Banche italiane ed europee ancora sotto i riflettori in borsa e non solo. Motivo di tanto interesse è legato ancora una volta al tema delle ricapitalizzazioni che saranno necessarie da qui a giugno per superare senza eccessivi patemi gli “stress test” dell’Asset quality review (Aqr) lanciata da inizio anno dalla Banca centrale europea che prema per far sì che il settore creditizio del vecchio continente si riallinei, almeno per quanto riguarda i suoi principali componenti (circa 200 banche “sistemiche”), su parametri quantitativi e qualitativi tali da evitare il ripetersi di crisi come quella generata nel 2008 dal fallimento di Lehman Brothers.
In Europa i riflettori si sono accesi sui numeri della trimestrale di Deutsche Bank, colosso tedesco che ha chiuso i primi tre mesi dell’anno con utili in calo del 34% su base annua a 1,08 miliardi di euro, peraltro migliori delle attese di consensus (1,05 miliardi di utili) grazie in particolare alla tenuta dei profitti legati all’attività di intermediazione sul reddito fisso e sui cambi (che ha generato 2,34 miliardi di redditi, -10% rispetto all’anno scorso, rispetto però a 2,12 miliardi attesi) e che ha dichiarato di voler rafforzare i propri coefficienti patrimoniali (non molto alti in verità: il Common equity Tier 1 ratio calcolato in base agli accordi di Basilea III è calato dal 9,7% di dicembre al 9,5%, rispetto ad esempio al 14,6% della svedese Nordea Bank che pure stamane ha reso noto la trimestrale) attraverso il lancio di un’emissione obbligazionaria “subordinata” da 1,5 miliardi, ma non ha escluso neppure l’ipotesi di un aumento di capitale che gli analisti continuano a considerare probabile indicando una cifra attorno ai 10 miliardi di euro come ottimale.
A Milano tiene invece banco Bpm, che chiude la giornata in crescita del 5,4% (per fare un confronto un Bot semestrale paga al momento meno dello 0,6% annuo lordo) e si conferma il miglior titolo dell’indice Eurostoxx600 da inizio 2014, con un guadagno del 60% contro il 35% medio dell’indice, complice l’attesa per i dettagli dell’aumento di capitale da 500 milioni di euro che partirà il 5 maggio e che gli analisti prevedono possa presentare un robusto sconto visto che ancora l’ultima assemblea della banca ha visto respinte le pur modeste variazioni alla governance, confermando dunque il controllo di fatto dell’istituto da parte dei soci-dipendenti e delle loro sigle sindacali.
A borsa chiusa la banca ha poi annunciato l’approvazione da parte della Consob del prospetto relativo all’offerta in opzione ai soci (e l’ammissione alla negoziazione sul Mercato telematico azionario gestito da Borsa Italiana Spa) delle azioni rinvenienti dall’aumento di capitale medesimo. I diritti di opzione validi per la sottoscrizione di azioni Bpm di nuova emissione, saranno esercitabili dal 5 al 23 maggio prossimi, estremi inclusi, e saranno negoziabili in borsa dal 5 al 16 maggio (sempre estremi inclusi). Il Cda di Bpm si riunirà domani pomeriggio per definire nel dettaglio le caratteristiche dell’operazione tra cui il prezzo di sottoscrizione delle nuove azioni Bpm, il rapporto di opzione e il controvalore massimo dell’offerta.
Chi ancora è distante dal lanciare l’aumento (se ne parlerà a giugno-luglio) è invece Mps, che oggi ha tenuto in seconda convocazione l’assemblea societaria che ha approvato, dopo uno “show” di Beppe Grillo e relativo battibecco col presidente di Mps, Alessandro Profumo, il bilancio 2013 della banca, chiuso con 1,4 miliardi di perdite. Tra i soci era presente ancora col 9% in attesa che Banca d’Italia autorizzi la cessione, già annunciata, del 6,5% a Fintech Advisory e Btp Pactual Europe (che la stampa italiana vuole in “pole position” per rilevare anche Bsi, la controllata svizzera del gruppo Generali), la Fondazione Mps, destinata a scendere al 2,5% prima del prossimo aumento di capitale da 5 miliardi (che dovrà essere approvato da un’altra assemblea, convocata per il 20 e 21 maggio essendo variato l’importo dell’operazione, inizialmente fisato in 3 miliardi).
Per marcare le distanze da un passato ancora recentissimo non ha partecipato all’assemblea il presidente di Palazzo Sansedoni, Antonella Mansi, mentre a libro soci si nota la presenza col 3,2% circa (dopo un recente alleggerimento rispetto agli oltre 5 punti percentuali raggiunti poche settimane fa) del fondo statunitense BlackRock, il cui presidente, Larry Fink, non perde occasione per ribadire che l’Italia è “un’opportunità di investimento” grazie anche ai cambiamenti politici in atto e al mutato clima che si inizia a percepire (quanto meno sotto forma di indicatori di fiducia, sia dei consumatori sia delle imprese manifatturiere come testimoniato dall’Istat).
Quanto al futuro prossimo, l’amministratore delegato, Fabrizio Viola, ha ricordato che oltre all’aumento di capitale, pensato per rispettare i termini di una Aqr che per le 15 banche italiane ed Mps in particolare si preannuncia “severissima” e per rimborsare 3 dei 4,1 miliardi di “Monti bond”, anche per quanto riguarda “la liquidità occorre andare avanti, per rimborsare le linee di credito Ltro in un modo che non determini problemi”. Linee di credito che ammonterebbero ancora a 28 miliardi di euro dopo che un primo miliardo è già stato ufficialmente rimborsato (anche se l’agenzia Reuters, citando “una fonte vicina alla banca” ha parlato di 5 miliardi già rimborsati e dunque di 24 miliardi ancora da rimborsare), ma che scadranno a febbraio del prossimo anno.
Per Montepaschi il problema principale restano tuttavia, come ha ammesso Viola, i crediti non performanti: “la qualità del credito è il più significativo problema che al momento la banca sta fronteggiando” ha spiegato il banchiere. A fine 2013 Mps ha registrato 21 miliardi di crediti deteriorati al netto degli accantonamenti, pari al 16% dei 131 miliardi di crediti alla clientela, con un grado di “copertura” delle perdite potenziali del 42%. Un livello ben inferiore al 52% di copertura di UniCredit (87 miliardi di crediti deteriorati che l’istituto vuole tagliare a 33 miliardi nei prossimi 5 anni) o al 46% di Intesa Sanpaolo (57 miliardi di crediti deteriorati), istituti tra l’altro che entro l’estate dovrebbero rendere operativa la recente partnership a quattro con Kkr e Alvarez & Marsal per arrivare a gestire almeno 2 miliardi di crediti in ristrutturazione dei due gruppi bancari (una tipologia di crediti “non deteriorati” ma problematici che per Unicredit vale 8,13 miliardi, per Intesa Sanpaolo 2,5 miliardi).
Il maggior onere per gli azionisti si spiegherebbe proprio con la necessità di riallineare rapidamente la qualità del credito di Siena a quelli dei principali concorrenti italiani ed europei: sarà interessante capire a questo punto se, con una Fondazione Mps che pur in accordo coi due fondi esteri difficilmente potrà dopo la ricapitalizzazione pesare più di un 9%-10%, ci sarà modo per la banca di rompere definitivamente il legame, incestuoso, con la politica e se questa rottura sarà seguita anche da altre banche, come Banca Carige, impegnate nell’esame europeo, magari con l’arrivo di qualche nuovo investitore interessato a sfruttare non solo il potenziale rimbalzo borsistico del titolo ma anche una nuova fase di espansione delle attività che dovrebbe seguire la lunga convalescenza di Siena e degli altri istituti italiani. O se tutto cambierà solo perché, gattopardescamente, nulla debba realmente cambiare.