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Btp, la festa è finita? Lo spread torna in altalena

Spread Btp-Bund che in apertura di giornata supera l’1,9% per poi ridiscendere verso l’1,8%. Un nervosismo che è solo in parte legato all’avvicinarsi delle elezioni europee e testimonia come la festa stia per finire per i Btp, se non è già finita…
A cura di Luca Spoldi
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I mercati cercano di capire cosa abbiano intenzione di fare le banche centrali, senza la cui azione a partire dal 2009, con l’esplosione della crisi finanziaria mondiale (e successivamente della crisi del debito sovrano in Europa) forse non saremo qui a parlare, ma a lagnarci delle macerie dell’economia mondiale. La Bank of Japan oggi ha tenuto fermi i tassi, contrariamente alle attese che parlavano di un loro possibile calo, mentre dalle minute dell’ultima riunione della Bank of England è apparsa, al di là dell’unanimità di consensi nel tenere i tassi fermi sui minimi storici, la crescente inclinazione di molti membri del board a valutare un futuro rialzo, sia pure moderato e commisurato al graduale irrobustimento della ripresa nel Regno Unito.

Dal canto suo la Federal Reserve, che sembra piacere sempre di più a Mario Draghi (tentato dall’allungare la cadenza delle riunioni del board della Bce dalle attuali 4 settimane a 6 settimane a imitazione dei colleghi d’oltre oceano), sfrutta le uscite pubbliche dei suoi membri per lanciare nuovi segnali rassicuranti ma ribadire che una volta azzerati gli acquisti di bond sul mercato si dovrà valutare quando e come aumentare i tassi “gradualmente” e senza minare la ripresa in atto che è ancora più debole di quanto non appaia in superficie. A fronte di questo quadro, in Europa si cerca di capire come si muoverà la Banca centrale europea, dopo le dichiarazioni (rilasciate nel weekend) dell’economista capo della Bce, Peter Praet, secondo cui Eurotower a inizio giugno potrebbe linmitarsi a limare di 15 centesimi il tasso repo (oggi sullo 0,25%), mentre per altre fonti potrebbe portare in negativo anche il tasso sui depositi, già pari a zero, per cercare di ravvivare un’economia minata dal rischio deflazione.

Il risultato di tutte queste incognite è un incremento della volatilità del mercato obbligazionario che i media italiani attribuiscono genericamente all’incertezza politica legata ai toni sempre più accesi dei partiti in lizza per le europee di domenica (ma come già ho spiegato la politica a tutto tondo pesa da anni sempre meno sui mercati finanziari, sui quali influiscono invece sempre più le incognite di tipo macro e microeconomico oltre che di politica monetaria e fiscale). Così dopo essere salito in apertura di seduta fino al 3,34% il rendimento del titolo guida italiano è scambiato in questi minuti attorno al 3,185%, contro l’1,38% del Bund, con una riduzione di 5 punti base dello spread rispetto a ieri sera, all’1,805%. In calo di 5 punti dopo un avvio di giornata incerto anche lo spread Bonos-Bund, ora sull’1,627% contro un massimo in avvio di seduta dell’1,838%.

A comprimere per oggi lo spread sembra essere stato il risultato deludente dell’asta odierna dei nuovi titoli di stato decennali tedeschi, collocati per soli 3,77 miliardi di euro (meno dei 5 miliardi preventivati) al tasso medio dell’1,41% con segnali di deciso raffreddamento della domanda, che nonostante le maggiori incertezze degli ultimi giorni sembrano aver ripreso la caccia al rendimento. La festa però secondo molti operatori è finita e se un recupero in termini di minore spread tra Btp e Bonos da un lato e Bund dall’altro non è improbabile, specie se la Bce darà concretezza al ventilato piano di acquisto di titoli di credito cartolarizzati, una maggiore prudenza da parte degli investitori esteri nei confronti dei bond “periferici” e in particolare del debito pubblico italiano pare inevitabile e il rischio che i rendimenti risalgano in tutta Europa è concreto.

Il problema è infatti sempre lo stesso: con una crescita meramente statistica come rischia di essere quella italiana, non in grado di riassorbire disoccupazione (che anzi la decisione europea, di matrice tedesca, di “curare” la crisi del debito sovrano a colpi di repressione fiscale e negando ogni forma di solidarietà come potrebbe essere quella rappresentata dall’emissione di Eurobond comunitari o di un programma di investimenti strutturali che tenda a compensare le diseguaglianze strutturali che in questi ultimi anni sono tornate a crescere, anziché ridursi) né di creare nuova ricchezza, il rapporto debito/Pil è destinato a deteriorarsi nonostante comportamenti “fiscalmente virtuosi” come quelli che si vorrebbero inseguire col fiscal compact improvvidamente siglato e che rischia, in assenza di correttivi da apportare in sede europea, di causare la morte per asfissia dell’economia del Bel Paese.

Per essere chiari, visto che il costo del debito (oltre i 2.120 miliardi a fine marzo, vale a dire sempre più vicino al 135% del Pil) è attualmente attorno al 2,285% (Rendistato elaborato da Banca d’Italia) e dunque ampiamente superiore sia allo 0,6% di crescita reale che nel 2014 dovrebbe registrare il Pil italiano secondo Fitch sia allo 0,8% che spera di raggiungere il governo Renzi. Non solo: il costo  medio del debito pubblico è più alto del suo valore puntuale, visto che sta sia pure lentamente calando. Di fatto dovrebbe risultare attorno al 3,6%-3,8% se si confermeranno pagamenti per interessi a fine anno pari a circa 84 miliardi come nel 2013 e il debito non sarà salito oltre i 2.160-2.170 miliardi.

Certo, la variazione del Pil che conta per il rapporto debito/Pil è quella nominale, sennonché con un’inflazione che resta ampiamente sotto l’1% annuo e che l’euro forte tende a comprimere ulteriormente o a mantenere vicino allo striminzito +0,6% annuo segnato ad aprile le cose non variano di molto, anzi. Così contemporaneamente l’intransigenza della Germania e l’incapacità italiana di ritrovare una crescita degna di tal nome fa aumentare i rendimenti reali dei nostri titoli di stato, generando periodicamente fenomeni di “caccia al rendimento” che i giornali scambiano per un segnale positivo, ma se la Bce non troverà il modo di interrompere la spirale recessiva (il che significa se la Germania non cederà su qualche punto), la bomba a orologeria che scandisce il tempo che ci resta prima di un default del nostro debito pubblico continuerà a ticchettare.

E siccome come ricorda l’economista Alberto Bagnai, un default sul debito per quanto doloroso fa meno paura di un’uscita di un paese dall’euro (Grecia docet), se non altro perchè non implica alcuna modifica nei differenziali di competitività tra i diversi paesi, difficilmente la Germania concederà molto all’Italia (perchè dovrebbe visto che su molti mercati aziende tedesche e italiane sono concorrenti, a partire dall’auto per finire nel settore informatico), che quel poco o tanto che vorrà ottenere dovrà sudarselo iniziando a fare seriamente politiche pro-crescita. Quelle politiche, ed è questo il vero dramma italiano, che il paese da 20 anni ha abbandonato, cristallizzato in un fuoco di veti incrociati di piccole e grandi lobbie e corporazioni. Diceva una volta il pedagogo Alberto Manzi: non è mai troppo tardi. Speriamo ma non è il caso di attenere oltre, visto che la festa è finita o agli sgoccioli, sui Btp e probabilmente anche in borsa oltre che per quanto riguarda l’economia reale.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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