Dire che il gelato italiano piace a tutto il mondo può sembrare ovvio ma le cifre sono lì a dimostrarlo: a fine 2015 il mercato mondiale del gelato artigianale era stimato valere 40 miliardi di dollari l’anno e nel triennio 2016-2018 era previsto che potesse crescere in media del 4% all’anno, il che significa un incremento delle vendite di almeno 1,6 miliardi di dollari già quest’anno.
Il dato è emerso qualche giorno fa nel corso della presentazione del nuovo piano industriale di Clabo, classica “multinazionale tascabile” italiana con sede a Jesi ma stabilimenti anche negli Stati Uniti, in Brasile e Cina che progetta, produce e distribuisce sui mercati internazionali espositori e vetrine refrigerate per il gelato e la pasticceria artigianali oltre che arredi per bar e pasticcerie coi marchi Orion, FB, Artic e Otl (quest’ultimo utilizzato per la distribuzione dei prodotti Clabo negli Usa e in Canada), sbarcata in borsa sul mercato Aim Italia a fine marzo scorso a 2,70 euro e da allora gradualmente calata sino a poco meno di 65 centesimi per azione.
Naturalmente la “gelato-economy” presenta caratteristiche molto diverse a seconda delle diverse aree mondiale: i volumi più elevati si registrano in Italia, dove Clabo punta a vendere 3.700 unità di vendita (ossia espositori e vetrinette refrigerate utilizzate da bar, caffetterie o pasticcerie), con un andamento ormai sostanzialmente stabile da molti anni. Nel resto d’Europa conta di vendere 2.500 unità di vendita, in Nord America sulle 1.200 unità, in America Latina sulle 800, in Medio Oriente sulle 500, in tutti i casi con vendite previste in aumento.
Ma dove la “febbre da gelato” impazza è in Asia, dove siamo Clabo conta di arrivare a vendere 3.500 unità di vendita e dove la crescita procede a una velocità doppia o tripla rispetto al resto del mondo. Clabo per conto suo prevede di veder crescere le vendite dei suoi prodotti in Italia dagli stimati 16,5 milioni di euro di quest’anno a 18,9 milioni nel 2020 grazie unicamente al lancio di nuovi prodotti a fronte di un mercato stabile.
In Europa il mercato aiuterà moderatamente (per meno di un milione di euro) a far crescere le vendite dagli 8,2 milioni attesi a fine 2016 ai 10,5 milioni di fine 2020 (ma anche in questo caso la spinta più importante, 1,5 milioni, verrà dal lancio di nuovi prodotti). In Asia il gruppo Clabo, grazie all’apertura di un nuovo impianto produttivo, conta di veder salire le vendite da 1,9 a ben 8,9 milioni (di cui 5 milioni grazie a nuovi prodotti e 2 milioni alla crescita del mercato di riferimento).
Nel resto del mondo ci si attende di vedere le vendite passare dai 6,5 milioni attesi a fine anno a 10,1 milioni, con un contributo sostanzialmente paritario dato dalla crescita del mercato e dall’introduzione di nuovi prodotti. Numeri che chi ha creduto nel titolo dell’azienda jesina si augura naturalmente possano anche essere superati.
Morale: il gelato e la pasticceria italiana sono uno degli asset che il “bel paese” può ancora vantare e che consentono alle sue imprese di fatturare e produrre ricchezza per i propri azionisti e lavoratori. Ma per riuscire a capitalizzare tali asset “unici” del Made in Italy continuare a investire in innovazione e ricerca, come pure nella crescita dei propri marchi, resta indispensabile. Una lezione che dovrebbe essere chiara a tutti, a partire da qualsiasi forza politica sia o si candidi ad essere alla guida di questo paese, indipendentemente dall’esito del referendum costituzionale del 4 dicembre.