit Suisse è troppo interconnessa per poter fallire. E la scelta del regolatore svizzero, che ha messo 54 miliardi per puntellare la solvibilità dell’istituto, va in questa direzione. Lo scenario base, che anche noi gestori consideriamo, è che Credit Suisse non fallisca per la sua importanza sistemica.

Non bisogna preoccuparsi, allora?

Non ho detto questo. Se il deflusso di depositi continuerà, lo scenario è comunque difficile da immaginare.

Qual è lo scenario peggiore?

Nello scenario peggiore, quello in cui Credit Suisse fallisce, la solidità del sistema bancario può essere messa a rischio, ma dev’essere subordinata alla scelta di far fallire le banche in crisi, eventualità che allo stato attuale mi sembra molto irrealistica.

Chi rischia di più, tra i risparmiatori?

Chi ha bond di Credit Suisse, soprattuto il bond subordinato che era stato emesso con un tasso del 10% Chi aveva azioni della banca in portafoglio deve decidere in funzione della sua attitudine al rischio. L’obbligazionista è più tutelato, invece.

Uno può investire in Credit Suisse anche senza saperlo, se investe in fondi che ci investono. Quanto è esposto il mercato italiano con Credit Suisse?

L’esposizione diretta di Credit Suisse nei fondi d’investimento italiani è marginale. Pesa meno di mezzo punto percentuale a livello di fondi europei, a livello globale ancora meno. Dal punto di vista obbligazionario ancora meno. Nessuna rete del resto, dopo quanto successo negli scorsi anni, credo abbia avuto incentivi a distribuire Credit Suisse.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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