In Italia siamo convinti che i dipendenti pubblici siano molti. Alcuni credono che siano anche troppi. Ma in realtà non è così. Il comparto pubblico italiano, in termini di personale, si trova al di sotto della media Ocse. Rispetto a paesi come Francia, Germania, Regno Unito e Spagna abbiamo il numero più basso di occupati dalla Pa, parametrando questo numero (3,3 milioni di persone) con la popolazione residente e con il numero degli occupati. Questo è vero a livello nazionale, anche se i valori tra regioni sono molto diversi. Secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato, i dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono diminuiti di circa 210mila unità tra il 2008 e il 2018, soprattutto per il blocco del turnover. Anche per via di questa riduzione, l’età media di chi è rimasto al lavoro si è molto alzata e ora supera i 50 anni.
È chiaro che una pubblica amministrazione anziana e con poco personale può difficilmente essere all’altezza delle sfide di cambiamento che l’Italia si trova di fronte. Tanto da rischiare di incappare nel paradosso di essere inefficiente perché sottodimensionata.
Tra gli addetti ai lavori c’è chi ritiene che il basso rapporto tra dipendenti pubblici e popolazione sia frutto per l’Italia di un problema di calcolo. Bisognerebbe infatti tenere conto anche della pletora di società di diritto privato ma a controllo pubblico. Per comparare l’Italia agli altri paesi Ocse, abbiamo così ipotizzato che solo in Italia vi siano questi problemi di conteggio: anche in questo caso però, nel rapporto tra dipendenti della Pa e occupati totali, l’Italia si trova al di sotto di altri grandi paesi europei e praticamente allo stesso livello della media Ocse.
Con la necessità di sostituire molti dipendenti pubblici ormai prossimi alla pensione (secondo ForumPA circa 700mila) e il bisogno di rinnovare allo stesso tempo la pubblica amministrazione per metterla in condizione di rendere possibile il cambiamento del paese, i finanziamenti del Recovery Fund una buona opportunità per una riforma del settore. Questi finanziamenti potrebbero servire a potenziare un comparto che appare sottodimensionato, almeno nell’offerta di alcuni servizi chiave.
Guardando più nello specifico ad alcuni ambiti in cui l’intervento statale è marcatamente carente nel nostro paese, si può ipotizzare l’utilizzo delle nuove risorse al fine di coprire alcune mancanze strutturali. Due casi già trattati da Tortuga riguardano, per esempio, le politiche attive del lavoro e i servizi per la prima infanzia (ma ce ne sarebbero altre, come l'università). Del primo è nota la mancanza di personale, anche dopo l’aggiunta dei circa 2500 navigator. Infatti, un’indagine di Anpal del 2017 rileva che la maggioranza dei centri per l’impiego lamentano lo scarso numero di dipendenti disponibili (e anche delle loro competenze), mentre il confronto europeo fa impallidire i numeri dei dipendenti italiani rispetto a Germania, Francia e Regno Unito. Per quanto riguarda i nidi invece, pur contando pubblici e privati insieme, alcune rilevazioni europee indicano che la domanda supera largamente l’offerta di servizi per ogni fascia di età pre-scolare. In entrambi i casi si tratta di una scarsa presenza di un servizio fondamentale per la partecipazione lavorativa degli italiani, che quindi potrebbe beneficiare notevolmente dall’utilizzo delle risorse del Recovery Fund.
Centrale è poi il tema delle competenze. Consideriamo per esempio una delle sfide più importanti che la Pa si trova ad affrontare: la digitalizzazione. I dati 2020 dell’indice Desi hanno confermato il trend delle scorse edizioni: l’Italia sta guadagnando faticosamente qualche posizione, ma rimane comunque sotto la media dell’Unione Europea. Davanti a una questione così cruciale per la crescita del paese, è essenziale che un cambiamento nella tecnologia si accompagni a un cambiamento nel mix di competenze dei dipendenti pubblici. La prima discontinuità col passato deve riguardare il flusso in entrata. I dati ci dicono che il metodo ordinario di assunzione nella Pa, ovvero la procedura concorsuale, tende a favorire candidati con profili “generalisti”, contrariamente all’elevato grado di specializzazione che l’ambiente digitale richiede. Un’altra cifra che va in questa direzione è l’elevata percentuale di laureati in discipline giuridico-sociali (oltre il 60%), a discapito di professionalità più tecniche. Da alcuni studi emerge poi la minor capacità del pubblico rispetto al settore privato di remunerare le competenze, fenomeno comune a molti paesi Ocse ma particolarmente marcato in Italia. I più qualificati tendono quindi a privilegiare il privato. Appare quindi fondamentale riformare le procedure di reclutamento e le prospettive salariali e di carriera dei dipendenti pubblici, investendo significativamente nella valorizzazione delle competenze.
Allo stesso tempo, si pone prepotentemente il tema della formazione dei dipendenti. Guardando al quadro generale della spesa per formazione, le cifre evidenziano forti criticità: i dati della Ragioneria dello Stato indicano infatti un trend in costante declino, sia nel valore assoluto (-41 %) che in quello relativo, dalla metà degli anni duemila. Questo è un altro ambito di investimento cruciale per il futuro della pubblica amministrazione e del paese in cui le risorse del Recovery Fund potrebbero fare la differenza.
L’opportunità è quindi davvero importante: si potrebbe finalmente sbloccare l’apparato pubblico italiano aumentando dove serve il numero dei dipendenti, migliorandone le competenze tecniche e digitali e recuperando su alcuni interventi specifici che ci vedono indietro rispetto ai nostri vicini europei. Tutto a beneficio dell’efficienza ed efficacia della burocrazia , senza la quale il recupero da questa crisi è impossibile.
Alla luce della decisione presa dal Consiglio Europeo sul fondo Next Generation EU, è necessario avere le idee chiare sul suo utilizzo: i problemi strutturali dell’Italia acuiti dal Covid-19 sono molti e le risorse dovranno essere impiegate bene. Il think tank Tortuga, di cui fanno parte oltre 50 studenti e ricercatori under-30, vi accompagnerà per i prossimi lunedì estivi con brevi analisi e proposte concrete su come utilizzare questi soldi. Perché l’occasione non venga sprecata.