Ci sono giorni in cui i mercati sembrano prendere coscienza che la crescita finanziaria e quella reale non sempre vanno a braccetto, sia come tempi sia come grandezze di riferimento. Ne è un buon esempio la giornata di oggi che ha visto la borsa di Milano perdere nuovamente oltre un punto percentuale dopo che in mattinata (proprio mentre giungeva notizia delle dimissioni di Giorgio Napolitano dalla presidenza della Repubblica) la notizia del rigetto del ricorso tedesco contro l’Omt (il programma annunciato da Mario Draghi nel settembre del 2012, ma mai attivato concretamente, in base al quale la Bce avrebbe fornito un aiuto “condizionato” ai paesi Ue che ne avessero fatto richiesta) da parte dalla Corte di Giustizia Ue aveva fatto ripartire gli indici, sommandosi al nuovo esplicito sostegno di Mario Draghi all’ipotesi di acquisti di titoli di stato emerso in una nuova intervista alla stampa tedesca (questa volta al quotidiano Die Zeit).
Perché Milano e le principali borse europee hanno perso terreno? Perché nel pomeriggio sono arrivati alcune docce fredde da Wall Street: anzitutto le vendite al dettaglio a dicembre negli Usa sono calate dello 0,9% rispetto a fine novembre, il dato peggiore da inizio 2014, cosa che se da un lato porta a pensare che la Federal Reserve non avrà fretta di alzare i tassi (e infatti i T-bond sono tornati a correre, con rendimenti del titolo decennale guida in calo sull’1,82% lordo annuo e del trentennale sul 2,43%) dall’altro persino la ripresa Usa, certamente più solida di quella europea e a maggior ragione di quella italiana, non sia poi così esuberante come potrebbe apparire a prima vista. Il che, sommandosi a nuovi ribassi delle materie prime dal petrolio (che continua a muoversi tra i 45 e i 46 dollari al barile, su livelli che non si vedevano dal 2008 (e prima di allora superati solo a partire dal 2004) al rame, ha portato a nuove vendite soprattutto sui titoli cosiddetti “ciclici”, ossia maggiormente legati all’andamento della crescita economica.
Morale: a fine giornata mentre molti titoli bancari hanno continuato a correre, a partire da Bpm (+1,77% oggi, +4,49% nell’ultima settimana, +24,27% rispetto a un anno fa), un titolo come Buzzi Unicem, produttore di cemento molto legato alla ripresa per quanto anche sensibile ai movimenti dei tassi d’interesse e del prezzo dell’energia (e quindi teoricamente favorito da tassi e prezzi energetici che si mantenessero a lungo sui livelli attuali), ha finito col cedere il 4,45% accentuando il calo sui dodici mesi (-26,9%). Il tutto mentre il Tesoro cerca di approfittare dell’ulteriore calo dei rendimenti (un Btp decennale offre stasera un rendimento lordo di solo l’1,72% annuo, al nuovo minimo storico) con l’annuncio del prossimo lancio di una nuova emissione di Btp a 30 anni, il cui collocamento è stato affidato a un pool di banche internazionali (comprendente anche l’italiana Unicredit) e mentre anche le banche italiane continuano a fare cassa, con Intesa Sanpaolo che ha collocato un miliardo di euro di bond a 7 anni (Unicredit lunedì aveva raccolto la stessa cifra sulla scadenza a 5 anni).
Per il momento dunque di ripresa autentica non se ne vede traccia neppure in borsa, anche se teoricamente prezzi bassi delle materie prime sono in grado di trasferire, come già detto, ricchezza dai paesi emergenti (produttori di materie prime) ai paesi sviluppati (consumatori delle stesse) nell’ordine di circa 1.500 miliardi di dollari all’anno o, detta in altri termini, ogni 10 dollari in meno di prezzo del petrolio (che forse rivedrà i 100 dollari al barile nonostante l’opinione contraria del principe Alwaleed, ma visti i precedenti storici potrebbe rimanere per diversi anni a livelli non troppo distanti dagli attuali, tra i 50 e i 60 dollari al barile) la crescita mondiale dovrebbe aumentare di uno 0,1% in termini di Pil a partire dall’anno successivo allo shock sui prezzi, come sostengono gli esperti di Societe Generale. Il problema di una simile “buona notizia” è che ciò presuppone almeno un altro anno di turbolenze a livello macroeconomico, con un indebolimento dei paesi emergenti che potrebbe pesare sulle esportazioni italiane, prima di generare benefici in termini di minori costi o di un rimbalzo della crescita tra un anno.
Qualche società già sta iniziando a farne le spese: il gruppo Campari, ad esempio, sta subendo un marcato rallentamento delle vendite in Russia, paese come noto tra i più penalizzati sia dalle sanzioni occidentali legate alla crisi con l’Ucraina sia dal calo dei prezzi petroliferi (per capirci: con questi prezzi se l’Italia può risparmiare circa 20 miliardi di dollari sulla bolletta energetica quest’anno, Mosca rischia di dover rinunciare ad oltre 130 miliardi di dollari di ricavi secondo i calcoli di Goldman Sachs). Secondo una nota di Societe Generale il gruppo italiano rischia di vedere calare le sue vendite del 10% in Russia (che nei primi 9 mesi dello scorso anno ha rappresentato il 2,8% delle vendite e circa il 2% dei profitti del gruppo), vendite che finora gli analisti prevedevano potessero rimanere stabili. Campari in Russia vende gli spumanti a marchio Cinzano e Mondoro, il vermuth a marchio Cinzano oltre che superalcolici (che però rappresentano appena il 20% del totale contro una media pari al 73%), tutti prodotti solo d’importazione.
In attesa che la Russia si riprenda, a salvare Campari sarà quest’anno e il prossimo, secondo gli esperti francesi, il mercato italiano che dopo due anni di continui cali dovrebbe veder ripartire i consumi in particolare di prodotti ad alto margine Crodino e Campari Soda. Che la ripresa dell’ex “bel paese” passi per un aperitivo più che per mattoni e cemento? Se pensate alle trasformazioni in atto nel paese e nello spazio sempre maggiore della ristorazione e dei servizi di intrattenimento e legati al turismo non sembrerebbe neppure un’ipotesi così astrusa, in effetti.