La voce di un possibile avvio prima del marzo 2017 di un processo di “tapering” (progressivo rallentamento degli acquisti mensili di bond sul mercato) da parte della Bce, per quanto smentita ufficialmente da un portavoce, ha pesato non poco sulla giornata dei mercati finanziari europei.
Non così su Piazza Affari, dove anzi gli indici hanno chiuso in rialzo di un punto percentuale trascinati dai titoli di banche e assicurazioni, perché per i gruppi finanziari che lavorano col denaro un incremento del costo del denaro stesso significa poter sperare in margini reddituali maggiori.
Sul mercato secondario dei titoli di stato italiani sono invece scattata nuove vendite che hanno portato ad un ulteriore rialzo dei rendimenti del decennale guida a 10 anni, arrivato all’1,42% contro l’1,196% che rendeva ancora alla chiusura del 30 settembre.
Un campanello d’allarme da prendere molto seriamente soprattutto da parte di coloro che si trovano ad essere investiti in titoli a lungo e lunghissimo termine, come ad esempio i sottoscrittori (fondi pensione, assicurazioni e società di gestione) che solo ieri si sono letteralmente strappati di mano il nuovo Btp a 50 anni, collocato tramite un sindacato bancario.
Grazie a richieste per oltre 18,55 miliardi di euro, a fronte di soli 5 miliardi emessi, al tasso lordo garantito a scadenza dal Tesoro è risultato pari al 2,85%: certo, si tratta di un tasso più che doppio rispetto a quello attualmente pagato dai titoli decennali e trentennali (il Btp scadenza marzo 2047 rende il 2,12%), nonché molto al di sopra dell’inflazione corrente (0,1% su base annua a settembre) e prospettica.
Ma il rischio legato a titoli a tasso fisso di durata extra lunga, i cosiddetti titoli “matusalemme”, è molto elevato sia che lo sottoscriviate direttamente sia che venga inserito nei portafogli dei vostri fondi pensione o di gestioni separate che possiate sottoscrivere per integrare la vostra pensione futura.
Infatti nel caso di titoli a reddito fisso come i Btp ogni movimento al rialzo dei tassi produce un movimento inverso dei prezzi del titolo, in base ad un moltiplicatore calcolato sulla base della “duration” (vita residua) del titolo stesso. In particolare il neoemesso Btp scadenza 1 marzo 2067 paga una cedola del 2,80% lordo annuo staccata a cadenza semestrale e sarà negoziabile in borsa per tagli di 1.000 euro con multipli aggiuntivi di 1.000 euro al momento il titolo presenta una duration pari a 27,42 anni.
Questo significa che nel caso di un rialzo dei tassi dell’1% il prezzo del titolo si ridurrebbe, ad oggi, del 27,4%. Col trascorrere degli anni, riducendosi la duration, anche le oscillazioni di prezzo di questo tipo di titoli tendono a ridursi, ma il “rischio di incastro” (ossia di non poter rivendere il titolo prima della scadenza se non subendo perdite rispetto al prezzo d’acquisto) è destinato a rimanere elevato per un lungo periodo di tempo.
In questa fase storica, infatti, proprio l’azione delle banche centrali come la Bce ha “drogato” i prezzi comprimendo i rendimenti a livelli vicini o (come nel caso dei Bund tedeschi) sotto lo zero. Ora: la politica monetaria ultra rilassata pare essere prossima al capolinea negli Stati Uniti e potrebbe nei prossimi mesi andare terminando anche in Europa, non essendo immaginabile che le banche centrali continuino ad acquistare indefinitamente sul mercato titoli di stato per motivi sia economici sia politici.
La notizia in sé non è un male, anzi è un ritorno a una “normalità” che comunque avverrà molto gradualmente e che difficilmente rivedrà i tassi salire ai livelli del 2011 o anche del 2008, visto che la ripresa mondiale resta debole e incerta come già sottolineato da più parti. Ma vista la particolare sensibilità dei titoli di stato di lunghissima durata alle variazioni, anche minime, dei tassi, i risparmiatori faranno bene a non farsi trarre in inganno dal fatto che si tratti di titoli a reddito fisso.
A meno di non volerli regalare ai nipoti come un tempo si faceva coi buoni postali, dimenticandoseli sino a scadenza (ma possibilmente reinvestendo le cedole per evitare ogni possibile erosione del capitale in termini reali), i Btp a 50 anni, come del resto quelli a 30, sono strumenti da utilizzare in ottica di trading, nel caso specifico attendendo che siano calati debitamente sotto il prezzo di emissione (99,194), così da garantirsi un cuscinetto nel caso si dovesse attendere alla scadenza il rimborso (a 100) del titolo stesso.
Per inciso, per lo stesso motivo non pare più il caso di sottoscrivere mutui a lunghissima scadenza (30 anni o più) a tasso variabile, mentre sarebbe vantaggioso bloccare il tasso fisso sui livelli attuali, comunque molto appetibili: attualmente un mutuo a tasso fisso con 30 anni di durata residua costa tra l'1,7% e il 2,1% nel migliore dei casi, mentre a 40 anni viene proposto ad un tasso del 2,19% da Intesa Sanpaolo. Il tasso variabile migliore, nei due casi, è pari allo 0,9% e all'1,6% rispettivamente: appetibile, ma non abbastanza da giustificare il rischio di pagare in pochi anni ben più di uno 0,8%-0,7% in più.