“Non è mai successo niente del genere”. Guido Maria Brera ha il pallino della premonizione, figlio di una vita passata a cercare di capire cosa succederà domani. Finanziere, fondatore e a lungo Cio di Kairos, una delle più importanti società di gestione del risparmio italiane, Brera è anche autore di due romanzi, “I diavoli” (che sarà presto una serie televisiva) e “La fine del tempo”, entrambi editi da La Nave di Teseo, quest’ultimo uscito pochi giorni prima del primo contagio in Italia. Si tratta di due libri in cui Brera ha provato a spiegare la finanza dall’interno e a raccontarne il potere biopolitico di incidere sulla vita di miliardi di persone con un semplice clic, compra o vendi: “Questo sistema, questa globalizzazione con grandissimi flussi di capitale che incontrano la tecnologia ha portato un consumo enorme del nostro pianeta. Abbiamo costruito un modello di sviluppo in cui era buono e giusto sfruttare sino all’ultimo i luoghi dove c’è massimizzazione del profitto, usando tutte le agevolazioni possibili. E poi portare i prodotti di quello sfruttamento in ogni angolo del mondo. – spiega Brera a Fanpage.it – Il Coronavirus è l’effetto di tutto questo, la nemesi di un modello di sviluppo che noi stessi abbiamo costruito”.
In che senso?
Nel senso che sulle stesse vie su cui corrono merci, persone e capitali oggi corre un virus che uccide le persone. Nello stesso mondo senza più barriere, oggi ci barrichiamo i casa. Nello stesso modello costruito per massimizzare crescita e profitto oggi si sta generando una crisi economica come non ne abbiamo mai viste prima. E tutto perché? Per un mercato di animali vivi nel bel mezzo di una metropoli globale come Wuhan.
Che centra il mercato degli animali vivi?
C’entra perché con la globalizzazione quel mercatino rurale di Wuhan è vicinissimo all’aeroporto Jfk di New York, e altrettanto vicino al pronto soccorso di Codogno. La globalizzazione ha azzerato lo spazio. Ma pure il tempo: perché nella stessa metropoli convivono un mondo antico e un mondo ipermoderno. Se tu cambi la natura in modo così repentino e radicale – e azzerare spazio e tempo è il cambiamento più radicale possibile – la natura, semplicemente, va in tilt.
E poi arriva una recessione globale…
Questa non è una recessione, però.
Cos’è, allora?
Questo un blackout totale, come non è mai avvenuto nella storia dell’economia. E per l’economia è peggio di una guerra.
Addirittura?
Cerco di spiegarmi: le guerre sono terribili per mille altri motivi, ma nessuna guerra produce shock della domanda come una pandemia globale in cui 1,5 miliardi di persone sono costrette a casa. In guerra i bambini vanno a scuola, e hanno occasione per uscire di casa, i teatri sono ancora aperte, puoi andare in chiesa a pregare. C’è una comunità che si raccoglie e che resiste, anche sotto assedio. Qui sei spaesato, sei solo e sei impotente, di fronte a un nemico a cui non riesci nemmeno a dare un volto.
Come si riaccende la luce?
Io penso si debba riavviare tutto il prima possibile. Che non vuol dire fregarcene dell’epidemia. Sono il primo a essere d’accordo con la necessità di una chiusura totale: non puoi aggiustare una macchina mentre stai guidando. Se il guasto è grave devi fermarti dal meccanico. Però il meccanico dev’essere veloce. E deve darti una macchina che sia in grado di ripartire meglio di prima.
Se il danno è grave, la riparazione sarà molto costosa…
Sì, sarà molto costoso. E infatti io credo sia necessario un giubileo dei debiti pubblici. L’ho immaginato nel mio libro, e ovviamente in letteratura è tutto molto più facile e pure poetico. Però il senso è quello: se serve per far ripartire la macchina, ogni mezzo è consentito.
Tagliare i debiti è difficile, farne di nuovi è molto semplice. Però così la crisi la pagano i nostri figli. E non chi oggi detiene enormi quantità di capitale…
Non è giusto che il meccanico lo paghino i nostri figli e non i miliardari, questo è vero. Però dobbiamo essere pragmatici: l’espansione del debito pubblico può non essere giusta o insufficiente, però è necessaria. E non è nemmeno troppo inflattiva. O meglio: sono anni che stampiamo tonnellate di moneta, non cominciamo certo ora.
Perché il debito pubblico non è sufficiente a far ripartire l’economia?
Non è sufficiente perché bisogna fare delle politiche fiscali comuni. E dobbiamo chiarire a Irlanda, Olanda e Lussemburgo, che non possono esistere paradisi fiscali nell’Unione Europea. E che l’aiuto che noi chiediamo, per certi versi, è risarcitorio dei soldi che le loro inaccettabili politiche fiscali ci hanno sottratto.
Intanto c’è già chi minaccia di assaltare i supermercati…
Non credo che arriveremo a una rivolta del pane. Ci sono mille strumenti per evitare che accada. E sinceramente non voglio nemmeno pensare che le classi dirigenti italiane ed europee non riescano e evitarle. Però bisogna fare in fretta. Così come bisognava agire in fretta per evitare il diffondere del contagio, così bisogna agire in fretta per evitare che i danni all’economia siano riparabili. È davvero la fine del tempo, in un certo senso.