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Borse, un rimbalzo del gatto morto?

In attesa di novità dagli Usa, dal governo italiano e dal G20 i mercati recuperano. Ma la fiducia resta scarsa e a pagarne le conseguenze potrebbero essere anche Francia e Germania.
A cura di Luca Spoldi
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manifestanti summit G20

Lo psicodramma della crisi del debito sovrano greco (ed europeo in generale) vive di accelerazioni come quella di ieri e di pause come quella odierna, destinata forse a lasciar spazio a nuovi recuperi e successive capitolazioni dopo che in serata Ben Bernanke, numero uno della Federal Reserve americana, avrà chiarito se ha e vuole sparare altre cartucce (non si esclude un ulteriore round, il terzo, di acquisti di titoli di stato americani) nei dodici mesi che precederanno le elezioni presidenziali statunitensi, mentre da Roma il governo prova a “battere un colpo” per dimostrare di essere ancora vivo nonostante tutto e varare qualche misura che ne confermi la volontà di non sottrarsi ulteriormente agli impegni presi con i partner europei (anche per evitare di trovarsi nella situazione in cui si trova la Grecia di George Papandreou, che probabilmente si vedrà congelare gli aiuti sino a quando non sarà superato, positivamente, il referendum che entro dicembre lo stesso Papandreou intende far svolgere sul piano di salvataggio emerso la scorsa settimana e che Merkel e Sarkozy ritengono l’unica strada percorribile).

Il tutto alla vigilia di un G20, quello che inizia domani a Cannes, che sembrava poter scrivere la parola “fine” ad una telenovela che va avanti da troppi mesi e invece rischia di produrre l’ennesima montagna di solenni dichiarazioni e poche concrete misure per uscire da questa crisi che si sta sempre più avvitando su se stessa e pare avere un finale già scritto: il default di Atene. Che il default resti inevitabile lo hanno detto in tanti più volte, da una parte perché nonostante le cifre in gioco siano imponenti (ma pur sempre pari a una frazione della ricchezza mondiale o anche solo italiana) si tratta più di un problema relativo a come suddividere gli oneri della crisi che non un problema di inventarsi soluzioni, che sono note da tempo.

Nello specifico un haircut del 50% del rimborso di titoli ormai considerati carta straccia (si pensi che i titoli di Stato greci a 2 anni rendono ormai un teorico 93%) risolve poco ma in compenso infastidisce molto le banche (che o sono miopi di fronte all’evidenza o sperano così facendo di scaricare a loro volta il costo su altri soggetti quanto più possibile). La ricapitalizzazione delle banche europee per 106 miliardi (di cui quasi 15 per le sole prime 5 banche italiane e di queste quasi la metà per la sola UniCredit) è relativamente poca cosa rispetto ai rischi a cui le banche sono esposte (calcolati tra i 200 e i 300 miliardi) ma resta per molti soggetti come le Fondazioni bancarie italiane (già a secco di dividendi e costrette a tagliare le proprie erogazioni per il 2012) ancora troppo. L’Efsf che tutti a parola vorrebbero irrobustire in realtà non può sottrarsi al rischio-mercato e infatti deve rinviare un’emissione di Eurobond di “soli” 3 miliardi di euro (che avrebbe dovuto essere lanciata oggi e invece è stata rinviata a data da destinarsi) a causa dell’estrema incertezza dei mercati.

In questo frangente cadono infine due miti: che i paesi “virtuosi” dell’Europa come Francia e Germania possano salvarsi da soli lasciando andare incontro al loro destino i “lazzaroni” mediterranei: in realtà la cosa è accettabile (non senza conseguenze anche pesanti per singoli istituti) solo nel caso della Grecia e forse del Portogallo (l’Irlanda per fortuna sembra stia riuscendo a tirarsi fuori dai guai con le sue forze), ma se a cadere fossero anche la Spagna e peggio di tutti l’Italia per Parigi sarebbero dolori e la perdita di una delle tre stelle del rating sovrano pressoché certa (col che le elezioni anche per Nicolas Sarkozy si complicherebbero ulteriormente il prossimo anno).

Berlino dal canto suo sta solo relativamente meglio, ma gli ultimi dati macro che hanno visto anche Francia e Germania segnare modesti cali della produttività manifatturiera in ottobre indicano come neppure Angela Merkel possa dormire sonni tranquilli. Proprio gli ultimi dati relativi all’indice Pmi di ottobre, poi, mostrano per l’Italia una caduta ancora più netta della produzione manifatturiera, il che segnato al rapido peggioramento del mercato del lavoro facendo scattare per il “Belpaese” l’ennesimo campanello d’allarme e probabilmente mandando in soffitta la bizzarra teoria promossa ampiamente in queste settimane dal partito dei “rigoristi” che misure di “austerity” tagliando (forse) l’indebitamento pubblico potrebbero magicamente far ripartire l’economia.

In realtà è vero il contrario, l’economia per ripartire avrebbe avuto bisogno negli ultimi 10-15 anni del varo di riforme sia sul fronte dei tagli alla spesa pubblica sia su quello degli incentivi all’innovazione, oltre che serie misure di liberalizzazione e di riforma del mercato del lavoro tale da far ripartire la formazione di posti di lavoro qualificati a tempo indeterminato al posto dell’attuale utilizzo selvaggio di forme di precariato per posizioni senza opportunità di carriera. Riforme che non si possono fare ora perché come notano alcuni i tempi dei mercati e quelli della politica sono del tutto inconciliabili (ve lo immaginate dove finirebbero i tassi sul debito pubblico se dovessimo attendere riforme costituzionali o il varo, magari dopo più letture, di grandi disegni di legge di riforma di interi settori economici?), o meglio che si devono iniziare a mettere in cantiere ora, sapendo però che la soluzione ai guai contingenti non verrà da lì.

Dall’attuale pantano l’Italia può uscire solo riacquistando credibilità agli occhi dei partner europei e dei mercati, il che come ho più volte ricordato richiederebbe un cambio del quadro politico, finanziario ed imprenditoriale di riferimento. Chi ha sbagliato, politico, banchiere o imprenditore che sia, per interesse personale o incapacità culturale si dovrebbe fare da parte (ma lo farà?) e il mercato potrà dare un’ulteriore chance all’Italia. Altrimenti i prezzi a cui quotano le nostre migliori banche e aziende private sono già in saldo, se è vero come è vero che bastano meno di 35 miliardi di euro per rilevare in blocco i cinque principali gruppi creditizi italiani, nei cui forzieri oltre a 150 miliardi di “problematici” Btp trovano spazio anche 950 miliardi di risparmio privato degli italiani.

Il che oggettivamente indica che i mercati sono talmente stressati da non voler ragionare in alcun modo sui fondamentali e forse offre l’occasione per qualche investimento a lungo termine. Sempre che qualcuno si muova e la smetta di giocare a scaricabarile, o il rischio di diventare la prossima Grecia e far saltare il banco non sarebbe per nulla remoto.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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