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Opinioni

Con la Francia si magna, con la Spagna non più

Alla vigilia dell’Eurogruppo chiamato a trovare una soluzione alla crisi spagnola salgono in asta i rendimenti dei titoli di stato di Madrid, mentre calano quelli dei titoli francesi. In Italia l’evasione resta una piaga da sanare…
A cura di Luca Spoldi
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Mariano Rajoy

Un tempo si diceva: “Francia o Spagna purché se magna”, ma a giudicare dalle ultime notizie dal fronte occidentale della crisi del debito sovrano, a stare con la Spagna oggi ci sarebbe qualche problema di più. Se Madrid per collocare 2,98 miliardi di euro (appena sotto il tetto di 3 miliardi prefissato) ha dovuto assistere a un netto calo dei rendimenti a fronte di una domanda in calo (il Bonos scadenza 2014 ha visto il tasso medio risalire al 5,204% dal 4,335% dello scorso giugno e la domanda calare a 1,9 volte l’offerta dea 4,2 volte, il titolo a cinque anni ha visto il rendimento salire al 6,459% dal 6,072% e una domanda 2,06 volte l’offerta conto le 3,44 precedenti, mentre il titolo a sette anni ha dovuto pagare il 6,701%), per Parigi la musica è molto diversa.

Superate le incertezze legate alle elezioni presidenziali che hanno portato François Hollande a succedere a Nicolas Sarkozy, la Francia è tornata ad apparire un “porto sicuro” agli occhi degli investitori o almeno così sembrerebbe a giudicare dai risultati dell’asta odierna di titoli di stato. Parigi ha infatti collocato 8,958 miliardi (appena sotto il massimo di 9 miliardi previsto) con tassi in deciso calo: il bond scadenza gennaio 2015 è stato collocato per 1,81 miliardi di euro al tasso medio dello 0,12% (dall’1,09% dell’asta precedente), quello scadenza luglio 2016 per 2,648 miliardi al tasso dello 0,53% (dall’1,89%) e il luglio 2017 per 4,5 miliardi al tasso dello 0,86%.

Sugli esiti dell’asta spagnola ha certamente pesato l’allarmante dichiarazione del ministro del Bilancio spagnolo Cristobal Montoro secondo cui la Spagna “non ha un soldo in cassa per pagare i servizi pubblici e se la Banca Centrale Europea non avesse comprato i titoli di Stato, il Paese sarebbe fallito”, una dichiarazione che voleva difendere l’ennesima “manovra” correttiva annunciata pochi giorni fa dal governo di Mariano Rayoj che attende domani dalla riunione dell’Eurogruppo di sapere come e quando riceverà gli aiuti europei in cambio dei quali è stata varata l’ulteriore “stretta” che rischia però di mandare ko la già traballante economia iberica (e rischia di trascinare nel baratro anche il Portogallo, a causa dei legami economici esistenti storicamente tra i due paesi e dello stato precario delle finanze di Lisbona, già aiutato con 78 miliardi di euro dalla Ue e dal Fmi).

La situazione resta intricata, ma agli italiani sembra, giustamente, fare più paura l’evolversi della crisi in casa nostra. Nonostante i continui dinieghi in tal senso non è ad oggi possibile escludere che l’Italia debba far ricorso a sua volta a qualche forma di aiuti comunitari, il che rischierebbe di portare ad una pesante contropartita in campo economico. La ricetta che hanno in mente Ue e Fmi, in verità, è abbastanza diversa da quella finora messa in atto dal governo Monti (ovvero dalle forze politiche che lo sostengono: principalmente Pdl, Pd e Pdl) e come già ricordato si basa maggiormente su tagli alla spesa improduttiva e una graduale riduzione delle tasse che, come ricordava già la Banca d’Italia nel suo ultimo Bollettino Economico, assieme alle riforme potrebbe ridare slancio all’economia italiana aumentandone strutturalmente il grado di competitività.

Intanto però le cose stanno molto diversamente: secondo le stime di Confcommercio all’Italia spetta il triste “record mondiale nella pressione fiscale effettiva che si attesta al 55% del Pil” a fronte di una pressione fiscale apparente (data dal rapporto tra gettito e Pil) pari nel 2012 al 45,2% (il che porrebbe l’Italia “solo” al quinto posto tra i 35 maggiori paesi al mondo), come si legge nella “Nota sulle determinanti dell’economia sommersa”. Ma quanto vale il “sommerso”? Secondo Confcommercio almeno il 17,5% del Pil, pari ad un monte imposte evase di 154 miliardi di euro. Una somma gigantesca che equivale all’intera manovra decennale di dismissione di immobili pubblici che pare aver in mente il ministro Grilli e che evidentemente viene “pagata” dai contribuenti italiani.

Domanda: non sarebbe ora di porre fine o quanto meno fortemente ridurre questa piaga sociale? Ridaremmo slancio all’economia italiana e garantiremmo una maggiore equità sociale, potendo anche, a quel punto, iniziare a ridurre le tasse come ci consigliano di fare tanto l’Europa quanto il Fondo monetario internazionale. Certo bisognerebbe stare attenti a chi si vota in Parlamento, perché evidentemente in questi ultimi 20 anni anche la lobby degli evasori ha votato ed è riuscita a tutelare egregiamente i propri interessi. Ai danni dell’intera nazione, cui veniva gettato fumo negli occhi con una crescita fittizia finanziata interamente a debito che ha consentito a molti di guadagnare piccole e grandi fortune approfittando delle disfunzioni e dei limiti del sistema.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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