Quante volte avete pensato o sentito dire: il capitalismo ha fallito, è destinato a morire? E guardando tra le macerie dell’economia italiana travolta da una crisi a lungo negata e rispetto alla quale non c’è ad oggi una risposta di sistema né da parte della politica né delle imprese vi è sembrato di trovare ampie prove dei vostri timori (o speranze, a seconda dei gusti)? Troppe, probabilmente, visto che vi è forse sfuggito un piccolo particolare: che le cose non stanno in questi termini.
A fallire, ad essere condannato all’estinzione, è in realtà molto più banalmente il sistema capitalistico-familiare italiano. Quello dove famiglie come i Ligresti per anni sono state assistite amorevolmente dal ceto bancario (a partire dalla galassia Mediobanca) per poi essere messe da parte quando, semplicemente, la somma di guasti prodotti dalla loro gestione ha superato i livelli massimi consentiti. Quello stesso sistema che vede tuttora le “grandi famiglie” capitalistiche italiane far sedere i propri rappresentanti nei “salotti buoni” di tutta la penisola, si chiamino Rcs MediaGropu, Mediobanca, Camfin o Mittel (o un tempo Hopa, o Gemina, o altre ancora).
Volete una prova? Non sarebbe neppure necessario tirare nuovamente in ballo Fiat, che in questi giorni si è scambiata colpi di sciabola più che di fioretto con la rivale di sempre, il gruppo Volkswagen, che ha ormai messo gli occhi sull’Alfa Romeo e non perde occasione per ricordare che la crisi (che effettivamente fa emergere con drammatica evidenza l’eccesso di capacità produttiva che contraddistingue il vecchio continente, come sostiene Sergio Marchionne) è destinata a produrre gli effetti più pesanti sui “produttori di auto di piccola cilindrata del Sud Europa”, come ha dichiarato un paio di giorni fa il direttore finanziario di Volkswagen, Hans Dieter Poetsch, secondo cui “non è chiaro se tutti i produttori automobilistici sopravviveranno, senza aiuti di stato” come “virtuosamente” ritiene di poter fare il gruppo tedesco (che in Germania produce le auto di alta gamma, mentre produce in Est Europa i modelli di fascia più bassa e intanto si permette il lusso di sfornare, in Italia, auto da sogno come le Lamborghini, acquisite con la controllata Audi sin dal 1998).
No, per dare una prova di come in crisi sia il “capitalismo italiano”, sia privato sia pubblico, basta riflettere su una notizia di queste ore, il fatto che nel Belpaese Google abbia ormai “superato la Rai ed è alle spalle solo di Publitalia” (gruppo Mediaset), come ammesso da Antonio Pilati, Consigliere Rai ed ex commissario Agcom e Agcm, tra gli “ispiratori” della controversa “legge Gasparri”. Una notizia non così sorprendente se si pensa che, giusto ieri, News Corp (colosso editoriale che fa capo al magnate australiano Rupert Murdoch e che in Italia controlla Sky) ha deciso di consentire nuovamente a Google di indicizzare le pagine del Times e del Sunday Times per recuperare traffico e con esso raccolta pubblicitaria (le due testate avevano bloccato l’accesso a Google per evitare che i propri contenuti “premium”, a pagamento, fossero facilmente visibili anche in rete).
Nel frattempo la vendita di La7, emittente televisiva controllata da Telecom Italia, stenta a decollare, per usare un eufemismo, nonostante il potenziale appeal in vista delle prossime elezioni politiche italiane (appeal che solo a tratti sembra funzionare anche nel caso di Rcs MediaGroup, che edita il Corriere della Sera, primo quotidiano nazionale “cartaceo”). Allora proviamo a tirare le somme: la Rai è in crisi, Mediaset pure, Rcs MediaGroup non pare godere di eccellente salute, La7 sta come sta, Fiat ha i suoi problemi e l’elenco potrebbe continuare. Mentre Volkswagen gode di buona salute, Google sta anche meglio e Mr Murdoch corre ai ripari per evitare di essere spazzato via dal “nuovo che avanza”. E’ il capilismo, bellezze. E gode di ottima salute, là dove gli si dà spazio e dove non comandano solo amici e parenti per “volontà divina” o diritto ereditario.