Il 2017 potrebbe rivelarsi un anno davvero pericoloso per chi preferisce investire in bond, ma negli anni seguenti potrebbe andare anche peggio. Mentre quasi tutti gli operatori sono concentrati sugli eventuali rialzi dei tassi ufficiali della Federal Reserve, che in ogni caso non dovrebbero salire rispetto al livello corrente più dello 0,5%-0,75% da qui a fine anno, ancora nessuno pare tener conto di cosa comporterebbe una riduzione dell’enorme portafoglio di bond accumulato in questi anni.
Un processo cui anche la Banca centrale europea non potrà sottrarsi per sempre, anche se la Bce a differenza della banca centrale statunitense sta ancora continuando a comprare bond sul mercato e difficilmente terminerà il suo programma di “quantitative easing” prima della fine del 2018.
Seguire cosa accadrà in America potrebbe dunque rivelarsi importante anche per quegli investitori italiani che non hanno direttamente investito in bond in dollari, per sapere per tempo cosa aspettarsi quando, magari una volta scaduto il mandato di Mario Draghi (il 31 ottobre 2019), l’istituto centrale europeo adotterà una politica monetaria meno espansiva. Ma di quali cifre stiamo parlando?
La Federal Reserve a inizio mese presentava un attivo di bilancio di 4.415 miliardi di dollari, di cui 4.224 miliardi rappresentati da titoli obbligazionari in portafoglio. La parte più consistente di questi sono titoli di stato (2.463 miliardi circa), cui si aggiungono oltre 1.744 miliardi di “mortgage backed securities”, ossia titoli finanziari collegati a mutui cartolarizzati garantiti dalle agenzie Fannie Mae, Freddie Mac e Ginnie Mae.
La Fed ha iniziato ad acquistare questo secondo tipo di titoli durante la crisi globale del 2008, ma gli acquisti sono continuati fino ai giorni nostri (nel 2016 la Fed ha acquistato 387 miliardi) per rinnovare i titoli in scadenza. Se ora la Federal Reserve inizierà a non rinnovare più i titoli in scadenza o a vendere sul mercato i titoli in portafoglio, le conseguenze per gli analisti di Moody’s potrebbero essere pesanti.
Per Moody’s, in particolare, il tasso sul T-bond a 30 anni potrebbe risalire sopra il 6% entro i prossimi tre anni, rispetto al 3% scarso attuale. Considerate che la duration, ossia la sensibilità dei prezzi alle variazioni dei tassi, è pari a 20 per un titolo a 30 anni (ed è pari a poco meno di 9 per un titolo decennale), il 3% di aumento dei tassi produrrebbe un calo del 60% delle quotazioni dei titoli di stato trentennali americani (e del 27% circa di quelli decennali) entro il 2020.
Un simile rialzo dei tassi sarebbe sufficiente a mettere in crisi il mercato dei mutui immobiliari, hanno fatto notare gli esperti di Rbc Capital Market, ma potete stare certi che una simile “stretta” metterebbe in difficoltà anche tutte le aziende e settori sensibili ai tassi, dai servizi di pubblica utilità ai gruppi industriali con attività ad elevata “intensità di capitale” come tipicamente quelle operanti in settori maturi come l’auto.
La Bce dal canto suo a fine gennaio aveva acquistato in tutto 1.617 miliardi di euro di bond di cui circa 1.337 rappresentati da titoli pubblici, poco meno di 210 da covered bond, circa 61 miliardi da corporate bond (obbligazioni societarie) e poco più di 23 miliardi da asset backed Securities (titoli collegati a un insieme di prestiti della banca emittente, non necessariamente mutui immobiliari). La Bce continua a comprare ogni mese fino a 60 miliardi di nuovi titoli pubblici, altri 7-8 miliardi di covered bond e altrettanti corporate bond e circa un paio di miliardi al mese di abs.
Se i vari programmi d’acquisto termineranno, riducendo gradualmente gli acquisti, a fine 2018 la Bce si ritroverà alla fine del prossimo anno ad avere un portafoglio di quasi 2 mila miliardi di bond pubblici, più altri 270-280 miliardi di covered bond, 110-120 miliardi di corporate bond e una quarantina di miliardi di abs, per un totale di 2.300-2.400 miliardi di euro. Una cifra ben superiore a quella dei bond “mortgage backed” in mano alla Federal Reserve.
E' quindi fin troppo facilmente prevedibile una reazione analoga dei mercati e dei tassi nel momento in cui tutti questi bond iniziassero a non essere più rinnovati o venissero ceduti sul mercato. Con in più il rischio che, in caso di dissoluzione dell’eurozona o anche solo di ristrutturazione della Ue in una unione “a due velocità”, la Bce possa dover invertire la sua politica monetaria anzitempo.