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Opinioni

Caso swap: primi risarcimenti ai Comuni ma ai privati chi pensa?

La Bbc riaccendei riflettori sulla vicenda della vendita di contratti di swap da parte di alcune tra le maggiori banche mondiali a investitori privati e istituzionali italiani. Vendite da cui potrebbero derivare miliardi di danni.
A cura di Luca Spoldi
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London banks

A distanza di mesi la vicenda dei derivati venduti (impropriamente secondo quanto sospettano alcuni) da alcune grandi banche internazionali a decine di Comuni ed enti pubblici italiani, con conseguenti accertati danni per i bilanci di questi ultimi, torna sotto i riflettori. A riaccendere un faro non è questa volta la stampa italiana ma la britannica Bbc, notando che tra gli istituti coinvolti ve ne sono alcuni come Nomura, Ubs e Deutsche Bank che sono tra i maggiori intermediari mondiali. In tutto la vicenda riguarderebbe operazioni per un totale di 11 miliardi di euro di controvalore, ma il danno potenziale è stimato ora in 37 miliardi, relativi a contratti venduti tra il 1997 e il 2007.

Un arco di tempo (e un importo) considerevole nell’arco del quale, secondo i reporter della Bbc, le autorità di controllo del mercato finanziario di Londra (dove le banche citate hanno i loro più importanti uffici operativi del vecchio continente) pur essendo state informate delle vendite condotte “impropriamente” non avrebbero preso alcuna azione per verificare come stessero le cose ed eventualmente intervenire per tempo. Col rischio che adesso sia troppo tardi e che gli swap sui tassi d’interesse sottoscritti possano danneggiare l’intera economia italiana (la Sicilia, ricorda la Bbc, ha già dovuto ricevere 400 milioni di euro di aiuti da Roma, mentre l’Italia, nonostante le rassicurazioni date ancora in questi giorni dal ministro dell’Economia e Finanze Vittorio Grilli, potrebbe aver a sua volta bisogno di aiuti dai partner europei o dalla Bce).

Per quanto gli swap in questione sembrassero offrire tassi d’interesse vantaggiosi ai sottoscrittori (uno swap è un contratto con cui venditore e acquirente si scambiano tassi variabili con tassi fissi o viceversa, o pagamenti  in diverse valute e nasce tipicamente con finalità difensive, come fosse una polizza contro i rischi di un andamento avverso dei tassi o dei cambi), a conti fatti gli enti pubblici che li hanno sottoscritti hanno finito con l’accendere una scommessa sulla testa dei propri contribuenti che potrebbe costare loro molto più del previsto.

La cosa che si scopre leggendo l’inchiesta della Bbc (qui) è che mentre gli investitori privati in questi casi debbono aspettare quasi sempre anni per essere risarciti, salvo il successo di eventuali class action (che però purtroppo appartengono alla tradizione anglosassone e statunitense più che a quella italiana, come si è visto anche dalle numerose limitazioni allo strumento introdotte al momento del suo recepimento nella normativa italiana), gli investitori istituzionali sembrano maggiormente garantiti tanto che il Comune di Milano avrebbe già ricevuto circa 500 milioni di euro di rimborsi, peraltro solo dopo che la Procura della Repubblica era intervenuta con mandati di cattura per alcuni banchieri d’affari degli istituti coinvolti.

Ancor più grave il fatto che non sembra essere solo l’Italia in questa situazione se è vero, come sottolinea più volte il pezzo della Bbc, che la Fsa (l’equivalente britannico della Consob), pur ricevendo vari esposti da parte di singoli investitori privati che ritenevano di non essere stati correttamente informati dalle banche al momento della sigla del contratto dei rischi sottostanti, non ha mai preso alcuna iniziativa né erogato sanzioni di alcun genere, accettando per buone le difese degli istituti che dal canto loro hanno sempre detto di aver agito con la massima trasparenza e di aver chiaramente spiegato ai sottoscrittori, istituzionali o privati che fossero, i rischi collegati a quel tipo di strumento.

C’è naturalmente un rovescio della medaglia che nessuno vorrà mai ammettere: in una finanza sempre più sofisticata è difficile comprendere a fondo tutte le caratteristiche di un derivato persino per un investitore istituzionale, figuriamoci per un’azienda privata che magari sta solo cercando di non farsi stritolare dai costi in caso di un aumento del dollaro, o del prezzo del petrolio o dei tassi che paga sui suoi finanziamenti. E per questo si affida a una banca pensando che possa proporgli la soluzione ai propri problemi, senza putroppo capire che in alcuni casi l’istituto sta semplicemente cercando di collocare quanti più strumenti finanziari ad elevato margine di profitto possibile. Perché in fondo i banchieri (anche d’affari) sono esseri umani e sono sensibilissimi alla tentazione di fare soldi sempre e comunque, anche ignorando o non osservando troppo attentamente le esigenze del cliente che hanno davanti, basta che paghi. Così ancora una volta il gap culturale si dimostra uno dei più pericolosi ostacoli a qualsiasi ripresa dell’Italia: sarebbe il caso di darsi da fare per rimuoverlo ma nel paese dei santi, degli eroi e dei grandi oligopolisti (e dei troppi piccoli imprenditori imprevidenti) è più facile dirlo che farlo.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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