Che in Italia (ma non solo) il concetto di concorrenza faccia venire l’orticaria a banche e imprese è scontato, che le banche in questi ultimi anni, complice una situazione non florida, stiano cercando di scaricare i costi delle proprie inefficienze sui clienti è altrettanto evidente. Certo non è piacevole dover leggere, dopo anni di avvisi, moniti, allarmi e minacce assortite, l’ultima relazione dell’Antitrust italiano riguardo i costi applicati dalle banche italiane ai conti correnti. “Nonostante un’evoluzione più competitiva del settore”, spiega l’Agcm, “ci sono ancora ostacoli al pieno dispiegarsi della concorrenza nel settore bancario che impediscono una riduzione dei prezzi a vantaggio del consumatore finale e un aumento della mobilità della domanda”.
Insomma: i conti correnti italiani sono spesso troppo cari e le banche (complici i loro clienti, va detto) riescono ad evitare che la clientela chiude il conto e si trasferisca presso un altro istituto, come invece accade di frequente nella telefonia mobile. Rispetto al 2007, anno della precedente analisi, il quadro emerso dall’indagine attuale (avviata nel marzo dello scorso anno e che ha coinvolto 52 banche con oltre 14.500 sportelli, pari al 44% degli sportelli italiani) mostra che i costi sono in calo, ma non per tutti. La differenza tra il conto più costoso e quello più economico è ancora ampia, ma raramente i risparmiatori riescono a sfruttarla a loro vantaggio, “perché privi delle informazioni necessarie” che secondo l’Antitrust “vanno invece rese disponibili da parte delle banche, anche introducendo vincoli normativi e regolatori”.
Non è solo un problema di scarsa trasparenza, tuttavia: “Occorre intervenire- secondo l’Antitrust – anche sulle lentezze nella chiusura di un conto per aprirne un altro: per quanto i tempi si siano ridotti, è sufficiente avere una carta di credito o la Viacard per vederli dilatare anche fino a 37 giorni. Vanno infine scissi i legami tra conti correnti e altri prodotti” (come assicurazioni, conti di deposito, mutui e così via). Tornando ai costi, per quel che riguarda i conti allo sportello, una riduzione significativa “si è verificata esclusivamente per i giovani (-19%) mentre una discesa meno rilevante si è registrata per le famiglie e i pensionati con operatività minore, rispettivamente -2,8% -3,6%”.
Per le restanti tipologie di consumatori, ad esempio le piccole imprese, va anche peggio visto che “le variazione rispetto al 2007 sono inferiori all’1%” ed anzi “i costi salgono, soprattutto per alcuni profili, nelle banche di maggiori dimensioni, dove si concentra il 70% dei conti correnti” a conferma che la concentrazione del mercato a cui si è assistito in questi anni sotto la “pressante esigenza di costituire “campioni nazionali” non ha portato alcun beneficio ai risparmiatori italiani, anzi (ed il sospetto del vostro analista è che in molti casi queste operazioni, rivelatesi ex post sciagurate come nel caso dell’acquisizione di Antonveneta da parte di Mps, o di Capitalia da parte di UniCredit, siano servite unicamente a soddisfare alcune pressioni “politiche” o alla carriera e successive liquidazioni multimilionarie di un manipolo di manager e “banchieri”).
Guarda caso, conclude l’Antistrust, “i prezzi di tenuta e movimentazione di un conto corrente sono compresi, a seconda del suo utilizzo (quindi in funzione del profilo di correntista) tra un minimo di 53 ad un massimo di 111 euro”, altra conferma della palese opacità del settore. Più convenienti (-30%) i conti online rispetto a quelli tradizionali in termini assoluti, “con punte che superano il 40% per i giovani, e le famiglie e i pensionati con operatività bancaria maggiore”. Ma per assistere a una maggiore diffusione di questa tipologia di servizio occorrerà prima colmare un gap culturale (e infrastrutturale) alla base del “digital divide” che è facile prevedere richiederà ancora tempi lunghi, purtroppo. Nel frattempo chi può sfrutta la sua bella rendita di posizione sino alla fine (vi sembra di averla già sentita questa considerazione, magari nel caso di aziende operanti nel settore delle infrastrutture pubbliche o della distribuzione di gas e prodotti petroliferi? Infatti è così).
Colpa anche di clienti troppo “fedeli”: il tasso di mobilità dei correntisti, ossia l’incidenza dei conti correnti accesi ed estinti sul totale, “risulta compreso tra il 10% e il 12%, in linea con i risultati disponibili a livello europeo e sostanzialmente stabile nel corso degli anni”. Essere in questa “aurea mediocritas” comporta “un elevato grado di dispersione dei prezzi: per i conti allo sportello, la differenza tra il prezzo massimo e minimo è almeno pari a 100 euro ma può anche superare i 150 euro, fino ad arrivare a 180 euro, a secondo del profilo del correntista”. Per riuscire a ridurre queste disparità (auspicabilmente verso il basso, ma c’è da giurare che presto partirà la consueta levata di scudi al grido di: “così i costi aumenteranno”. Quanto ci scommettete?) l’Antitrust, che nota come i risultati ottenuti dal Conto di Base, “nato da un’iniziativa del Governo nel 2011 per favorire la lotta al contante e l’inclusione finanziaria”, siano “del tutto trascurabili”, visto che tale servizio è diffuso presso meno dell’1% del totale di correntisti di ogni banca, propone di operare su tre direzioni.
Anzitutto è necessario per l’Antitrust migliorare il grado di trasparenza delle informazioni, ripensando le “forme di comunicazione dell’Isc, indicatore sintetico di costo”, proposto dall’Antitrust già nel 2007 e reso obbligatorio dalla Banca d’Italia solo nel 2010, ad esempio utilizzando gli sportelli bancomat “dove il cliente deve potere trovare le migliore offerte proposte dalla sua banca”. La stessa informazione “dovrebbe essere trovata presso gli sportelli bancomat delle banche concorrenti con l’obiettivo di rendere semplice e rapida la ricerca delle migliori condizioni”, mentre le banche dovrebbero essere “obbligate a comunicare alla propria clientela, almeno annualmente e con adeguata evidenza grafica, i nuovi conti disponibili informandola dell’esistenza di offerte a condizioni migliori”. Andrebbero infine sviluppati “uno o più motori di ricerca indipendenti dalle banche che consentano il confronto tra conti diversi”.
Secondo punto, andrebbe reciso “il legame esistente tra conto corrente ed altri servizi bancari”, in particolare “tutti i vincoli, contrattuali o di fatto, non necessari tra conto corrente e altri servizi, quali mutuo, risparmio amministrato e polizze assicurative. Sui fogli informativi e sulle comunicazioni periodiche le banche dovranno chiarire che per avere i servizi bancari accessori non occorre avere obbligatoriamente il conto corrente presso la banca”. Sempre poi che ve li facciano leggere e che li leggiate: vi immaginate l’addetto allo sportello o il promotore che vi dice “potete tranquillamente accendere un mutuo o sottoscrivere un nostro fondo senza dover essere un nostro correntista”? Sarebbe una piccola rivoluzione, per quanto nel settore del risparmio gestito le banche siano già corse ai ripari introducendo “piattaforme aperte” che consentono di sottoscrivere una molteplicità di fondi e servizi di decine di operatori, grazie ad accordi commerciali tra gli stessi.
Infine l’Antutrist poropone di “rendere obbligatoria la chiusura del conto entro 15 giorni, in linea con quanto previsto dalla proposta di direttiva comunitaria attualmente in discussione”. Per agevolare la chiusura del conto anche in presenza di strumenti che comportano addebiti (carte di credito e Viacard), “si potrebbe prevedere che la nuova banca si sostituisca alla vecchia nell’assunzione di tutti gli eventuali rischi”. Dato che gli italiani sono solitamente “multi-bancarizzati”, ossia possiedono più di un conto corrente presso più istituti, potrebbe essere una rivoluzione copernicana che vi consentirebbe di rimanere clienti unicamente della banca che vi offre le condizioni più convenienti, eventualmente acquistando i servizi di istituti concorrenti senza dover ogni volta aprire un nuovo conto corrente e potendo in ogni caso decidere di chiuderlo e passare a un altro operatore con la stessa facilità con cui cambiate il vostro gestore telefonico. Potrebbe essere, ma lo sarà e quando?