Col passare delle ore il caso Cipro si rivela sempre più una cartina di tornasole della reale volontà di ciascun aderente all’Eurozona di fare la propria parte per contribuire alla riuscita di un progetto politico ambizioso che finora è rimasto limitato dagli interessi nazionali contrastanti (quando non opposti) e da differenze macroeconomiche che anziché restringersi sono andate allargandosi negli anni sino ad esplodere con la crisi del debito sovrano greco, ormai quasi tre anni or sono, e il conseguente “contagio” degli altri paesi periferici (tra cui l’Italia, che pure per ruolo storico e dimensione economica dovrebbe invece essere di diritto e di fatto considerata un paese “core” al pari di Francia o Germania). Dopo le tensioni immediatamente esplose a seguito della decisione di concedere fino a 10 miliardi di euro di aiuti comunitari a Cipro solo in cambio di una serie di contropartite tra cui un pesantissimo prelievo forzoso su conti e depositi bancari dell’isola-stato, divenuta in questi anni il principale centro “offshore” della finanza europea e dunque crocevia di traffici di denaro nero in gran parte ricollegabili agli oligarchi russi, anche se fonti ufficiali ribadiscono che non esiste alcun “piano B” per il salvataggio di Cipro sembra farsi più forte la pressione perché l’isola-stato modifichi la prevista imposizione straordinaria su conti e depositi (non ancora votata dal Parlamento) necessaria a raccogliere 5,8 miliardi di euro (pari al 34% del Pil).
In effetti la manovra di cui si parla da venerdì e le cui conseguenze vi ho illustrato ieri per quanto sacrosanta a livello teorico (perché i contribuenti dei paesi dell’Eurozona dovrebbero svenarsi, e tra questi l’Italia che rischia di dover versare all’incirca un altro miliardo di aiuti, dopo averne già versati oltre 43 negli ultimi due anni, per salvare un sistema bancario ipertrofico reso tale dall’afflusso di soldi “in nero” da mezza Europa?) presenta al momento una pecca vistosissima: non fa alcuna differenza tra capitali di residenti e di non residenti, né prevede alcuna soglia minima. Come dire che se voi siete un cipriota rischiate di dover pagare a caro prezzo per colpe che non sono (non del tutto almeno) vostre, per evitare di far pagare qualcosa in più ai soliti “amici degli amici”. Vi ricorda qualcosa questa situazione? Magari quanto accaduto in Grecia, esperimento andato piuttosto male ma che pervicacemente l’egemone europeo, la Germania, ha tentato di replicare in Portogallo e Spagna (e vorrebbe, a giudicare dai “consigli” che giungono da alcune banche come Commerzbank, replicare anche in Italia)? Pensare male è un peccato ma a volte ci si becca.
Di certo se la Ue appare irremovibile nella decisione di far pagare a Cipro una parte della manovra di aiuto, altrettanto vero è che è possibile, nonostante qualche commentatore sostenga di volta in volta l’opposto, coniugare equità a efficienza, stando più attenti a come nel concreto una manovra viene realizzata (ne sappiamo qualcosa anche noi italiani dopo un anno di governo Monti, iniziato sotto i migliori auspici, si fa per dire, ma terminato tra mille rimpianti e rincrescimenti senza aver avuto la forza o l’interesse a varare riforme realmente significative né aver saputo coniugare realmente rigore a equità). Si tratta dunque di una volontà politica, non di limiti tecnici. Così non è un caso se stamane iniziano a filtrare commenti dall’Eurogruppo che fanno notare come Cipro potrebbe assicurarsi i 5,8 miliardi necessari dal 9,99% finora ipotizzato al 15,6% il prelievo sui depositi oltre i 100 mila euro (quelli, appunto, in prevalenza detenuti da investitori internazionali che si sospetta essere in gran parte legati al “nero” degli oligarchi russi) ed evitando qualsiasi imposizione per conti e depositi sotto tale cifra (nella prima ipotesi circolata sarebbero invece tassati al 6,75%). In questo modo i piccoli risparmiatori ciprioti sarebbero salvi e sarebbe assicurata l’inviolabilità dell’assicurazione sui depositi fino a 100 mila euro.
A scanso di equivoci, sarà il caso di notare come già il Financial Times aveva riferito due giorni fa che in realtà la Germania (e pertanto la Ue) aveva suggerito a Cipro una maggiore progressività dell’imposta limitandola al 3,5% per i depositi sotto i 100 mila euro e al 7% per quelli sopra tale cifra. Di fronte alle resistenze di Cipro all’ipotesi di imporre questa tassa straordinaria, si era ventilato di porla solo a carico dei depositi oltre i 100 mila euro (cosa che non avrebbe incontrato una posizione negativa a priori della Germania), ma a qual punto i rappresentanti dell’isola si sono impuntati non volendo superare il tetto del 10% di imposizione straordinaria e si è così giunti alla prima ipotesi di aliquote di cui si parlava ieri. Nel frattempo, giusto per far capire quale sia la posta in gioco, il governatore della banca centrale cipriota ha ribadito che una patrimoniale straordinaria come quella prevista provocherebbe “deflussi dai depositi pari al 10% o forse superiori nel giro di pochi giorni” aggiungendo che aggiunto che la banca centrale cipriota e la Bce hanno lavorato per evitare ogni prelievo sui depositi inferiori ai 100.000 euro, in linea con la posizione espressa dai ministri finanziari della zona euro.
Considerando che il problema di Cipro è legato, prima ed oltre che all’esplodere della crisi del debito greco e alla repressione finanziaria europea (con le relative ricadute in termini di recessione economica della sponda Sud del vecchio continente), alla decisione di diventare anzitutto un centro finanziario offshore e all’ipertrofismo bancario (gli attivi bancari sono pari a circa 135 miliardi di euro) che tale decisione ha generato, secondo voi i “cattivi” o “pasticcioni”, di questa storia sono i banchieri o i politici? E a livello europeo o cipriota? Io un sospetto ce l’avrei, comunque quel che resta ancora da vedere è se la Ue (e Cipro) sapranno togliersi da questo ennesimo “cul de sac” in cui si sono cacciati.
Se non altro al riguardo gli analisti del Credit Suisse in un aggiornamento delle proprie analisi ribadiscono oggi di rivedere solo moderati rischi di contagio verso paesi come Spagna o Italia, grazie alla protezione offerta dall’OMT (il programa di acquisto sul mercato di bond emessi da paesi membri della Ue in momentanea difficoltà) varato lo scorso autunno dalla Bce e al modesto impatto che finora l’episodio ha avuto sui mercati. Due elementi che possono consentire, secondo gli esperti svizzeri, di assumere maggiori rischi politici nella gestione di questa ennesima crisi, che potrebbe secondo gli esperti situarsi attorno al 65% del cammino per riuscire a uscire definitivamente dalla crisi del credito europeo. Messa così non suona malissimo (due terzi del cammino già fatto), anche se implicitamente vuol dire che avremo ancora qualche brutta sorpresa ad attenderci (un terzo del cammino resta da fare) prima di poter sperare che la crisi sia alle spalle e l’economia torni a crescere. Sempre che la Ue torni a ragionare in termini di progetto politico e non solo di conservazione dello status quo.