Il land grabbing o l’accaparramento di terre fertili è un problema antico e allo stesso tempo attuale. Un processo di vero e proprio saccheggio fondiario che si sta consumando a danno delle comunità rurali più vulnerabili del sud del mondo da parte di Stati, gruppi e aziende multinazionali, società finanziarie e immobiliari. Grazie a rapporti opachi di collusione tra politici, funzionari governativi e grandi imprese, i piccoli agricoltori vengono estromessi dalle loro terre e, di fronte all'assenza di un mezzo di sostentamento, per milioni di persone non resta altra scelta che abbandonare il proprio Paese.
Quelli che vengono considerati quasi con disprezzo migranti economici, sono in molti casi piccoli agricoltori ai quali è stata negata la possibilità di continuare a coltivare un pezzo di terra per poter mantenere le proprie famiglie. Persone spesso costrette a fuggire a seguito di lunghi e sanguinosi conflitti armati che, una volta cessate le ostilità, fanno ritorno ai loro villaggi e vedono come la loro terra nel frattempo è stata venduta o espropriata. Terreni che prima davano cibo e rifugio a molti, sono recintati o rimangono inutilizzati. Un fenomeno, quello del land grabbing, che avviene in molte occasioni senza il consenso delle comunità locali. “Uno scandalo che esiste da tempo, ma che dallo scoppio della crisi finanziaria è cresciuto enormemente, spingendo nella fame migliaia di contadini del Sud del mondo”, denuncia Oxfam. Dal 2008, il land grabbing è cresciuto del 1000%. “La domanda di terreno vola – spiega l'Ong – e gli investitori cercano dove coltivare cibo per l’esportazione, per i biodiesel, o semplicemente per fare profitto”.
Molto spesso, poi, questi terreni comprati mandando via intere comunità, lasciandole senza terra e senza futuro. “Le promesse di risarcimenti non si avverano – sottolinea Oxfam – e le comunità rimangono a mani vuote mentre le grandi aziende incassano”.
Chi sono i "padroni della Terra? Usa e Uk
Secondo il rapporto “I padroni della Terra. Il land grabbing”, realizzato da Focsiv (Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario) in collaborazione con Coldiretti, dagli anni 2000 l’accaparramento di terre fertili è in aumento. In 18 anni, 88 milioni di ettari di terra fertile in ogni parte del mondo sono stati accaparrati, un’estensione pari a 8 volte la grandezza dell’intero Portogallo o tre volte quella dell’Ecuador.
Non è un caso, quindi, se il land grabbing sia stato definito una nuova forma di colonialismo. Il documento affronta la questione su chi siano i soggetti che stanno acquisendo sempre più terre coltivabili sul nostro pianeta e chi ne abbia il controllo, diventando di fatto i veri padroni della Terra. Analizzare il land grabbing – mette in evidenza il rapporto – è complesso poiché tale fenomeno avviene in gran parte in modo nascosto, opaco, mediante collusioni tra governi locali e imprese, attraverso investimenti che provengono da fonti finanziarie in paradisi fiscali o attraverso ragnatele complicate di gruppi di aziende. E così si scopre che tra i maggiori predatori oltre agli Stati Uniti, che detengono il primato, ci sono la Gran Bretagna e l’Olanda, ma anche Paesi emergenti come la Cina, l’India ed il Brasile, e persino alcuni stati petroliferi come gli Emirati Arabi Uniti. Sono diversi, inoltre, i paradisi fiscali che offrono condizioni finanziarie e fiscali estremamente vantaggiose per attrarre i capitali di aziende multinazionali da dove poi partono gli investimenti per acquistare e affittare le terre in tutto il mondo.
Tra i primi 10 paesi che subiscono il land grabbing ci sono soprattutto i Paesi impoveriti dell’Africa, come la Repubblica Democratica del Congo, il Sud Sudan, il Mozambico, la Repubblica del Congo e la Liberia, mentre in Asia il paese più coinvolto è la Papua Nuova Guinea, ma non mancano anche i Paesi come il Brasile e l’Indonesia e persino l’Europa orientale. Anche l’Italia ha investito su un milione e 100 mila ettari con 30 contratti in 13 Stati, la maggior parte dei quali sono stati effettuati in alcuni paesi africani (dal Senegal al Madagascar passando per Nigeria, solo per fare qualche esempio) e in Romania. In generale, le imprese italiane investono principalmente nell'agroindustria e nel settore energetico, in particolare biocombustibili.
Il land grabbing in Ecuador e Myanmar
Sono numerosi i principi giuridici internazionali e le linee guida scritti per proteggere i diritti delle comunità contadine locali e indigene, ma non vengono rispettati da Stati e imprese. Come nel caso di Chevron in Ecuador, dove il land grabbing per l’estrazione di petrolio rappresenta uno degli esempi che meglio fanno capire gli effetti dell’accaparramento della terra sulle comunità locali. Le operazioni per l’estrazione del greggio e del gas compiute dalla compagnia petrolifera tra il 1964 e il 1990 in una delle zone a più alta biodiversità del pianeta, hanno provocato un danno ambientale e patrimoniale esteso per oltre 450 mila ettari di terreno (tre volte la superficie della Città Metropolitana di Milano).
Ad essere colpite dal fenomeno sono anche le popolazioni in fuga da conflitti e persecuzioni, come il caso dei Rohingya, la comunità musulmana sotto attacco del governo di Myanmar. Nell'ex Birmania, circa il 70% della popolazione basa la propria sopravvivenza sul settore agricolo e, come ricorda un rapporto dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, “gli sfollati interni dovrebbero essere in grado di accedere alla terra attraverso la restituzione delle proprietà terriere, comprese quelle confiscate da società private”. “Tuttavia – avverte Unhcr – per i senza terra le possibilità di riottenere le loro proprietà sono scarse”.
Ci perdono anche gli agricoltori del Nord del mondo
“Innanzitutto – avverte ActionAid – il land grabbing ha delle gravi conseguenze per il suolo che, coltivato intensamente, finisce per impoverirsi. Le terre “accaparrate”, inoltre, sono coltivate da intere popolazioni che vi vivevano da decenni, se non da secoli. Quelle popolazioni sono costrette a spostarsi, e spesso questo avviene violando i loro diritti fondamentali. Infine, è l’allarme lanciato dall'Ong, le modalità di acquisto dei terreni, in molti casi, non sono propriamente trasparenti. “Gli investimenti nella terra – sostiene anche il dossier di Focsvi e Coldiretti – allargano la forbice tra i pochi grandi poteri a livello mondiale, che concentrano il controllo su risorse strategiche, e le grandi masse di popolazioni che ne sono escluse a livello locale”.
L’accaparramento nel quale investono molte imprese occidentali consente grandi produzioni a monocultura a costi bassi – come nel caso del riso – ma quando vengono commerciati a livello internazionale nuocciono anche gli agricoltori degli stessi Paesi occidentali. In poche parole: il land grabbing danneggia tanto i contadini del Sud quanto quelli del Nord del mondo. “Le grandi compravendite di terra stanno costringendo moltissime persone povere a lasciare le loro case, il loro lavoro e il loro cibo. Questa ingiustizia deve finire subito, prima che altre vite vengano rovinate”, l’appello lanciato da Oxfam.