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Opinioni

Caso Ligresti: vizi antichi e nuove virtù italiche

La caduta dei Ligresti dal “gotha” dell’imprenditoria dimostra come in Italia resti urgente riformare anzitutto il modello culturale. O la sfida per recuperare posizioni al mondo sarà persa, Monti o non Monti.
A cura di Luca Spoldi
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Famiglia Ligresti

Sbotta su Twitter un noto blogger finanziario italiano: anche qui la cricca dell’informazione servile o istituzionale “se le canta e se le suona, mentre la vera informazione alternativa è messa nell’angolo” e si fatica ad acquisire “ogni giorno qualche follower per meriti sul campo e non per trucchi” che consentono di ottenere migliaia di follower in poco tempo, per lo più fittizi. Al di là delle specifiche tecniche, di cui in rete si è per la verità più volte discusso (insomma: il re è nudo e lo si sa da tempo), temo che il collega commentatore abbia ragione almeno su un punto, purtroppo: in Italia è facile fare informazione “libera e indipendente” sempre ex post, quando il potente di turno è caduto in disgrazia, mentre è raro che venga fatta prima (perché si rischiano querele, perché ci sono sempre “amici” da difendere e “nemici” da attaccare, a prescindere, perché gli inserzionisti pubblicitari non pagano certo per farsi scrivere contro: per mille ragioni, insomma). Un esempio ultimo e non limitato al settore dell’editoria? La vicenda dei Ligresti e di Fondiaria-Sai di cui vi ho accennato in precedenza in questi mesi.

I Ligresti, un tempo “potenti” imprenditori di origine siciliana, sbarcati a Milano e rapidamente cresciuti nel giro degli immobiliaristi meneghini, “vicini” a Bettino Craxi e coinvolti in Tangentopoli (nel 1992 il capostipite Salvatore patteggiò 2 anni e 4 mesi, scontati i quali tornò alla sua attività inserendosi con successo in alcuni dei più importanti sviluppi urbanistici a Milano (Expo, Fiera e Garibaldi-Repubblica), Firenze (Castello e Manifattura Tabacchi) e Torino, sono col tempo entrati nel “salotto buono” di Mediobanca venendo sin dai tempi di Enrico Cuccia accuditi e tenuti al riparo da ogni intemperie finanziaria. Attraverso la holding di partecipazioni Premafin Finanziaria “don” Salvatore è negli anni entrato in Sai (un tempo nell’orbita Fiat, cui venne poi girata Fondiaria, finita in precedenza sotto il controllo di Mediobanca) e poi in Rcs MediaGroup (editrice del Corriere della Sera e controllata dal gruppo Agnelli e Mediobanca rispettivamente col 10,5% e col 14,2%, cui occorre sommare anche il 3,96% di Generali, a sua volta controllata da Mediobanca).

Passaggi e ingressi nel capitale studiati a tavolino in un’Italia dominata dai “salotti buoni” dai quali i risparmiatori hanno sempre dovuto guardarsi: come ricordò tempo fa Linkiesta chi avesse investito mille euro in Fondiaria-Sai nel 2001 avrebbe finito col perdere ad oggi il 95% del proprio capitale. Al contrario gli stessi salotti erano generosi coi propri frequentatori e la stampa italiana (ma anche il mondo imprenditoriale, le banche e i governi) lo sapeva benissimo ma ci si guardava dallo scriverne troppo male o dal prendere provvedimenti troppo duri. Ora, caduti in disgrazia a causa dei debiti accumulati in anni di gestione a dir poco infelice, i Ligresti sembrano quasi dei reietti e l’Isvap (autorità cui spetterebbe di vigilare sulle assicurazioni private) che fa? Annuncia ufficialmente di ritenere che le azioni prospettate o poste in essere dalla società non siano idonee “a determinare un mutamento della situazione che ha condotto alle contestazioni” mosse a FonSai lo scorso 15 giugno, “perdurando – ad avviso dell’istituto – l’inerzia di Fondiaria-Sai nel far cessare le violazioni contestate e nel rimuovere i relativi effetti”, come riporta una nota della compagnia.

Così l’Isvap ha nominato il prof. Matteo Caratozzolo quale “commissario ad acta” di FonSai con l’incarico di per avviare nel più breve tempo possibile un’azione di responsabilità nei confronti di quegli esponenti aziendali, a partire dai membri della famiglia Ligresti e dal top management (sembrerebbe a partire dall’ex amministratore delegato Fausto Marchionni), che negli anni avrebbero causato un danno alla compagnia, in particolare tramite operazioni con parti correlate. Non pensiate si tratti di un sia pur tardivo pentimento, indice che le cose stanno finalmente cambiando: a parte il fatto che fino all'ultimo i vertici di Mediobanca sono stati incerti se “indorare la pillola” ai Ligresti con ricche prebende o allontanarli bruscamente, dopo aver fatto intervenire Unipol per rilevare l’ex impero Ligresti con una prevista “fusione a quattro” tra Premafin-Fondiaria Sai-Milano Assicurazioni-Unipol che è stata già preceduta da due maxi aumenti di capitale da 1,1 miliardi di euro di FonSai e Unipol stessa (e dopo pesanti pulizie di bilancio per FonSai), la situazione è la seguente: il consorzio di garanzia dei due aumenti di capitale (composto da Mediobanca, UniCredit, Credit Suisse, Nomura, Ubs, Barclays e Deutsche Bank) ha ancora in carico titoli per un totale di 443 milioni (il 19% di Unipol ordinarie, il 33% di Unipol privilegiate e il 21,5% di FonSai ordinarie) che dovranno essere piazzati sul mercato nei 120 giorni col minor danno possibile.

In questo periodo di tempo UniCredit si è impegnata a non vendere il 6,6% di FonSai acquisito (per un controvalore di 170 milioni di euro nel marzo dello scorso anno) per “tutelare” 370 milioni di euro di crediti concessi. Capitali che ora per 186 milioni sono in mano ai curatori fallimentari (mentre gli altri 185 milioni sono stati messi in sicurezza prima dell’arrivo di Unipol). A Mediobanca, regista del “salvataggio”, è andata meglio: ha messo in sicurezza 1,05 miliardi di prestiti subordinati già erogati a FonSai e Milano Assicurazioni, 70 milioni a Premafin e altri 500 milioni a Unipol, anche se ora si ritrova con una cinquantina di milioni di azioni delle due compagnie da collocare, a fronte di commissioni più basse di quelle garantite alle banche estere che hanno partecipato al consorzio (ma più alte di quelle riconosciute a UniCredit). Voi vedete da qualche parte il “nuovo che avanza”? Se sì siete pregati di farmelo notare, perchè non mi sembra di scorgere granchè, al momento, ed è un male: questo paese,  ripeto ancora una volta, ha bisogno di essere riformato fin dal suo modello culturale. O la sfida per recuperare le posizioni perse a livello mondiale sia in campo economico sia in campo politico sarà persaa in partenza (a danno nostro e dei nostri figli), Monti o non Monti.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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