Ipotesi Reddito di emergenza ad aprile: come potrebbe funzionare
Il governo è impegnato in questi giorni su un doppio fronte. Da una parte fare in modo che i sussidi e i soldi a lavoratori e imprese arrivino al più presto possibile. Dall’altra ci sono tre obiettivi, secondo quanto riporta il Corriere della Sera: fermare il rischio che scoppino tensioni sociali inviando ai Comuni le risorse per la spesa, allargare la platea dei beneficiari del decreto di marzo ad aprile (investendo 30 miliardi) e sostenere famiglie, lavoratori e imprese. E per raggiungere questi obiettivi sono soprattutto due le misure: il Reddito di emergenza di cui si parla nelle ultime ore e i buoni spesa previsti dal decreto del 28 marzo.
Come potrebbe funzionare il Reddito di emergenza
L’idea alla base del reddito di emergenza è quella di raggiungere almeno due milioni di lavoratori rimasti esclusi dal primo decreto economico per fronteggiare il Coronavirus. Si tratta di domestici, lavoratori saltuari o chi riceve una Naspi insufficiente. In più affronterebbe il problema del lavoro nero, poiché chi non ha un lavoro regolare non può accedere ai sussidi e per questo dovrebbe intervenire il Reddito di emergenza. Le ipotesi in campo sono due, secondo il Corriere. Da una parte l’idea di estendere l’indennità di 600 euro prevista per autonomi e professionisti a marzo, allargandola anche a chi ha lavorato per periodi brevi o è senza occupazione. Dall’altra un reddito di cittadinanza light, da meno di 600 euro, da assegnare sulla base dell’Isee corrente e non di quello dello scorso anno, come avviene per il reddito di cittadinanza. Pier Paolo Barretta, sottosegretario all’Economia, ritiene che il reddito di emergenza potrebbe andare a chi è “senza reddito e senza ammortizzatori”. Per quanto riguarda la modalità di erogazione, potrebbe essere dato direttamente come denaro o potrebbe anche consistere nel pagamento di bollette e affitti. La misura dovrebbe costare almeno un miliardo.
Coronavirus, arrivano i buoni spesa
L’altra misura già in campo ma su cui devono intervenire singolarmente i comuni è quella dei buoni spesa da dare alle famiglie più bisognose. In totale si tratta di 400 milioni di euro per 8mila comuni. Di questi, 320 dovrebbero essere ripartiti in proporzione alla popolazione residente e altri 80 ( il 20%) sulla base della distanza tra il valore del reddito pro-capite di ogni comune e il valore medio nazionale. La cifra non potrà essere inferiore ai 600 euro per ogni comune. Saranno le amministrazioni locali, poi, ad acquisire i buoni spesa da dare alla famiglia o, in alternativa, ad acquistare direttamente i beni da distribuire attraverso i volontari del terzo settore. A individuare i nuclei familiari bisognosi saranno i servizi sociali, dando priorità a chi non riceve altri sussidi come il reddito di cittadinanza.