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Coronavirus, l’unica regola per evitare la crisi finanziaria? Non farsi prendere dal panico

Gli short seller vendono oggi per comprare domani, mentre quelli nel panico vendono perché temono l’Armageddon. La somma di queste due tensioni ha generato il crollo in Borsa di questi giorni. Per invertire la rotta è necessario comportarsi razionalmente: se ci aspettiamo un disastro, il disastro arriverà.
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Oltre all’Armageddon sanitaria dovremo patire anche quella finanziaria? Quasi tutti ce lo chiediamo, moltissimi fra noi ne sono terrorizzati e più di qualcuno – quelli che “sono andati corti” in tempo – ci spera, lavorando alacremente perché avvenga. Partiamo da questi ultimi per cercare di capire quel poco che risulta ancora comprensibile nel mezzo di un panico finanziario.

Qual è il modello del mondo che un short-seller ha in mente? Che i prezzi di N giorni fa non si sarebbero mantenuti e che sarebbe avvenuta una caduta di prezzo durante la quale avrebbe potuto trarre profitto dal fatto di aver venduto a prezzi alti qualcosa che non aveva e che ora acquista ad un prezzo più basso. E poi? Poi si vedrà. La vendita short avrebbe potuto avvenire settimane fa (quindi non essere parte/causa delle vendite che negli ultimi giorni han fatto crollare i corsi) o avrebbe potuto essere parte delle vendite degli ultimi giorni ed aver spinto in giù i prezzi. In entrambi i casi il short-seller assume che ad un certo punto la caduta si ferma, lui compra e fa profitti che poi reinveste. A meno che i short-seller non siano tutti in partenza per qualche luogo nel sud del Pacifico dove attenderanno la fine del mondo gozzovigliando.

Siccome praticamente tutti i voli per le mitiche spiagge della gozzoviglia son bloccati, i short-seller sono qui fra di noi e quei profitti intendono reinvestirli. Quindi assumono che la burrasca passerà e che avranno modo di godere dei frutti della loro intuizione in un mercato che ricomincerà a crescere perché l’economia sottostante lo starà pure facendo. In altre parole: tutti i short-seller non stupidi credono che non ci sarà il crollo del sistema economico anche se sanno di approfittarsi del fatto che la maggioranza degli altri lo crede, e gli vende i titoli a prezzi stracciati.

E gli altri, quelli che vendono perché convinti dell’arrivo della fine, cos’hanno in mente? Qui il senso comune e la logica aiutano meno perché sembra perfettamente possibile molti credano davvero vi sarà un crollo ernome e duraturo.  Supponiamo che anche questi siano in attesa del volo per le Maldive dove spenderanno il poco ragranellato nelle vendite di questi giorni. Altri si aspetteranno crolli di variabile profondità e durata ma che ad un certo punto termineranno permettendo loro di tornare ad investire. In altre parole costoro, come i short-seller, si aspettano che questa crisi si risolva e si ritorni a crescere o, perlomeno, a non cadere. Ottimo: la grande maggioranza degli operatori di mercato NON si aspetta la fine del mondo ma una recessione temporanea di variabile durata e profondità.

E qui viene il punto: tutto dipende da quanto profonda sarà e quanto durerà. Basta un momento di riflessione per comprendere che questo dipende da noi (collettivamente parlando) e solo da noi. In che senso? Nel seguente: la crisi finanziaria in corso non dipende da una qualche fantasia priva di fondamento degli operatori ma da una divergenza di vedute sulla durata di un arresto reale dell’attività economica. Che è in corso nel nostro paese e, in misure diverse, anche negli altri. Le misure prese per contenere la diffusione del contagio hanno portato alla riduzione dell’attività economica e, nel timore che durino a lungo e portino ad un serio collasso per molte imprese, i mercati reagiscono con la vendita.

Se ci si pensa bene si capisce che tutto dipende da due cose: dalle nostre aspettative e dalle decisioni politiche che sulla base di esse prendiamo su come e per quanto bloccare l’attività economica. Detto altrimenti: i crolli di borsa a cui assistiamo dipendono dalle nostre aspettative e dall’incertezza che perdura su di esse. Se il panico ci rende incapaci di prendere decisioni precise ed efficaci esso si autoalimenta perché gli stessi soggetti che comprano e vendono in borsa (cercando di prevedere quanto la chiusura della normale attività economica durerà) sono gli stessi che determinano la lunghezza della recessione economica e la sua estensione. Se il panico o la convinzione – che molti short-seller vogliono noi si abbia e non ci sono solo sui mercati finanziari gli short-seller anzi: son soprattutto altrove … – che questa crisi sia definitiva continuerà a dominare le nostre decisioni collettive, allora noi continueremo ad “auto-realizzare” le aspettative più pessimistiche le quali, a sua volta, porteremo sui mercati finanziari facendoli crollare ulteriormente.

Siamo dentro ad un meccanismo tanto infernale quanto inevitabile che parte da un pericolo (l’epidemia) e da un’incertezza (la sua gravità) reali, passa per il sistema informativo, le nostre paure ancestrali ed il sistema politico per arrivare alle decisioni collettive su come gestirlo e, quindi, sulla quantità di attività economica a cui dobbiamo rinunciare, che poi si riflette su quel che compriamo e vendiamo in borsa. Questo meccanismo l’abbiamo creato noi e dobbiamo gestirlo noi, mentre ora ci sta gestendo.

Capiamolo, capiamolo rapidamente e capiamolo pubblicamente perché fra poco diventerà troppo tardi per fare aggiustamenti.

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Dall’autunno del 2006 sono University Distinguished Professor alla Washington University in Saint Louis . Nato a Padova, vissuto a Mestre tra i 10 ed i 27 anni, mi sono laureato in economia a Ca’ Foscari nel luglio 1982. Nel settembre del 1983 ho iniziato a frequentare il programma di PhD in economia della University of Rochester, NY. In seguito ho lavorato a University of Chicago (1986-87), UCLA (1987-90), Kellogg GSM, Northwestern University (1990-94), Carlos III de Madrid (1994-99) e University of Minnesota (1999-2006). In Spagna ho coordinato l’attività accademica di FEDEA (www.fedea.es) dal 2006 al 2012, dirigendola dal 2012 al 2014. Facevo parte del gruppo che, nel 1986-87, diede inizio al programma di economia del Santa Fe Institute con il quale ho collaborato sino alla metà degli anni ‘90. La mia ricerca accademica ha spaziato in vari campi; forse troppi ma mi annoia ripetermi. Ho studiato soprattutto la crescita ed i cicli economici, la valutazione dei titoli finanziari, i sistemi di welfare e quello pensionistico in particolare, il progresso tecnologico, il mercato del lavoro, i sistemi di proprietà intellettuale, l’evoluzione della fertilità, il commercio internazionale. In questi ultimi anni mi sto occupando di innovazione, banche e moneta, rivoluzione industriale, effetti di lungo periodo del processo di globalizzazione. Il miei due libri piu recenti sono: Against Intellectual Monopoly (con David K. Levine, Cambridge UP 2008, Laterza 2012) e Tremonti: Istruzioni per il disuso (con A.Bisin, S.Brusco, A.Moro, G. Zanella, 2010 e 2011). Sono uno dei cinque che, nel 2006, crearono il blog noiseFromAmerika, la culla intellettuale del (fallito purtroppo) movimento Fermare il Declino.
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