Bravi, avete capito che tocca far ripartire il motore della crescita. Ora non scordatevi la benzina (tecnologica)
Finalmente, dopo quattro o cinque versioni della manovra dedicate a raschiare il fondo del barile e a non infastidire i soliti sospetti (e che rischiano di stroncare la nostra economia già asfittica), si comincia a parlare dell’unica cosa che realmente preme ai mercati: come farà questo paese ad uscire dai propri guai senza alimentare la crescita economica?
Ci sono volute le dimissioni del capo economista e membro tedesco del board della BCE. Danke Her Stark! Le saremo per sempre profondamente grati. Non solo per averci ricordato quali sono i nostri doveri, ma anche perché, con lei, se ne va uno dei più fieri oppositori all’integrazione economica europea, l’unica soluzione che, in maniera sostanziale e definitiva, può portarci fuori dal gigantesco casino in cui ci troviamo. Come dire: “aiutati che l’UE t’aiuta”. Ora, però, già sappiamo qual è il copione che ci aspetta. I soliti grandi professionisti dell’opinione pubblica di questo paese, si sono già mossi per ricordarcelo. Per carità, le principali indicazioni sono anche condivisibili, ma sappiamo già che, tra le tante voci discusse, vi sarà un gigantesco assente: la tecnologia.
Certo, come non stancano di ripeterci, occorre trovare risorse per diminuire il carico fiscale e previdenziale che grava su aziende e lavoratori dipendenti, non solo per aumentare la competitività del nostro settore manifatturiero che, in barba a chi lo dava per spacciato, ha invece dimostrato straordinarie capacità di ripresa durante questi anni di crisi, ma anche per rilanciare l’economia interna, l’area di maggiore difficoltà del nostro paese. Occorre anche investire sulle infrastrutture poiché le condizioni pietose in cui versano le reti di trasporto sono un pesantissimo fardello sullo sviluppo del paese. Occorre liberalizzare l’economia, a partire dall’abbattimento di quelle barriere erette a tutela delle professioni, barriere che ci avvicinano più ad un paese medievale che ad uno moderno. Occorre semplificare la pubblica amministrazione (e ridurre i costi della politica) la cui inefficienza rappresenta un freno intollerabile per il contributo che cittadini e imprese possono dare alla crescita economica e civile del paese. Occorre riformare il sistema degli ammortizzatori sociali, non solo per garantire protezione, equità e consumi, ma soprattutto perché, in questi tempi di crisi, le persone devono essere messe in condizione di ripartire.
La discussione verterà su dove si debbano andare a reperire le risorse per effettuare questi interventi a saldi invariati, ossia senza venire meno agli impegni assunti con gli investitori. Si parlerà di innalzamento dell’età pensionabile, di patrimoni, di evasione. Risorse nel sistema ce ne sono (e pure tante). Alcune si possono reperire subito, altre richiedono più tempo e riforme molto più complesse e di lungo termine (e che paiono al quanto fuori dalla portata dell’attuale governo e della classe politica), benché introdurrebbero un principio di maggiore equità sociale e generazionale. Va bene tutto, ma occhio a scordarsi la benzina, altrimenti il motore fa solo qualche giro e la macchina si ferma alla prima svolta. La benzina del XXI secolo, come ci ricordano in molti, è l’innovazione tecnologica. Con questa crisi, è ancora più vero.
Siamo entrati in una di quelle fasi di altissima turbolenza che caratterizzano la storia umana. Non sappiamo di preciso come sarà il mondo una volta usciti dalla tempesta. Chi ritiene scontato un passaggio di redini dall’occidente all’oriente, evidentemente non si rende conto di quanto possano essere contorte nella storia le vie che portano fuori da una crisi. Oggi, a seguito di una crescita della leva finanziaria che ha interessato tanto i paesi avanzati quanto quelli emergenti, i destini di USA, Europa, Cina, India, Brasile sono tutti legati a doppia mandata. Ciò che colpisce gli uni ha immediate ripercussioni sul destino degli altri. Ed è davvero impossibile fare previsioni precise. Due cose però le possiamo dire con certezza. In primo luogo, è finita l’era del credito facile e si va verso un mondo che premia l’efficienza del capitale. In secondo luogo, l’innovazione tecnologica giocherà un ruolo ancora più rilevante nel premiare gli investimenti. Certo, non è chiaro come in futuro si finanzierà lo sviluppo tecnologico. Negli ultimi trent’anni, il poderoso sviluppo del hi-tech e dell’economia digitale, a cui abbiamo assistito, si è alimentato principalmente con gli investimenti di venture capital. Tuttavia, anche il venture capital è potuto fiorire, come tanti altri settori finanziari, grazie alla vasta disponibilità di liquidità che ha caratterizzato quest’epoca ormai andata. Come farà il venture capital a finanziarsi in futuro è una domanda cruciale, soprattutto per un paese come il nostro dove il settore ha appena iniziato a muovere i primi passi, fermo restano che lo sviluppo tecnologico negli ultimi tre secoli è stato il frutto della combinazione equamente rilevante di due elementi: pensiero tecno-scientifico e profitto.
Ma, a prescindere da quali saranno i modelli più efficienti di sviluppo, è giunta l’ora per il paese di uscire dal suo buio medioevo tecnologico e cominciare ad ammassare risorse e ad attrezzarsi per il futuro. Ed è giunta l’ora di gridare a gran voce il mostruoso scandalo di un paese che un tempo era all’avanguardia ma che negli ultimi decenni è stato abbandonato ad un destino di arretratezza. Colpa che grava sull’intera classe politica (e non solo). Qualche elemento di riflessione: se 10 anni fa avevamo i più alti tassi di penetrazione di Internet in Europa, oggi quasi metà della popolazione non usa la rete; la nostra ricerca scientifica negli ultimi venti anni è stata letteralmente rasa al suolo; la nostra capacità di produrre risorse umane qualificate (ricercatori ed ingegneri) è stagnata, mentre ovunque nel mondo è aumentata; oggi in Italia un professionista dei settori tecnologici e scientifici arriva a guadagnare anche cinque volte meno del suo equivalente tedesco, inglese o svedese (e presto cinese e indiano); la qualità dell’istruzione nelle materie scientifiche e matematiche nelle scuole è precipitata; lo stato e le università non fanno assolutamente nulla per diffondere la cultura dell’imprenditoria innovativa (ingrediente essenziale per la valorizzazione delle capacità intellettuali di ricerca e sviluppo) e fanno troppo poco per incentivare il venture capital; sono stati spesi miliardi per la presunta informatizzazione della pubblica amministrazione con il risultato di un paese ingolfato di sistemi incompatibili, inutilizzabili, realizzati senza costrutto, a tutto vantaggio di consorterie varie locali e nazionali; un sistema culturale e mediatico, a partire dal servizio pubblico, che non solo non fa nulla per promuovere la conoscenza tecnologica, ma dove i grandi “professori” del nostro paese possono continuare indisturbati a ripetere la litania che, tutto sommato, “l’innovazione non ha nulla a che fare con la tecnologia”. E si può andare avanti.
Qualcuno noterà che non ho citato il caso della banda larga. Per carità, occorre spingere con tutta forza per eliminare il digital divide dell’accesso e accelerare lo sviluppo delle reti di nuova generazione. Tra l’altro, a confronto di quanto stanziato per le opere pubbliche, le risorse necessarie per lo sviluppo delle infrastrutture di rete è quasi risibile. Ma prima ancora vengono le persone. Solo se avremo cittadini, lavoratori, manager, ricercatori, professionisti e imprenditori capaci di sviluppare e recepire l’innovazione tecnologica, saremo in grado di dare un futuro a questo paese. Nei prossimi trent'anni, almeno l’ottanta per cento dei nuovi lavori saranno generati da aziende che ancora non hanno visto la luce. Saranno tutte imprese ad alto contenuto tecnologico. Oggi, assistiamo all'emergere di una nuova generazione che, eroicamente, si mette in gioco lanciandosi nell'imprenditoria da startup, a dispetto di tutte le barriere che il sistema paese frappone e grazie al sostegno di pochi veri eroi della cultura nazionale. Hanno i piedi in Italia e la testa a San Francisco. Ma non basta. È giunta l’ora di iniziare a costruire. Una missione che riguarda tutti: dal primo dei neonati all’ultimo degli ultracentenari.
a cura di Peter W. Kruger